Terrorismo anche a Teheran

Il Daesh colpisce anche in Iran, nemico tra i nemici. Sullo sfondo dell’isolamento politico del Qatar e della “scomunica” di Trump. Il puzzle mediorientale è di nuovo esplosivo. Il “nodo” wahhabita
Un'immagine scattata durante l'attacco al Parlamento, in cui si vedono membri delle forze dell'ordine mentre cercano di avvicinarsi all'edificio. Foto: -/picture-alliance/dpa/AP Images

I fatti: due commando del Daesh hanno attaccato il Parlamento e il Mausoleo di Khomeini a Teheran. Nel mirino i due luoghi-simbolo della Repubblica islamica d’Iran. 13 morti, 46 feriti, una città sottosopra. Nel momento in cui sul fronte siriano e iracheno l’Isis patisce gli attacchi a Raqqa e Mosul, il terrorismo targato “califfato” colpisce contro i nemici-più-nemici di certo sunnismo, cioè l’Iran sciita. Quell’Iran senza il quale Mosul non sarebbe mai stata attaccata; quell’Iran che è stato escluso dalla riconquista di Raqqa da una coalizione un po’ goffa guidata dagli Usa; quell’Iran che viene accusato di riavvicinarsi al Qatar; quell’Iran che in realtà è estraneo a tutti gli attacchi terroristi degli ultimi anni in Europa. Esplode la rivalità tra sunniti e sciiti, anche per lo “sparigliamento” delle carte in tavola con l’arrivo di Trump nella regione.

Il rischio di un conflitto senza quartiere tra le due anime dell’Islam (89% sunniti, 11% sciiti nel mondo) è reale, anche se probabilmente non immediato. Le parole della guida suprema Khamenei dopo l’attentato sono state in fondo “moderate”, invitando a unirsi nella lotta senza quartiere al terrorismo». Scrive Fulvio Scaglione su Avvenire: «Se ora si andasse a uno scontro aperto tra i sauditi sostenuti dall’Occidente e un Paese pugnace e pieno di spirito patriottico come l’Iran, con l’immaginabile effetto di trascinamento che tale guerra finirebbe con l’esercitare sui Paesi vicini, potremmo dover prendere in considerazione la fine del Medio Oriente che abbiamo conosciuto finora».

Domenica, sempre sulle colonne di Avvenire, Wael Farouq, docente di Scienze linguistiche e lingue straniere all’Università Cattolica di Milano, egiziano e musulmano, aveva messo il dito su una questione centrale nella lotta al terrorismo, come da sempre su queste colonne stiamo sostenendo: non basta una guerra militare contro il Daesh, contro al Qaeda e simili, serve un’immensa operazione culturale di riavvicinamento tra il mondo arabo e il mondo occidentale. Un riavvicinamento che passa per la determinazione di alcuni “paletti” da non superare: «Quanti si astengono dal condannare i regimi wahhabiti – si chiede Farouq –, anzi stringono con loro rapporti d’amicizia e vendono loro armi che poi, come hanno riconosciuto gli stessi governi, finiscono nelle mani dei terroristi? Davvero non sarebbe possibile isolare i regimi che adottano questa interpretazione malata dell’Islam, come si è fatto con il governo sudafricano dell’apartheid?».

Ecco, il primo paletto nell’operazione culturale di riavvicinamento culturale deve essere la presa di distanza dalla ideologia wahhabita che, nata come ritorno all’Islam originario, è diventata una «interpretazione malata» dell’Islam, una vera e propria eresia sorta nel mondo musulmano. In questo senso i governi occidentali dovrebbero sostanziare questa decisione ferma con misure politiche adeguate, esattamente il contrario di quanto hanno fatto negli ultimi decenni i nostri Paesi occidentali che non hanno avuto remore nello stringere affari coi regimi wahhabiti del Golfo Persico. Scrive ancora Scaglione: «È penoso sentir denunciare, ora, il “pericolo wahhabita” dopo che per decenni noi occidentali abbiamo fatto come le tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano, esaltando ed armando le petromonarchie culla del wahhabismo militante ed esercitando ogni sorta di possibile sanzione contro l’Iran sciita».

Ha ragione il papa a dire che non è la vera religione all’origine del terrorismo, perché il wahhabismo (e l’analogo salafismo) sono eresie, non sono il cuore sano della religione. Oggi Il Foglio stigmatizza di nuovo chi non attaccherebbe lancia in resta «l’ideologia islamista», e fin qui ha ragione, perché il wahhabismo è un’ideologia, un’eresia appunto. Ma non è lecito estendere questo attacco al papa e a tutti i cristiani che non vorrebbero vedere le radici religiose del terrorismo. Il wahhabismo non è “vera religione”, è “eresia”, è “ideologia”, è «interpretazione malata dell’Islam».

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