Tessitore di pace nel Vicino Oriente

Dal memoriale di Mosè sul monte Nebo ai magnifici mosaici di Madaba, una vita spesa per salvare le testimonianze cristiane in Giordania: quella del francescano archeologo Michele Piccirillo, per gli amici “Indiana Jones col saio”
Lapide memoriale sul Monte Nebo

Novembre 2008. Nella camera ardente allestita nella sede romana della Delegazione di Terra Santa spiccavano su un antico capitello di marmo una piccozza e una cazzuola. Lì accanto, una Bibbia aperta al capitolo 32 del Deuteronomio: Mosè che dall’alto del monte Nebo (ora in Giordania) contempla da lontano la terra promessa. Parlavano, quegli attrezzi d’archeologo e il testo sacro, di tutta una vita, divisa tra le luci soffuse di una biblioteca e il sole abbacinante dei deserti, vita spentasi immaturamente il 28 ottobre: quella di padre Michele Piccirillo, il francescano della Custodia di Terra Santa conosciuta in tutto il mondo per aver restituito alla luce, nel Vicino Oriente, un patrimonio archeologico di rara bellezza, a conferma dei fondamenti storici del cristianesimo e delle radici cristiane di una regione oggi a larga maggioranza musulmana.

 

Indiana Jones col saio”: così scherzosamente veniva chiamato dagli amici questo discepolo di due illustri archeologi: padre Bellarmino Bagatti, che ha portato alla luce a Nazareth la più antica iscrizione in greco dell’Ave Maria, e padre Virgilio Corbo, cui si deve la scoperta della casa di Pietro a Cafarnao. A padre Michele va invece attribuito il merito di aver scavato e restaurato sul monte Nebo il santuario cristiano del IV secolo con annesso monastero, legato alla figura di Mosè, di aver salvato innumerevoli mosaici ellenistico-romani e bizantini da vandalismi e lavori edilizi, nonché creato, in Giordania e Israele, scuole per giovani restauratori, prescindendo da fedi religiose e nazionalità.

 

Amico di potenti, ma anche di semplici beduini, ha accompagnato nei luoghi santi anonimi pellegrini e personalità come Giovanni Paolo II durante il suo storico viaggio nel marzo del Duemila. Ed è stato prolifico autore di opere scientifiche e divulgative, l’ultima delle quali – apparsa postuma – è una guida della Palestina cristiana dal I al VII secolo.

 

Mentre rendevo omaggio alla sua salma, mi tornava alla mente l’intervista fattagli pochi mesi prima, all’indomani della premiazione di Tessere di pace in Medio Oriente, un documentario di Rai Cinema dedicato alla sua trentennale attività di scavo e restauro sul monte Nebo, a Madaba, a Umm er-Rasas (il luogo dove Gesù venne battezzato, dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità nel 2004) e in altri importanti siti.

 

Durante il colloquio mi aveva colpito il tono dimesso con cui egli riferiva di emozionanti scoperte condotte in mezzo a difficoltà d’ogni sorta, quasi ne fosse già distaccato. Ignoravo la malattia che di lì a poco lo avrebbe stroncato all’età di 64 anni.

Dopo aver ripercorso la propria attività nel luogo a lui più caro, quel Memoriale sul monte Nebo che la tradizione indica come luogo di sepoltura di Mosè (e dove ora, per suo desiderio, riposa anche lui), la ricerca di padre Michele si era estesa al vicino villaggio di Madaba, l’antica città episcopale da cui dipendeva il Nebo. «Grazie alla cooperazione dei governi d’Italia e Usa, mentre era in corso la guerra del Golfo – aveva ricordato l’archeologo – noi abbiamo creato a Madaba un bellissimo parco per conservare i resti antichi, ma soprattutto i pavimenti musivi rimessi in luce, appartenenti per la maggior parte a edifici ecclesiastici, ma anche pubblici e privati. Mosaici veramente magnifici. Non a caso si parla di una “scuola di Madaba” operante in città e nella regione.  Grazie a questi mosaici e alle iscrizioni che li corredano, abbiamo potuto ridare consistenza storica a una comunità cristiana di cui era rimasto appena qualche ricordo nelle fonti scritte, e riscriverne la fede. Tra le iscrizioni più importanti, quella del VII secolo nella chiesa dedicata alla Madonna, che presenta già tutti i suoi titoli: Regina, Madre di Dio, Immacolata, Vergine…».

 

La sua risposta alla domanda se il governo locale stava dando un efficace sostegno a quest’opera di scavo e tutela: «Se ho potuto realizzare quello che ho fatto è stato grazie all’appoggio del Dipartimento delle antichità di Giordania. Sa (e a questo punto non ha trattenuto una risata), ero un piccolo boss in zona: capivano che non facevo niente per interesse, non mi entrava nulla in tasca».

 

Già, padre Michele non agiva per interesse suo personale. Questa gratuità e le sue doti di umanità gli davano l’autorevolezza necessaria per svolgere quella che riteneva la sua missione principale: promuovere il rispetto fra i popoli e il dialogo fra le religioni, nella convinzione che il coinvolgimento delle popolazioni locali nella gestione e nelle conservazione del patrimonio storico-artistico potesse condurre alla pace nel Vicino Oriente.

 

Il fascino di questa personalità ha ispirato anche la figura dell’investigatore Matteo in due romanzi di Franco Scaglia editi da Piemme: Il guardiano dell’acqua e Il gabbiano di sale. E ultimo, per i tipi della San Paolo, Il cielo sotto le pietre di Alberto Friso: storia di uno studente di Archeologia, Luca, che contro la propria tendenza a scrivere una tesi scontata viene dalla sua prof “costretto” a mettersi sulle tracce di questo cercatore di pietre antiche di cui ignorava perfino il nome, in un itinerario di scoperta che finirà per conquistarlo.

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