Terra Futura, un cantiere aperto

Seminare e raccogliere. Il senso dell’evento internazionale di Firenze sulle buone pratiche di vita, di governo e d’impresa.  
logo Terra Futura Firenze

Terra Futura non è un avvenimento da consumare in fretta con l’ultimo comunicato dell’efficiente ufficio stampa. È un luogo di relazione, innanzitutto, e non il frutto improvvisato di sigle astratte che si mettono assieme per chissà quale azione di lobby. Si intuisce il lungo percorso di confronto e dialogo avvenuto tra le realtà che l’hanno promossa e fatta crescere negli anni. Nell’imponente piazza d’armi di quella che fu la fortezza militare dei Medici, si è mosso un popolo eterogeneo coinvolto in tante di quelle attività diverse che sembrava di rivivere il tempo delle cittadelle utopiche di fine Ottocento. Ma l’impressione è durata solo un attimo. Non si tratta più di progettare una realtà separata anticipatrice di una desiderata terra promessa, ma di vivere dentro le contraddizioni affrontandole per poterne uscire fuori assieme.

 

Anche perché non basterebbero, neanche per pochi giorni, le spesse mura di cinta a tener fuori la realtà, come quando un gran numero di poliziotti ha accompagnato, come scorta, il procuratore capo di Reggio Calabria, Francesco Pignatone, all’incontro promosso sul lavoro da liberare dall’illegalità. Il magistrato ha chiamato alla responsabilità collettiva e personale contro un potere delle mafie che avanza con la sua enorme disponibilità di denaro. In un momento di crisi economica chi potrà resistere ad una pressione finanziaria che permette alla ndrangheta di penetrare negli ambiti più esclusivi e sofisticati dell’economia? Se la domanda è retorica, la risposta si fa avanti in carne e ossa con volti e storie che a Terra Futura si sono potuti incontrare. Imprenditori, cooperative, lavoratori che non piegano il capo e portano avanti un’altra storia. Ogni vicenda una ricchezza e una complessità originale che merita approfondimento, studio e sostegno reale.

 

Lo stesso stile e metodo che ha contraddistinto ogni tematica, dalle fonti rinnovabili di energia alla lotta alla povertà per fare un esempio: non rimuovere il problema, o fermarsi alla sola necessaria denuncia, ma affrontarlo cercando un modo reale e possibile di soluzione. Come lo spazio dedicato alla “borsa delle imprese responsabili”, un’opportunità di incontro concreto tra operatori pubblici e privati per incentivare la crescita di un mercato di beni e servizi sostenibili.

 

Questa la trama comune di una mostra di buone pratiche che ha visto centinaia di eventi ed espositori davanti ai quali, altrimenti, si potrebbe rimanere spiazzati o confusi oppure, in maniera riduttiva, vedere solo una giustapposizione di box e spazi espositivi. Ma ovviamente non si tratta solo di “fare”, come se l’azione coprisse ogni specie di mancanza di elaborazione. Tutt’altro. La giusta contaminazione di esperienze diverse e originali muove alla necessità di rendere ragione, di offrire il senso del fare nel senso di “fare bene”. Così, ad esempio, tra le tante iniziative promosse nell’ampio stand del Movimento dei focolari della Toscana, il dibattito avvenuto tra Economia di Comunione, finanza etica e mondo della cooperazione. È intervenuto Turiddo Campaini, presidente del consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze, di fatto tra le più grandi aziende in Toscana per fatturato, dipendenti e numero di soci, che ha messo in evidenza la sfida che, nel mondo della grande distribuzione, deve affrontare una grande organizzazione come la Coop se vuole tener fede alle proprie radici popolari e non cedere ad una tendenza competitiva sul mercato che spinge verso un’apertura indiscriminata dei negozi nei giorni festivi. Una questione viva e attuale che va affrontata laicamente riprendendo il senso del fare città.

 

Un’esposizione come questa di Firenze, gemellata con altre esperienze a livello internazionale, ha la pretesa di abbracciare tutti gli aspetti della vita. Dall’abitare al produrre, dal coltivare all’agire responsabile e partecipato fino al governare secondo le esigenze di una democrazia attiva che non esclude nessuno. Centinaia di incontri ed eventi documentati in una guida di oltre duecento pagine che non è stata pubblicata per essere buttata via perché diventa una fonte per riallacciare rapporti, cercare strade comuni, verificare se davvero quanto detto risponda ad un percorso reale e praticabile. Mostrarsi vuol dire, infatti, mettersi in gioco, accettare la sfida del sospetto che paralizza ogni iniziativa, di chi crede che nulla possa mai cambiare, così vuol dire come accogliere il ragionevole dubbio di chi è in ricerca autentica.

 

Come nel racconto di Jean Giono su L’uomo che piantava alberi, a cui Terra Futura si ispira, si tratta di costruire le premesse di un luogo bello, giusto e accogliente per tutti. Qualcosa che già accade. E questa trama profonda, come sempre in queste occasioni, si è potuta cogliere nei tanti volontari che hanno lavorato nel silenzio e nel “ben fare”.

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