Terra santa e rifugio di profughi
L’ente giordano per il turismo è convinto che il peggio sia passato. Le primavere arabe del 2011, la guerra siriana e gli attentati terroristici avevano inferto un duro colpo al turismo della Giordania, costringendo molti operatori a chiudere o al massimo a cercare di sopravvivere. Nei primi 5 mesi del 2018, il fatturato del turismo è aumentato del 9,9% raggiungendo i due miliardi di dollari. Il settore turistico è in effetti una delle maggiori fonti di valuta estera per la Giordania: un piccolo Paese (la parte non desertica è poco più grande della Sicilia) privo di risorse naturali, petrolio compreso. Ma è un Paese tutto da scoprire, soprattutto come parte costitutiva della Terra Santa, con i siti legati ai racconti biblici di Antico e Nuovo Testamento, come il monte Nebo e il luogo del battesimo sul fiume Giordano, per il fascino straordinario di luoghi storici come Petra, Jerash e Amman, o per quello incantato del deserto di Wadi Rum. Inoltre, e non è secondario, la Giordania è un Paese stabile pur al centro di un Medio Oriente in guerra da decenni.
Un Paese accogliente
Tra le notevoli conquiste civili della Giordania, si possono citare: il buon livello di integrazione di molte famiglie palestinesi (la stessa regina Rania è di famiglia palestinese), l’accoglienza difficile ma concreta dei rifugiati siriani nonostante i problemi economici in cui si dibatte il Paese, la diplomazia di pace con il vicino Stato di Israele, ma anche l’impegno sociale per la donna, un alto livello di istruzione disponibile a molti, un rispetto effettivo delle minoranze religiose, ecc. La Giordania, proprio per la sua stabilità, è una terra di rifugio per chi cerca riparo dalle guerre dei Paesi confinanti. Degli attuali circa 6 milioni di cittadini con regolare passaporto giordano, solo il 55% si può considerare in qualche modo originario del Paese, mentre il 40% è di origine palestinese e il 5% di origine armena, circassa e cecena, vale a dire pronipoti dei rifugiati arrivati qui alla fine del XIX secolo e nei primi 20 anni del XX.
Giganteschi campi profughi
Quando il regno hascemita fu costituito (sotto mandato britannico) negli anni ’20 del XX secolo, meno di 100 anni fa dunque, aveva forse 200 mila abitanti, che sono diventati 450 mila nel 1947, dopo l’indipendenza: non si trattava però di un boom demografico, ma era già allora un afflusso di profughi. Nel 1952, quando re Hussein salì al trono di Giordania, il Paese aveva 1,3 milioni di abitanti, divenuti 4 milioni nel 1994 e oltre 6 milioni entro il 2010. L’ondata di profughi siriani affluita dopo il 2011 si inserisce su queste pesanti premesse. Non tutti gli 1,5 milioni di profughi siriani vivono nei campi (sono solo 660 mila quelli registrati, e fra loro il 51% è minore, gli altri sono clandestini tollerati), anzi chi può cerca altre soluzioni abitative, per quanto povere e precarie, nelle città giordane del Nord. Vivere in un campo come quello di Zaatari (non lontano dalla tormentata area di Daraa, a 13 Km dal confine siriano), insieme ad altre 70- 100 mila persone, non è certo facile: la zona è arida e qualsiasi lavoro una difficile conquista per i pochi che riescono a trovarlo. A Zaatari il fabbisogno d’acqua è di 3 milioni di litri al giorno, assicurato da una colonna di un’ottantina di camion che fanno la spola dai pozzi ai serbatoi del campo. A Zaatari nascono almeno 10 bambini al giorno e ci sono 9 scuole per 18-20 mila alunni. Altri campi simili, di poco più piccoli, ma informali, si trovano ad Azraq e sul confine di Hadalat e Rukban.
Come va l’economia
Un dato importante da rilevare è che con la fine del cosiddetto welfare arabo (aiuti a pioggia derivanti dal petrolio), il regno hashemita deve trovare sempre nuovi modi per sostenersi. Con un debito pubblico di 40 miliardi di dollari (95% del Pil), l’autosufficienza è matematicamente impossibile. Il turismo è quindi una quanto mai indispensabile opportunità di lavoro e di reddito per i giordani. Il governo sta comunque cercando accordi commerciali e di sostegno infrastrutturale aprendo le porte a investitori turchi, indiani e soprattutto cinesi.
Chi comanda
Dopo 4 secoli sotto il dominio ottomano, il regno hashemita è indipendente dal 1946. Il capostipite della dinastia è stato Abdallah I, discendente del Profeta dell’Islam e figlio dello sharif Hussein della Mecca. La storia della famiglia reale giordana rivela un ancoraggio solido a valori di fondo importanti come l’identità islamica unita all’apertura al dialogo civile, sociale e religioso. Re Abdallah II e la regina Rania hanno 4 figli, due ragazzi e due ragazze. L’erede al trono, il 24enne Hussein, gode di grande simpatia in patria e all’estero, almeno considerando il milione e mezzo di follower che ha su Instagram, dove si diverte a pubblicare le foto dei suoi hobby (lettura, sport, moto, chitarra) insieme a quelle che lo ritraggono in situazioni istituzionali tipiche di un erede al trono. Certo, le credenziali di partenza della sua popolarità sono senza dubbio l’impegno sociale e il grande fascino personale di sua madre, la regina Rania (che di follower su Instagram ne ha più di 4 milioni), e le capacità diplomatiche e le scelte di pace di suo padre, re Abdallah II.