The Strokes: così va il mondo

¦ Arriva da New York il primo botto discografico del 2006. Si intitola First impression of earth (Sony-Bmg) ed è firmato dagli Strokes, band fondamentale nell’ambito dell’ortodossia rock del terzo millennio. Uno dei gruppi più discussi della scena odierna: amati fino al fanatismo da chi li considera eredi legittimi dei mitici Velvet Underground di Lou Reed, e causticamente dileggiati da quanti, al contrario, li reputano solo l’ennesima banda di scimmiottatori opportunisti. Probabile che, come spesso capita anche in quest’ambito, la verità stia nel mezzo. In ogni caso la terza avventura in sala d’incisione del vocalist Julian Casablancas e dei suoi quattro compari, è uno di quei dischi difficili da ignorare, non foss’altro per l’aura d’inquietudine che irradia. Diciamo subito che gli Strokes non inventano nulla, ma che le loro canzoni sanno attualizzare molto bene l’energia del rock primigenio. Sono giovani (il più stagionato ha 27 anni), ma abituati fin dagli esordi a stare sotto i riflettori. Quando debuttarono nel 2001 con Is this it furono subito acclamati come the next big thing della scena statunitense: un’etichetta che si portarono appresso anche col successivo Room of fire pubblicato due anni dopo. Ascoltando le nuove canzoni l’impressione è che i cinque rampolli vogliano abbandonare definitivamente le nicchie dell’underground scapigliato per il mainstream rock d’alto bordo. Registrato a Manhattan col nuovo produttore David Kahne, l’album è composto da quattordici brani ricchi d’energia e di freschezza, ma segnati da una più spiccata propensione modernista e da una maggiore varietà espressiva dei due album precedenti. Intendiamoci: i chiaroscuri ritmici, l’ossessività quasi ipnotica del basso e delle chitarre elettriche, il tono crepuscolare di certe atmosfere, riportano sempre alla mente i Velvet e anche certo garage-punk à la Stooges, ma le citazioni dei maestri lasciano sempre più spazio a una loro personale visione del mondo e della musica. Anche se non sono più l’ultima meraviglia del rock (altre nuove band intasano l’Olimpo dei gruppi più trendy e più cool del momento…) Casablancas e soci incarnano ancora bene lo spirito inquieto dell’ultima generazione rockettara. Un’inquietudine figlia del proprio tempo che traspare anche nei testi, dove si canta di cuori ingabbiati, di amori come lame di rasoio, di esistenze insonni, di bugie che uccidono, e variegate paure. Domande senza risposta e scampoli di quotidianità postmoderne dominate da un minimalismo (anche sentimentale) dove gli slanci idealisti del primo rock sono scalzati da un pragmatismo radicato nel presente e nell’individualismo. Non è un bel mondo quello che cantano e raccontano i nuovi Strokes: cinque fortunati giovanotti arricchiti probabilmente troppo in fretta per conoscere di cosa sia davvero fatta l’esistenza e il prezzo da pagare per renderla migliore. Non gliene facciamo una colpa, ma gli auguriamo di impararlo in fretta: così da dare al loro indubbio talento lo spessore di cui avrà bisogno per sopravvivere all’incalzare delle prossime mode. Cd Novità MATTAFIX Signs of struggle (Virgin) Marlon Roulette e Preetesh Hirji sono due giovani londinesi di origini terzomondiali (caraibico il primo, indiano il secondo). Questo interessante album debutto spazia dall’urban blues al rap, dalla dance elettronica al reggae: un bel melting-pot modernista che è già valso al duo l’apprezzamento della critica e un buon seguito di pubblico. Da tener d’occhio. ROBERTO DURKOVIC Semplicemente vita (Storie di Note) Tra Capossela, Bregovich, De André e gli chansonniers francesi, questo terzo album dell’artista pavese (ma di origine ceca) è anche il frutto dell’incontro tra la sua vena cantautorale e la verve di alcuni eccellenti musicisti tzigani incontrati per caso su un metrò dove questi si esibivano). Un bel disco davvero: divertente, poetico, profondo, meravigliosamente multietnico.

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