Testori, una biografia
Quando era già malato terminale, a Testori capitò di sentirsi dire, e da un cristiano, che Dio non può essere nella sofferenza, perché non la vuole. Era un cristianesimo troppo superficiale per lui “grande testimone”, come lo definì poi il cardinale Martini. Rispose che se Dio non è anche nella sofferenza non è in nessun’altra realtà. Da allora, dalla sua morte (1993), Testori – dopo lo “scandalo” del suo teatro di oltranza verbale e morale, approdato poi, con drammatica dolcezza, alla riscoperta cristiana – è stato piuttosto rapidamente e “volentieri” dimenticato: dal mondo laicista che non gli perdona l’intrattabile e non accomodata testimonianza cristiana anti-materialista e soprattutto anti-consumista (comprendente nel suo anti tanto spiritualismo accomodato), e da una parte del mondo stesso in quanto, appunto, accomodandosi e rifuggendo la verità cruda e spesso trafiggente del Vangelo, preferisce addormentarsi in slogan dal sapore New Age. Vita di Testori di Fulvio Panzeri (Longanesi) fa bene proprio a quell’inedita categoria di cristiani che non vogliono sentirsi peccatori (come si sentiva e diceva di essere Testori) ma pretendono di essere cristiani molto accomodati al mondo, cioè falsi cristiani. Panzeri ha il merito di costruire una biografia soprattutto intellettuale, artistica, morale dell’autore, spiegando Testori con Testori, facendo parlare, muoversi, agitarsi, lui. Si sarebbero potute cosi mettere insieme sette od ottocento buone pagine, ma forse è meglio che all’addormentato o distolto mondo della cultura italiana ne arrivino queste ben leggibili duecentocinquanta. Detto questo, alcune rapide osservazioni. Testori è stato, anche se non sempre, un grande narratore (Il dio di Roserio, Nebbia al Giambellino, La cattedrale stanno a testimoniarlo); un critico d’arte, nel senso pieno di scrittore, sempre grande e a volte grandissimo, accanto e insieme al suo maestro Roberto Lorghi; un autore teatrale innovatore e radicale, che ha raggiunto la sua migliore efficacia non tanto, a mio parere, nelle prime opere “scandalose” ma in quelle della piena maturità, da Conversazione con la morte all’assoluto capolavoro In exitu; e l’autore di alcuni versi (tra i molti) di plastica bellezza spirituale. È stato inoltre l’autore fervido e incandescente di moltissimi interventi “giornalistici”, su questioni scottanti della frana morale italiana, raccolti nell’indimenticabile volume La maestà della vita. Per il complesso della sua opera si potrebbe dire che ha scritto troppo, ma è pur vero che è da quel troppo che si distilla l’ottimo delle sue pagine migliori. Le quali pagine sono essenziali, insostituibili e imparagonabili. Perderle significa, appunto, addormentarsi. In un linguaggio deviante dalla norma, “forzato” a dire verità, barocco, espressionista, meticciato con tutti i possibili apporti, la parola inconfondibile di Testori, che come le crucciate forme di Michelangelo sempre si contorce e come le sgomentate visioni poetiche moderne continuamente “sviene”, comunica verità umane nella loro straziata mortalità irrespingibili, e le mette a contatto nudo con l’assoluto, con Dio. Ciò non può non far rabbrividire chiunque, peccatore o santo, ma non legittima nessuno alla distrazione ipocrita o alla mentita noncuranza. “La vita non dà risposte “, ecco una tipica verità testoriana mozzafiato, che affretta la disperazione e insieme la sospinge a risolversi in un colloquio più grande della vita stessa. In tal modo la “povera, cieca e demente umana vicenda” nell'”interrogazione dell’uomo dubitante riceve la risposta da cui l’interrogazione medesima s’origina”. Non è questa una grande, alta intelligenza spirituale?