The Startup. Il ritorno di Alessandro D’Alatri
Alessandro D’Alatri non è un regista appena nato (classe 1955, sposato, due figlie), ha alle spalle una carriera di tutto rispetto e di meritato successo, da Casomai ai Giardini dell’Eden, da Senza pelle a La febbre. Dal 2009 però, dopo il delicato e incompreso Sul mare, non ha lavorato per il cinema, ma per la televisione e per il teatro. È perciò una bella sorpresa rivedere il suo nuovo film che si intitola The Startup, prodotto da Luca Barbareschi. Diciamolo subito, una volta tanto una storia che non finisce male, anzi è qualcosa di giovanile che apre uno spiraglio alla speranza. Davanti ai soliti film sui giovani che ce li mostrano disadattati, inguaiati, annoiati o esuli dal Belpaese, stavolta si parla di un personaggio vero, che esiste, lavora, e si è mostrato a tutti nella conferenza stampa. Cioè, Matteo Achilli.
Un ragazzo della periferia romana, famiglia modesta e onesta, un futuro forse alla Bocconi, una fidanzata, Emma, che fa la ballerina. Non è ammanicato con nessuno, nemmeno il padre, non ha le conoscenze giuste coi potenti come qualche compagno di liceo che si diverte ad umiliarlo. Ma il giovane è tenace. Non si abbatte, non protesta, ma ha una idea: elaborare un sistema che metta in contatto i giovani in cerca di lavoro con le aziende che cercano lavoratori. La formula che inventa è vincente, la chiama Egomnia (dal latino, io, tutto), una piattaforma digitale capace di far interagire domanda e offerta privilegiando i candidati in base al merito e non al clientelismo. Nessuno all’inizio gli crede, tranne Giuseppe, un informatico che lo affianca e condivide il progetto. Matteo va a Milano, frequenta la Bocconi, incontra nuovi amici, un po’ si perde e rischia di guastare il prodotto e sé stesso. Intanto si prepara al lancio del sito per il 7 marzo 2012, lavorando freneticamente. Nel 2014 Egomnia conta oltre 100mila iscritti e oltre 500 aziende. Il successo è enorme, Matteo rischia di farsi travolgere, trascurando gli affetti e le basi ideali della sua scelta. Ma il ragazzo si scuote, prosegue la corsa e ritrova l’amicizia con Giuseppe e l’affetto di Emma. Tuttora.
D’Alatri ha cercato una storia reale, a mostrare che i giovani sanno ancora sognare, rischiare e lottare. Si riallaccia in qualche modo a Sul mare, ma senza il dramma personale e sociale sotteso, anche se pure qui il dramma esiste − D’Alatri non lo dimentica mai in ogni suo film −, ma non è esasperato, bensì seguito, approfondito (con leggerezza) e superato. Regista di giovani, egli li comprende più di altri autori nei sogni, nelle illusioni, negli sbandamenti. E nella positività, che non è utopica, ma reale.
Gli interpreti sono bravi e credibili, da Andrea Arcangeli a Paola Calliari, da Matilde Gioli a Luca Di Giovanni. Il film mantiene la pulizia del ritmo, del racconto rapido, delle intuizioni veloci mai superficiali, nel giusto contrappunto con la colonna sonora di Pivio & Aldo DeScalzi. Il gioco tra Roma e Milano funziona bene, il regista non manca di mettere a fuoco con momenti incisivi i caratteri e gli ambienti diversi, all’apparenza, però simili quanto a corruzione.
D’Alatri ha fatto centro. Sa parlare del sociale senza gridare, guardando la realtà e lasciando spazio alla capacità di iniziativa dei giovani che, lottando, si fanno avanti. Una manciata di coraggio. Fa bene ai giovani e al nostro cinema, ingolfato ancora in commedie e commediole.
Come purtroppo il road movie Ovunque tu sarai, di Roberto Capucci. Storia di un viaggio in Spagna di quattro amici romani per un addio al celibato e per la squadra del cuore in trasferta in Champions League. Incontrano la bella Pilar seducente, si scontrano, si conoscono meglio, tornano forse cambiati. Attori impegnati ma non troppo (Ricky Memphis, Primo Reggiani, Francesco Montanari, Ariadna Romero), un po’ si sorride, un po’ è déja vu, insomma…una commedia così così.
Invece, vuole essere un gioco al massacro Piccoli crimini coniugali di Alex Infascelli. Margherita Buy e Sergio Castellitto sono un duetto familiare, soli nell’appartamento. Lui ha perso la memoria a causa di un incidente, lei, amorevole, cerca di fargliela ritrovare. Piano piano le verità nascoste vengono a galla: rimorsi, rabbie, disprezzo pure. Una violenza verbale senza pause. Una tragedia parlata, la tragedia del ricordo, della caverna oscura che ognuno tiene dentro di sé e quando si apre non è certo luce, ma dolore atroce.
Infascelli sa di percorrere un terreno minato, già trattato da altri come Bergman in modo superbo, ma non demorde né si avvilisce nella commedia ma si espande nel graffio crudele. Il barocchismo di certi dialoghi e delle performances dei due attori non dà troppo fastidio, anche perché la Buy esce dal consueto stereotipo delle nevrotica e Castellitto della retorica, ma gradualmente diventano persone vive, pur con una vita senza troppi sbocchi. Meno male che ci sono i giovani di D’Alatri.