Thailandia …Pasqua con chi vuoi

“Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. Così, dopo aver trascorso Natale con mamma e familiari in Toscana, per Pasqua ho deciso di stare insieme ad una delle comunità del focolare, a Bangkok, che aveva invitato a pranzo una famiglia di profughi del Myanmar
Pasqua a Bangkok Foto GR

Bangkok ad aprile è invivibile: non veniteci! Io sono qui per lavoro ed anche se il caldo mi piace, il mese di aprile è pesante anche per un “animale a sangue freddo” come il sottoscritto.

Anche se non ti muovi, ti trovi bagnato (dal sudore) come sotto una doccia. Ecco perché in Italia, io raramente sudo, anche ad agosto, dopo 33 anni vissuti ai tropici.

Quest’anno ho voluto trascorrere il giorno di Pasqua in una delle comunità dei focolari di Bangkok. Così, la mattina di Pasqua, mi sono recato presso la locale comunità maschile dei focolari portando il mio contributo per il pranzo: una pietanza a base di carne preparata dal sottoscritto, con gusto medio orientale (ho vissuto per un breve periodo in Terra Santa nel 2014), con tanto di pane arabo.

Mi hanno accolto un italiano, un olandese, un birmano e due filippini. Qualche domanda, tanti sorrisi, e pensavo fosse lì la festa: invece, con gioiosa sorpresa, mi hanno detto che aspettavano degli ospiti di riguardo. Mi sono detto: “sarà qualche ricco o ricca amica”. Invece, dopo una decina di minuti, vedo che sale le scale una famigliola di persone modestistissime, e scopro che sono birmani. Mi spiegano che si tratta della famiglia di un operaio che ha di recente pitturato la casa.

Noto che la signora, Thin Thin, è muta ed ha oltrepassato la quarantina. Lui, Moe, il marito, magro, è un ex militare: «Ma non ho mai sparato in colpo», ci tiene a precisare. E c’è un bambino di 17 giorni, il loro figlioletto, che a malapena apre gli occhi e ti guarda, senza mai piangere. Sembra un piccolo angelo.

È una famigliola indifesa che la comunità ha preso ad aiutare con piccoli servizi, come portandoli dal medico, comprando la culla per il bambino, chiedendo ‘a destra e a manca’ assistenza per aiutare la donna a partorire in età così matura, e poi con il diabete e, all’epoca della conoscenza, con il Covid. Un aiuto fatto di medicine, cibo e soprattutto vicinanza, affetto, calore umano.

Non è difficile trovare birmani come loro a Bangkok: le stime più caute parlano di almeno 1 milione di profughi birmani che fanno i lavori sporchi, come lavapiatti, pulizie, aiuto-meccanici… e giù giù fino ai lavori più pericolosi. Questa è la vita di chi scappa dalla guerra del Myanmar, la più lunga della storia dell’umanità: 70 anni. E senza un barlume di pace all’orizzonte.

Quello che mi stupisce e mi incanta è come questi focolarini stranieri, grandi e grossi, di fronte a questo neonato e a questi sposi poverissimi si fanno in 4 per loro. Lo confesso, mi sono commosso. Chi più e chi meno, naturalmente: il vichingo olandese, come scherzosamente lo chiamo io, non ha certo il calore dei filippini o l’accoglienza dell’italiano, ma anche lui fa del suo meglio per farsi presente con gli ospiti.

Inizia il pranzo e mi accorgo che hanno preparato un autentico banchetto: accanto alla pietanza che ho portato ci sono anche delle tagliatelle ai funghi e panna, minestrone toscano cucinato da uno dei filippini, frittata di zucchine, vino, birra e gelato. La famigliola birmana inizia timidamente ad assaggiare: abituati al pane duro dei rifugiati, oggi è davvero un banchetto speciale per loro.

Piano piano si sciolgono, mentre il bambinello zitto zitto dorme serenamente adagiato sul pavimento, su un materassino. Per lui hanno acceso anche l’aria condizionata. Per me non l’hanno mai fatto!

Mi raccontano la storia della famigliola: sono scappati lasciando altri due figli adolescenti in Myanmar, in una zona pericolosa. Li chiamiamo e noto negli occhi tristi dei ragazzi rimasti a casa sbocciare la felicità di vedere mamma, papà e fratellino salvi e “freschi” a Bangkok.

Sì: è dura la vita per chi scappa, per chi non ha una patria, per chi ha nei suoi ricordi solo pallottole e missili.

In Myanmar, come in Ucraina, si muore facilmente. Il tempo del pranzo trascorre sereno e gioioso, anche se per la maggior parte in “asiatico silenzio”. C’è in tutti una gioia evidente. Mi racconteranno più tardi: «Oggi è come se avessimo accolto Giuseppe, Maria e Gesù bambino in fuga verso l’Egitto. È iniziato tutto quando uno di noi, vedendo un’operaia che lavorava col pancione, decise di darle qualcosa per aiutarla senza che lei avesse chiesto nulla. Solo dopo abbiamo conosciuto la loro storia, peraltro simile a quella del milione di profughi che arriva nella città degli angeli, Krung thep» (Bangkok).

Finito il pranzo mi offro di riportarli in macchina fino al rifugio dove dormono: l’indomani avrebbero cambiato città e addirittura regione, dirigendosi verso una zona industriale a est. In cerca di lavoro.

Li rivedrò ancora? Ma quel “batuffolo di bambino” che mi guarda non lo potrò dimenticare. Mi ricorda troppo un Altro bambino, anche lui indifeso, eppure Signore del mondo intero. Penso che si assomiglino tanto! Anche Lui aveva bisogno di cure, di latte, di qualcuno che lo proteggesse. Lui che era venuto per proteggere tutta l’umanità.

Questa mamma non ha più latte: così cerco di aiutarla con quanto posso per comprare il latte ed il marito è felice. A volte basta un gesto di vicinanza per fare di una festa una vera Pasqua, qualcosa di speciale. Riparto felice e ringrazio i miei amici focolarini di Bangkok. È stata una Pasqua con chi ho voluto, una Pasqua diversa, speciale. Con chi è normalmente escluso dalla festa. Vorrei che tutto l’anno fosse come questa Pasqua: ci spero e ci provo!

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