The Bassarids al Teatro dell’Opera

L’opera di Hans Werner Henze rivisita le Baccanti di Euripide apre la stagione puntando i riflettori sulla follia di qualsiasi potere, civile politico o religioso che diventa fanatismo. Regia di Mario Martone
The Bassarids

Coraggiosamente, il teatro della Capitale ha aperto la nuova stagione il 27 novembre affidandosi al contemporaneo. L’opera del 1966 rivisita la tragedia “Le Baccanti” di Euripide sul contrasto fra il dio Dioniso e il giovane re Penteo. Quanto il dio è duro, crudele e lontano dal rispettare gli uomini, tanto il giovane è deciso, pio, ma ostile ad una religiosità fanatica. Soccomberà dilaniato dalle Baccanti e il dio trionferà. Ma davvero? Il finale euripideo in cui permane da parte degli uomini – il coro – il timore per l’insondabile mistero della divinità è sincero, è una resa all’inconoscibile o è una critica desolata?

 

Forse l’opera scritta da Hans Werner Henze punta a quest’ultimo significato, la follia di qualsiasi potere, civile politico o religioso che sia. Davanti al fanatismo non si può che soccombere (quanto mai attuale!), ma almeno qualcuno reagisce, pur pagando con la vita.

 

La regia di Mario Martone – una delle sue migliori – vede un proscenio unico con due grandi muraglie laterali ed un gigantesco specchio centrale: esso si fletterà a mostrare le orge delle Baccanti e poi si risolleverà a evidenziare il dramma dei protagonisti, Penteo, il vecchio Tiresia, l’anziano Cadmo, la madre e la sorella. I costumi di Ursula Patzak creano una atmosfera sontuosamente dark come le scene di Sergio Tramonti, drammaticamente insanguinate.

 

L’azione in un atto – due ore di ascolto che scivolano via in fretta – è attualizzata come in un regime dispotico poliziesco con i movimenti di massa che compartecipano allo svolgimento della narrazione in modo tumultuoso: il coro è personaggio centrale, che Martone utilizza di continuo, dando ai suoi interventi scenico-canori una valenza spettacolare. Ma è spettacolo orrendo –nel senso etimologico di stupore spaventoso – di lotta tra verità e mito, equilibrio e irrazionalità.

 

Sul palco un cast di forte spessore recitativo e musicale (voci perfette, forti, slanciate) genera una vitalità sovrabbondante ma mai eccessiva, confacente alla musica di Henze. La quale utilizza ogni risorsa timbrica dell’orchestra con una incessante varietà ritmica per esprimere in fortissimi dilanianti, in “concertati” furenti, in sussurri angoscianti, insieme ad una vocalità aspra, la tragedia dell’uomo di ieri e di oggi di fronte alla superbia, sia divina che umana.

La direzione competente di Stefan Soltesz e i l coro così preparato da Roberto Gabbiani hanno dato vita ad uno spettacolo fascinoso, da grande opera dark, visionaria e patetica insieme, grazie in particolare alla regia densa e vivace di Martone.

 

Da non perdere. Repliche il 3, il 5 e il 10.

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