Testimonianza su Chiara Lubich e le sue “notti”
Quando ho conosciuto Chiara Lubich nell’estate del 1951 a Tonadico, uscendo dalla chiesetta del paese ai piedi delle Dolomiti, sono stata fortemente impressionata dal suo sguardo. Dandomi la mano mi ha detto soltanto «Buongiorno!», ma subito quegli occhi mi hanno richiamato lo sguardo stesso di Gesù di cui ci parla il Vangelo (cf. Mc 10, 21).
Era il tempo in cui la Chiesa di Roma studiava il Movimento dei Focolari (il vescovo di Trento nel 1947 aveva già dato un’approvazione diocesana) e questa sospensione, per così dire, per Chiara, che credeva nella parola di Cristo «chi ascolta voi [gli apostoli] ascolta me» (cf. Lc 10, 16), era molto dolorosa.
Nel settembre dello stesso anno arrivai in focolare a Roma e durante le feste di Natale tutti i focolarini e le focolarine della città, allora una dozzina, furono invitati a pranzo dalla signora Elena Alvino, dell’alta borghesia, soprannominata Frate Jacopa dei Sette Soli, riferendosi alla nobildonna presente nella vita di san Francesco d’Assisi. Durante quel pranzo di nuovo incrociai lo sguardo di Chiara. Lei amava tutti, ma in quegli occhi c’era un dolore abissale. Quel Dio-Amore che l’aveva chiamata, per il quale aveva vissuto facendolo amare da centinaia di persone, che l’aveva guidata passo passo, che l’aveva illuminata nel comprendere e tradurre in vita il Vangelo, che le aveva aperto la visione di “cieli nuovi e terre nuove”, non lo avvertiva più… Com’era possibile? Come poteva Dio permettere l’abbandono da parte della Chiesa e contemporaneamente l’abbandono di Dio?
In quel pranzo scoppiai a piangere, a tal punto che fui costretta ad alzarmi da tavola e rifugiarmi dietro la prima porta che trovai.
Nei mesi seguenti ho saputo di più.
Chiara si era confidata con padre Giovanni Battista Tomasi, ex-generale degli stimmatini, a cui il vescovo di Trento, pure stimmatino, aveva affidato i focolari di Roma. Accompagnavo Chiara da lui in auto, in via del Mazzarino. Padre Tomasi l’ascoltava e le sue parole al momento le offrivano una soluzione. Ma poco dopo nuove problematiche, nuovi interrogativi, scrupoli… la pace era perduta. Si ritornava da lui sempre più frequentemente.
Un giorno il Padre diede a Chiara un grande libro di san Giovanni della Croce: La salita al Monte Carmelo, mi pare. Chiara lo aprì immediatamente ed era sempre più attirata a leggere quelle pagine. Il santo descriveva la «notte oscura dello spirito». Con grande sollievo Chiara ci chiamò, ci lesse alcune frasi e ci disse che rispecchiavano proprio il suo stato d’animo. San Giovanni della Croce descriveva la cosiddetta «notte oscura» come una luce così forte che illumina l’anima da farle vedere con chiarezza le proprie mancanze, le sue imperfezioni a confronto con la perfezione di Dio, o con l’Idea che Dio aveva avuto di lei creandola. Per questo la persona si sente così imperfetta, così indegna, vede i suoi errori così gravi, da sentirsi lontana da Dio al punto di vedere impossibile la sua salvezza. È certa di finire all’inferno. E le sembra che il confessore, non comprendendo la gravità dei suoi peccati, non possa capirla, non possa rendersene conto in modo giusto…
Ricordo che Chiara portò questo librone anche da Frate Jacopa e che, finito il pranzo, mentre la signora e il marito si erano
ritirati in un’altra stanza, Chiara, con noi focolarini e focolarine attorno, ci leggeva vari brani sulla “notte”: la persona in quello stato, vedendosi solo peccatrice, vorrebbe essere piuttosto senza libertà, come un animale che obbedisce alla legge naturale, o addirittura come un insetto, «un ragno» era scritto in san Giovanni della Croce. Chiara citava questo paragone come quello che veramente la esprimeva. E continuava a leggere a noi che, come potevamo, partecipavamo a questo suo infinito turbamento spirituale.
Di quel tempo ho anche molto presente una confidenza che Chiara ci aveva fatto: il diavolo con la sua logica le suggeriva: «Ti sei creata un mondo che non esiste. È tutta un’illusione tua questo Dio-Amore, questo amore ai fratelli, questo amore reciproco. Ti sei fatta un castello sopra le nuvole. Guarda la realtà, il mondo fuori. La vita è un’altra…». Ma un giorno lei stessa, vedendo accanto a sé Natalia che preparava con cura qualcosa da offrirle, dentro di sé disse: «Come si fa a non amare questa Natalia?». E si decise di nuovo ad amare. E l’amore ritornò in lei, e la notte scomparve […].
Era il tempo in cui la Chiesa di Roma studiava il Movimento dei Focolari (il vescovo di Trento nel 1947 aveva già dato un’approvazione diocesana) e questa sospensione, per così dire, per Chiara, che credeva nella parola di Cristo «chi ascolta voi [gli apostoli] ascolta me» (cf. Lc 10, 16), era molto dolorosa.
Nel settembre dello stesso anno arrivai in focolare a Roma e durante le feste di Natale tutti i focolarini e le focolarine della città, allora una dozzina, furono invitati a pranzo dalla signora Elena Alvino, dell’alta borghesia, soprannominata Frate Jacopa dei Sette Soli, riferendosi alla nobildonna presente nella vita di san Francesco d’Assisi. Durante quel pranzo di nuovo incrociai lo sguardo di Chiara. Lei amava tutti, ma in quegli occhi c’era un dolore abissale. Quel Dio-Amore che l’aveva chiamata, per il quale aveva vissuto facendolo amare da centinaia di persone, che l’aveva guidata passo passo, che l’aveva illuminata nel comprendere e tradurre in vita il Vangelo, che le aveva aperto la visione di “cieli nuovi e terre nuove”, non lo avvertiva più… Com’era possibile? Come poteva Dio permettere l’abbandono da parte della Chiesa e contemporaneamente l’abbandono di Dio?
In quel pranzo scoppiai a piangere, a tal punto che fui costretta ad alzarmi da tavola e rifugiarmi dietro la prima porta che trovai.
Nei mesi seguenti ho saputo di più.
Chiara si era confidata con padre Giovanni Battista Tomasi, ex-generale degli stimmatini, a cui il vescovo di Trento, pure stimmatino, aveva affidato i focolari di Roma. Accompagnavo Chiara da lui in auto, in via del Mazzarino. Padre Tomasi l’ascoltava e le sue parole al momento le offrivano una soluzione. Ma poco dopo nuove problematiche, nuovi interrogativi, scrupoli… la pace era perduta. Si ritornava da lui sempre più frequentemente.
Un giorno il Padre diede a Chiara un grande libro di san Giovanni della Croce: La salita al Monte Carmelo, mi pare. Chiara lo aprì immediatamente ed era sempre più attirata a leggere quelle pagine. Il santo descriveva la «notte oscura dello spirito». Con grande sollievo Chiara ci chiamò, ci lesse alcune frasi e ci disse che rispecchiavano proprio il suo stato d’animo. San Giovanni della Croce descriveva la cosiddetta «notte oscura» come una luce così forte che illumina l’anima da farle vedere con chiarezza le proprie mancanze, le sue imperfezioni a confronto con la perfezione di Dio, o con l’Idea che Dio aveva avuto di lei creandola. Per questo la persona si sente così imperfetta, così indegna, vede i suoi errori così gravi, da sentirsi lontana da Dio al punto di vedere impossibile la sua salvezza. È certa di finire all’inferno. E le sembra che il confessore, non comprendendo la gravità dei suoi peccati, non possa capirla, non possa rendersene conto in modo giusto…
Ricordo che Chiara portò questo librone anche da Frate Jacopa e che, finito il pranzo, mentre la signora e il marito si erano
ritirati in un’altra stanza, Chiara, con noi focolarini e focolarine attorno, ci leggeva vari brani sulla “notte”: la persona in quello stato, vedendosi solo peccatrice, vorrebbe essere piuttosto senza libertà, come un animale che obbedisce alla legge naturale, o addirittura come un insetto, «un ragno» era scritto in san Giovanni della Croce. Chiara citava questo paragone come quello che veramente la esprimeva. E continuava a leggere a noi che, come potevamo, partecipavamo a questo suo infinito turbamento spirituale.
Di quel tempo ho anche molto presente una confidenza che Chiara ci aveva fatto: il diavolo con la sua logica le suggeriva: «Ti sei creata un mondo che non esiste. È tutta un’illusione tua questo Dio-Amore, questo amore ai fratelli, questo amore reciproco. Ti sei fatta un castello sopra le nuvole. Guarda la realtà, il mondo fuori. La vita è un’altra…». Ma un giorno lei stessa, vedendo accanto a sé Natalia che preparava con cura qualcosa da offrirle, dentro di sé disse: «Come si fa a non amare questa Natalia?». E si decise di nuovo ad amare. E l’amore ritornò in lei, e la notte scomparve […].
In allegato l’articolo completo.