Thomas Merton, martire per la pace?
Il 31 gennaio del 1915, a Prades, un paese della Francia meridionale, nasceva Thomas Merton. Monaco trappista, entrato nell’Abbazia del Gethsemani, nel Kentucky, là dove il bourbon e l’agricoltura sono momenti imprescindibili della vita dell’americano e non solo.
Padre Louis, come è conosciuto dai suoi confratelli trappisti, diviene un autore conosciuto e apprezzato per la sua famosa autobiografia, che, nei solo primi 5 anni di diffusione nel territorio americano conosce più di 600.000 lettori di cui, alcuni, si sono lasciati affascinare dalla sua storia e, conseguentemente decidono di seguirlo in monastero.
Il successo del libro diviene ben presto planetario. Ad oggi dopo quella prima pubblicazione del 1948, possiamo tranquillamente affermare che è stato tradotto in quasi tutte le lingue del mondo. Figlio di pittori acquarellisti, Ruth e Owen, lei americana, lui neozelandese, entrambi si sono conosciuti nello studio parigino del maestro Percyval Tudor-Hart. Crescono Tom, così amava chiamarlo sua madre, parlandogli solo in francese.
Merton mantiene questa influenza culturale europea anche dopo aver ricevuto la cittadinanza americana il 26 giugno del 1951, ben dieci anni dopo il suo ingresso al Gethsemani e dopo 2 anni dalla sua ordinazione sacerdotale del 25 maggio 1949.
Noi, oggi, vogliamo ricordarlo, nel giorno del suo 108 compleanno, non solo per quanto ha fatto e insegnato (dal 1955 al 1965 fu anche maestro dei novizi), ma per la sua instancabile dedizione alla riflessione sul tema della pace.
Ci piace ricordare, quando papa Francesco parlando ai membri del Congresso americano nel 2015, menzionò Thomas Merton, insieme ad Abramo Lincoln, Martin Luther King e Dorothy Day, e disse: «Merton era anzitutto uomo di preghiera, un pensatore che ha sfidato le certezze di questo tempo e ha aperto nuovi orizzonti per le anime e per la Chiesa. Egli fu anche uomo di dialogo, un promotore di pace tra popoli e religioni» (Cfr. Visita al Congresso degli Stati Uniti d’America – Discorso del Santo Padre all’Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, Washington, D.C. giovedì, 24 settembre 2015).
In questa prospettiva vogliamo far sì che non venga dimenticato, o trascurato il suo pensiero come è accaduto in questi ultimi anni. Specialmente nel momento epocale attuale potrebbe risultare un aiuto e uno stimolo a fare meglio e a costruire sempre più quella fiducia reciproca che dona respiro alla pace.
Thomas Merton sappiamo venne battezzato nel novembre del 1938. L’8 settembre del 1939, nel suo diario Run to the mountain, leggiamo la prima riflessione sulla guerra: «Libertà: minacciata soprattutto dalla guerra…non solo in guerra ma sempre la libertà è minacciata…ma la soluzione è solo una: lasciare tutto, solo l’amore di Dio e del prossimo. Principalmente: abbandonare tutto». (pag. 20).
Questa sua prima intuizione, viene coltivata, perfezionata anche dall’incontro con Jacques Maritain di cui ci dice nelle pagine de La montagna dalle sette balze. Con Maritain e la moglie Raissa, intrattiene una amicizia che si spegne solo con la morte del monaco statunitense nel 1968. Merton, soprattutto nel periodo della Guerra Fredda, quando viene “silenziato” dai suoi superiori, prosegue la riflessione sul tema guerra-pace.
Non si dichiara pacifista, rifiuta questa etichetta come leggiamo in alcune sue lettere, tra le quali, ricordiamo quella a Jim Forest, amico carissimo per molti anni, del 29 novembre 1961: «Tecnicamente, in teoria, non sono un puro pacifista».
Questa tematica, lo spinge ad accettare di recarsi in Tailandia, dove il 10 dicembre del 1968, dopo aver parlato in sessione plenaria alle abbadesse ed abati degli ordini monastici presenti in Estremo Oriente, si ritira in camera presso il Centro della Croce Rossa di Bangkok e non fa più ritorno in aula perché viene trovato morto, dopo essere uscito dalla doccia e riversato sul pavimento con sul corpo bagnato un ventilatore che, verrà definito “difettoso” e conseguentemente fulminò l’allora cinquantatreenne monaco che godeva di piena salute.
La sua morte ancora oggi ci lascia un po’ perplessi. Un testo, edito nel 2018, ad opera di Hugh Turley e David Martin: The Martyrdom of Thomas Merton. An Investigation››, apre a parecchie riflessioni e pone interessanti interrogativi, che, a fatica, ma con entusiasmo di ricerca, bisognerà prima o poi dare dele risposte.
Certamente, Thomas Merton è stato un personaggio scomodo in quegli anni. Non si considerava pacifista, ma in tanti passi dei suoi scritti si percepisce sempre la tensione al disarmo, al saper ascoltare l’altro e all’interesse cristiano di costruire costantemente ponti per la pace.
Probabilmente, è giunto il momento di riconoscere a Thomas Merton la giusta corona che si attribuisce a coloro che danno la vita per il Signore e testimoniano quanto la pace sia un percorso di educazione continua alla quale ogni uomo e donna è chiamato a rispondere con la propria vocazione alla vita. Bello sarebbe che, come si è già fatto per Dorothy Day, si incominciasse a pensare ad un cammino all’interno dei percorsi della Chiesa, affinché, a Merton, gli venga riconosciuta la giusta “corona di gloria”, non perché morto per la pace, ma perché “non ha corso invano ed ha conservato la fede” …nonostante tutto.
Vedi anche articolo su cartegggio tra Merton e Dorothy Day