Testimoniare la novità
Nei suoi studi ha evidenziato nel rifiuto della teologia politica una continuità tra Benedetto XVI e Francesco. Cosa significa?
Dall’11 settembre 2001 (attacco a New York, ndr) assistiamo a un reiterato abuso della religione utilizzata per legittimare situazioni di guerra tra i popoli e gli Stati, tra Occidente e Islam. Oggi tra l’Ortodossia russa e quella ucraina. Nel mondo postsecolare i conflitti assumono un volto politico-religioso. Tanto Benedetto, con il suo discorso di Ratisbona, quanto Francesco si sono rivelati intransigenti critici del connubio fatale tra religione e guerra. A fronte del processo di secolarizzazione, promosso in modo totalmente acritico da una sinistra liberal dimentica del sociale, avanza una reazione conservatrice che usa strumentalmente della religione per fini di potere. Tanto Benedetto quanto Francesco hanno chiamato, e oggi Francesco chiama, i cristiani alla loro responsabilità storica distinguendo tra la fede e le sue declinazioni contingenti.
Papa Bergoglio pone la centralità del pueblo fiel e dei movimenti popolari. È il segno della svolta annunciato dal Concilio?
La categoria del pueblo fiel in Bergoglio indica la dimensione del popolo credente, cristiano. Una realtà ben presente in America Latina e che noi, in Europa, facciamo fatica a decifrare. Il processo di secolarizzazione da noi riguarda tanto le realtà popolari quanto le elites. In questo senso la sfida della fede e per la fede è, in Occidente, più radicale. Francesco è certamente un papa conciliare e non si comprende il suo pontificato se non a partire dal Vaticano II che egli intende promuovere contro il vento conservatore che spira oggi nella Chiesa. Non direi, però, che egli sia il papa della “svolta”. In realtà tutti i papi degli ultimi 60 anni, da Giovanni XXIII in avanti, hanno rappresentato, con stili e forme diverse, il vento del Concilio.
Come si risponde in questa ottica alla descrizione di una Chiesa avviata verso il declino in Occidente?
Non si tratta di rifugiarsi in luoghi protetti, ma di testimoniare in modo umanamente credibile la novità cristiana nel mondo, quello di oggi, che non ha la più pallida idea della fede e della tradizione cristiana. Questo richiede esperienze di vita, maturate in ambiti comunitari ed ecclesiali aperti, non integralisti. Richiede processi formativi capaci di orientarsi, anche dal punto di vista culturale, in un mondo complesso, molto diverso da quello sognato negli anni ’60.