Testimoni di 3P

Nel giorno dell'anniversario dell'uccisione di don Pino Puglisi  da parte della mafia, vi proponiamo la testimonianza di un suo alunno pubblicata nel 2013 in un articolo di Città Nuova rivista
Padre Pino Puglisi

Palermo, 15 settembre 1993. Piazza Anita Garibaldi 5. Borsello sotto braccio, chiavistello dentro la serratura. L’avvertimento: «Questa è una rapina». Padre Pino Puglisi sorride. Si volta verso Salvatore Gricoli e Gaspare Spatuzza, i killer. «Vi aspettavo». Dalla 7.65 parte il colpo alla nuca. Il corpo si accascia. Il piombo spegne a poco a poco la vita, ma non cancella il sorriso. Corsa all’ospedale, inutili tentativi di rianimazione. Pino Puglisi muore il giorno in cui avrebbe compiuto 56 anni. Il 25 maggio papa Francesco lo proclamerà beato perché martire, ucciso in odium fidei (in odio alla fede). Il suo miracolo? Aver testimoniato il Vangelo nella borgata di Brancaccio. Un Vangelo che è diventato luogo di lavoro, di amicizia, di riscatto, frequentato da giovani e meno giovani che Città Nuova ha raggiunto per raccontarvi chi è padre Pino Puglisi.

 

Francesco Deliziosi, l’alunno. «La prima volta che entrò in classe aveva uno scatolone vuoto sotto braccio. In silenzio, lo posò per terra. E mentre lo guardavamo, lo pestò con un piede. “Avete capito chi sono io?”, domandò. “Un rompiscatole”, concluse sorridendo. Ci spiegava che le orecchie grandi gli servivano ad ascoltare meglio, le mani grandi per accarezzare con più tenerezza, i piedi grandi per camminare veloce e soddisfare subito le richieste di aiuto. “E quella testa pelata?”, domandavamo impertinenti. E lui passandosi una mano sulla calvizie: “Per riflettere meglio la luce divina”».

 

Era il 1978 e fino al 1983 3P, come lo chiamavano i suoi studenti è stato l’insegnante di religione di Francesco Deliziosi, ora caporedattore del Giornale di Sicilia e biografo di Puglisi nella commissione diocesana per la beatificazione. Da allievo ad amico a collaboratore il passo è stato breve. Insieme alla moglie Maria è stato animatore delle tante attività di scolarizzazione e di assistenza sociale a Brancaccio.

 

«Era stonato, ma non rinunciava a cantare. Dava appuntamenti e arrivava puntualmente in ritardo. Mangiava scatolette, pur di sbrigarsi, e diceva “la benzina è il mio pane”, perché preferiva riempire il serbatoio della sua auto (una Fiat Uno rossa usata), piuttosto che il frigorifero. Era un prete senza conto in banca. Mi vengono tanti parallelismi con le parole di papa Francesco: la Chiesa povera per i poveri, la gioia, la tenerezza. Si cercano modelli per i sacerdoti. Puglisi lo è. Accettò l’incarico a Brancaccio e mi disse: “Sono diventato il parroco del papa”, perché la casa di Michele Greco, considerato il papa della mafia, faceva parte della sua parrocchia. Anche i suoi assassini erano stati battezzati lì.

 

«Mi emoziona pensare che a pochi giorni dalla morte volevamo fare una raccolta di firme per la sua beatificazione, ma ci consideravano abbagliati. E ora la sua luce appartiene a tutta la Chiesa e alla società laica e civile. Mi dà i brividi pensare che non ha mai perso il suo sorriso. Sorrise davanti ai suoi assassini, diventati poi collaboratori di giustizia ripensando a lui. Neppure l’autopsia e l’estrazione del proiettile, neppure la riesumazione per traslarlo in cattedrale, a vent’anni dalla morte, lo hanno cancellato. Per questo Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso è il titolo che ho scelto per il libro che uscirà per Rizzoli in maggio».

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