Testimoni del tempo turbato
Pochi personaggi sanno essere non solo vicini alla gente ma anche modelli di vita
Nella fragile, fragilissima Italia di questi tempi turbati, in cui la bussola della convivenza civile è sottoposta a bruschi influssi magnetici di diverso segno, spesso fatti solo di opportunismo e populismo, poche persone sanno elevarsi al di sopra della mischia e assurgere a modelli, direi “naturali” e non mediaticamente costruiti, per giovani e adulti, per italiani e immigrati, per belli e brutti.
Tra tutti, nel panorama italiano (tralascio i “grandi“ del pianeta, Ratzinger in testa!) spiccano un “laico” e un cattolico, un uomo politico e un cardinale, un uomo delle istituzioni civili e uno di quelle religiose. Il presidente della Repubblica Napolitano e l’arcivescovo di Milano Tettamanzi. Sono persone, come si dice, “specchiatissime”, cioè senza scheletri negli armadi, che parlano con chiarezza, soprattutto che sanno ascoltare. Sgombriamo il campo da un equivoco possibile: non è un discorso politico, e tantomeno partitico, quello che sto facendo, ma un semplice suggerimento civile. Entrambi ricoprono con grande attenzione alle regole i loro ruoli, di indubbia rilevanza istituzionale. Ma anche con grande autorevolezza.
Qualcosa li unisce, pur nella loro diversità di percorsi, cultura e convinzioni.
Non gridano, il che non è “normalità” nella sguaiata comunicazione mediatica dei talk show e dell’abitudine all’aggressione, dell’immediatezza delle comunicazioni che fatalmente diventa avventatezza.
Non demonizzano l’avversario, semplicemente perché non hanno avversari: Napolitano si dice ed è presidente di tutti gli italiani; Tettamanzi è arcivescovo di tutti i milanesi, di destra e di sinistra, di passaporto italiano o meno.
Sono sobri, naturalmente. L’uno nel richiamarsi ad un’etica della riservatezza e del pudore della miglior tradizione dei Lumi, l’altro rifacendosi alla pura etica evangelica.
Sanno ascoltare. Napolitano sa ascoltare studenti di tutte le tendenze, sa ricevere e accogliere i politici anche dopo essere stato “tirato per la giacchetta”, sa consolare i rom colpiti da una tragedia. Tettamanzi non cessa di percorrere la più grande diocesi d’Italia alla ricerca di chi soffre, di chi non ha voce, di chi fa parte del “terzo di esclusi”, scacciati dai “due terzi di inclusi” nella società della concorrenza spietata.
Sanno denunciare. L’ingiustizia, la prevaricazione delle regole condivise, il peccato sociale e quello personale, ma distinguendo sempre peccato e peccatore.
Entrambi sanno trasmettere quella tranquillità che tanto difetta all’Italia di oggi, semplicemente perché la tranquillità ce l’hanno nell’animo e nell’anima.
Che Dio ce li preservi! Che continuino ad essere modelli per tutti noi. «Si è autorità perché si è autorevoli», come diceva Simone Weil. Direi di più, ricordando con Bulgakov la sobornost: «La sola autorità è quella dell’amore».