Il tesoro di San Mamiliano
Dopo giravolte di discese e salite in mezzo al bosco che ricopre le colline che accompagnano il corso dei fiumi Albegna e Fiora, Sovana ci si mostra col suo “dietro le quinte”, fatto di muretti scavati nel tufo e tetti in cotto, orti e alberi da frutto.
Siamo in provincia di Grosseto, sulla riva sinistra del fiume Fiora, nel cuore dell‘area dei tufi che comprende i territori comunali di Sorano, Pitigliano e, verso nord, verso le pendici del monte Amiata, e di una parte di quello di Castell’Azzara.
Ammettiamolo, ci siamo rifugiati quassù non per desiderio di conoscenza o smania di scoperta, ma nella più banale speranza di sfuggire per un giorno al caldo umido e soffocante che imperversa lungo la costa maremmana. Così, raggiunta rapidamente la piazza principale, quella del Pretorio, rimaniamo lì, come impalati, senza cartina né guida, ignoranti, a osservare sperduti quei muri che trasudano storia, cura e Medioevo, memori soltanto di qualche polverosa e confusa nozione scolastica che rimanda a necropoli etrusche e ad un cittadino illustre dell’anno mille, Ildebrando di Soana, più noto come papa Gregorio VII, quello della lotta per le investiture.
Mossi da un riconoscibile senso di colpa verso questo luogo, che oltre alla bellezza e all’armonia, ha certamente qualcosa da raccontare a questi transfughi del mare, imbocchiamo la prima porta aperta che sa d’ufficio informazioni, quella che dall’esterno sembra un’antica casa un po’ diroccata, e che invece una targa identifica come Chiesa di San Mamiliano.
La guida, una bella signora dalla folta capigliatura corvina, ci accoglie zelante e sorridente spiegandoci che il biglietto per la visita costa 4 euro, ma se scegliamo quello cumulativo, al prezzo di 10 euro, non solo avremo la possibilità di scoprire alcuni palazzi storici e la necropoli etrusca di Sovana, ma potremo prenotare anche una visita guidata dentro i cunicoli sotterranei della Fortezza Orsini di Sorano.
«Il biglietto vale una settimana, con un risparmio di circa cinque euro a testa» conclude. Travolti dalla forza di tanto entusiasmo ed efficienza, cediamo al biglietto cumulativo, condannandoci ad una giornata di corsa culturale tra le placide colline del tufo, perché noi di giornate a disposizione per il tour ne abbiamo solo una.
Ed è così che scopriamo un tesoro. Non in senso metaforico, proprio un tesoro vero, fatto di 498 monete d’oro, databili intorno al V secolo d.C.
Era stato rinvenuto nel 2004, durante i lavori di scavo per il recupero della chiesa di San Mamiliano, che nel corso della storia era stata rudere e pollaio, e che la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle province di Siena e Grosseto voleva trasformare in museo.
Mentre pian piano si definiva la struttura sottostante al pavimento della chiesa, che in epoca romana ospitava un impianto termale e, intorno al XV-XVI secolo, delle sepolture, gli archeologi avevano ritrovato un piccolo vaso di terracotta, sbeccato in più punti, pieno di terra e di… monete d’oro! Solidi, per la precisione, una moneta introdotta in sostituzione dell’aureo con la riforma monetaria di Costantino, nel 324. Ogni solido pesava circa 1/72 di libbra romana, equivalente a circa 4,5 grammi.
Insomma, il ritrovamento consisteva in più di due chilogrammi d’oro e parlava di un ricco del V secolo, contemporaneo di San Mamiliano, che per salvare il suo tesoro dagli invasori, lo aveva sepolto e che poi, per qualche ragione che non conosciamo, forse la sua morte o la fuga in un paese lontano, non era stato più in grado di recuperare.
Ed ecco qui, è doveroso scriverlo, forse, quel pizzico di verità che si nasconde dietro ogni leggenda. Il fatto è che da sempre, in quel braccio di Tirreno compreso tra Corsica, Sardegna e Toscana, si racconta del tesoro di San Mamiliano sepolto sull’isola di Montecristo, proprio sotto l’altare del monastero benedettino intitolato al santo vescovo di Palermo, che lì si era rifugiato in eremitaggio dopo varie traversie, per sfuggire alle persecuzioni dei vandali di Genserico, e che vi morì nel 460 d.C. Un tesoro cercato da pirati, marinai, avventurieri, per secoli. Quel tesoro che ispirò anche Alexandre Dumas padre de “Il conte di Montecristo”, che ne fece l’”oggetto magico” che permise il riscatto di Edmond Dantès.
Gli appassionati ora insinuano il dubbio: che la leggenda sia stata equivocata, e che il vero tesoro sia quello della chiesa di San Mamiliano di Sovana?
Ad oggi non è dato saperlo con certezza. Quel che è chiaro, dopo questa avventura, almeno ai transfughi del mare, è che vale la pena ogni tanto abbandonare la spiaggia per perdersi tra i segreti della nostra terraferma “minore”. Come minimo, si rischia di inciampare se non proprio in un tesoro, almeno in una o più storie intriganti. Perché, detto tra parentesi, quei dieci euro, il pacchetto all inclusive, li valeva proprio tutti.