The hurt locker
La regista Kathryn Bigelow torna a parlare di guerra, questa volta quella in Iraq, interrogandosi sull’equilibrio psicologico dei combattenti. Una squadra di artificieri si occupa di disinnescare ordigni, nascosti in vari modi nelle strade della capitale martoriata, svolgendo un compito reso ancor più pericoloso dall’azione dei cecchini. La Bigelow ha dichiarato di aver voluto raccontare la verità, soprattutto ai suoi connazionali, e che ne ha sentito l’ispirazione dopo aver parlato con il giornalista Mark Boal. Questi è stato a lungo in Iraq a contatto con gli artificieri, spesso temerari e incoscienti, scoprendo che sono volontari, che tornano dopo aver esaurito il periodo di ferma. Ella ha voluto indagare come nelle loro menti il rischio finisca per diventare una droga, la forza che dà sapore alla vita. Il soggetto del film più che una storia lineare è un percorso elicoidale, con il ripetersi di situazioni analoghe, e dà l’idea dello smarrimento del protagonista, che confessa di non sapere perché è quello che è. Per l’argomento bellico e il ritmo adrenalinico adottato e sviluppato da questa autrice, molti dicono che il suo lavoro è come quello di un uomo. Ha risposto che anche una donna può affrontare la violenza in una pellicola. E, in realtà, la sua femminilità può essere colta negli atteggiamenti di vari personaggi, che non arrivano agli estremi di malvagità grossolana, consueti nelle descrizioni di combattimenti, e che nei loro dialoghi rivelano sensibilità riguardo agli affetti e ai legami matrimoniali. The hurt locker è apprezzabile, perché denuncia efficacemente le conseguenze sottili e alienanti, che possono derivare ad un uomo comune da quel male che è la guerra. Regia di Kathryn Bigelow; con Jeremy Renner, Anthony Mackie.