Testimonianza ed apertura
Queste le chiavi alla trasmissione dei valori, come hanno spiegato quattro giovani di religioni diverse al Festival biblico di Vicenza
Cenap, Metta, Paolo ed Hiro sembrano avere poco in comune se non l’età: tutti sui trent’anni o poco più e tutti impegnati in dottorati di ricerca. Per il resto rappresentano una fetta di mondo e di culture: due buddhisti – giapponese Hiro e thailandese Metta – un musulmano – Cenap, nato e cresciuto ad Istanbul – e un cattolico proveniente da un borgo delle vallate trentine – Paolo, l’unico già sposato.
Nel corso del recente Festival Biblico tenutosi a Vicenza hanno dato vita ad un’animata tavola rotonda sul tema “Di generazione in generazione”. La trasmissione della propria cultura e dei valori religiosi è da sempre una priorità nella vita dell’uomo e delle comunità, ed i quattro giovani lo hanno confermato dipingendo un quadro variegato.
Partendo dal Giappone, caratterizzato dal buddhismo mahayana e soprattutto dallo shintoismo, dove però – ha sottolineato Hiro – si vive oggi nell’indifferenza del fatto religioso, si è arrivati ai templi della Thailandia. Qui i monaci theravada, racconta Metta, comunicano con la loro presenza spesso silenziosa i valori plurimillenari del Buddha. Ma un ruolo importante lo ha anche il sovrano, che assicura che la religione sia rispettata ed i suoi valori restino parte integrante del tessuto sociale.
Il giovane turco ha ripercorso le vie del ruolo di “ponte fra Oriente ed Occidente” che Istanbul rappresenta fin dai tempi di Costantinopoli. Ai grandi sviluppi epocali prodotti dall’impero bizantino e da quello ottomano e dall’impegno nel rispetto delle varie fedi e culture ha aggiunto una scena di vita quotidiana, che ha dato la misura dell’importanza della famiglia nel trasmettere e fissare i valori nella mente e nel cuore delle nuove generazioni. Cenap ha infatti ricordato la figura del nonno ed il suo ruolo chiave, sigillato dal premio che ricevette per aver fatto per la prima volta una giornata di digiuno con gli adulti all’età di sette anni.
Il ruolo della famiglia è fondamentale, soprattutto se confermato dalla testimonianza di vita dei genitori, anche in Giappone. Quasi tutte le famiglie buddhiste lì hanno un piccolo spazio con un’immagine o una statua di Buddha, e qualche ricordo scritto o foto dei familiari defunti. «Quando noi bambini – racconta Hiro – ricevevamo qualche regalo, lo mettevamo all’altare prima di mangiarlo o giocare, ringraziando il Buddha». Ma importante è stata anche l’appartenenza a movimenti di rinnovamento religioso. La famiglia del giovane giapponese è da decenni impegnata in seno alla Rissho Kosei-kai, e pratica la recitazione quotidiana della Scrittura davanti all’altare della casa. «I miei genitori pregavano ogni mattina o sera, suggerendoci di farlo, pur senza obbligarci. Pigro come sono – riconosce il giovane – allora non pregavo, ma spesso ero davanti all’immagine di Buddha a parlare con Lui».
Vicino all’immaginario della maggior parte dei presenti, Paolo, nato in un paesino delle vallate trentine, ha notato come, di fronte alla frattura fra i valori familiari e quelli della scuola e delle istituzioni, si sia inserita una sorpresa inattesa. Le locali feste e sagre, tipici veicoli culturali e religiosi, sono state sostituite da feste dei popoli. Qui sta la lettura attenta di una società che cambia a livello globale.
L’osservazione del giovane italiano sui cambiamenti dei modelli di convivenza nei paesi del nord est dell’Italia propone una delle grandi novità sperimentate ad ogni latitudine: gli incontri fra “diversi”, spesso visti come una minaccia ai propri valori ed identità. Per Metta questo incontro è avvenuto già in tenera età. «Quando ero bambina – racconta la giovane buddhista thai – ho studiato in una scuola cattolica, ed ho partecipato ad attività per conoscere il cristianesimo. Anche quando c’era la festa buddista la scuola portava gli studenti alla festa nel tempio. In questo modo noi imparavamo il valore della religione in senso ampio, ossia quanto sono importanti le religioni per la persona umana».
Paolo non è stato meno chiaro in merito. Nell’incontro con persone di altre fedi la propria non si è affatto annacquata. «Quello che mi viene chiesto – afferma con pacata ma ferma sicurezza – è la mia religiosità vissuta e piena, non diluita, in quanto per apportare qualcosa devo avere la mia identità religiosa, vissuta nella sua interezza, come mi è stata trasmessa e come io cerco di viverla. Mi trovo a dover essere innanzitutto un cristiano scrupoloso. Poi c’è la conoscenza della religiosità altra, c’è l’arricchimento che viene dall’incontro con l’altro che porta la sua specificità e lascia qualcosa dentro la mia identità, qualcosa in più e non in meno».
Anche Hiro, da sei anni in Italia per un dottorato, non teme di affermare che «a contatto con le persone delle diverse religioni mi trovo in un cammino di continua scoperta e di approfondimento per la mia fede, senza alcuna perdita di ciò che è la mia origine. Mi considero più buddhista di prima e più giapponese proprio grazie al Cristianesimo, che è ormai una parte costitutiva del mio essere buddhista».