Terminata la corsa a ostacoli

La Corte costituzionale si è pronunciata: il referendum sul nucleare si terrà davvero  
Corte costituzionale

Chi conosce l’estenuante procedimento che porta alle urne referendarie, non può fare a meno di guardare al voto sul nucleare come ad una creatura uscita miracolosamente illesa da una gragnola di sassate, piovuta da ogni parte. Dopo il decreto-legge che cambiava le carte in tavola, abrogando le disposizioni sulle quali si sarebbe dovuto tenere il referendum, c’è stato il passaggio all’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione. Momento importantissimo, dal quale è davvero dipeso il voto e che non ha mancato di lasciare qualche strascico polemico, rappresentato dal ricorso del Governo in Corte costituzionale.

 

Davvero la Corte di Cassazione ha preso una decisione partigiana? Finalmente sono disponibili le motivazioni dell’ordinanza e si può fare una valutazione reale. La Corte ha richiamato una vecchia pronuncia della Corte costituzionale, risalente al 1978, che ha fissato il principio poi applicato nell’ordinanza: se l’abrogazione delle norme che riguardano un referendum è accompagnata da altra disciplina che conferma i principi ispiratori delle norme abrogate, il referendum si trasferisce su queste nuove disposizioni. Con tale decisione si cercò un “punto di bilanciamento di poteri del legislatore e diritti dei referendari”, per evitare che ogni referendum fosse soggetto alla ghigliottina di un decreto-legge e di un voto parlamentare.

 

Ricordato questo principio e le sue finalità, i magistrati della Cassazione hanno analizzato le novità intervenute in materia di nucleare con il decreto-legge approvato a fine maggio. Esso infatti non si è limitato ad abrogare le disposizioni soggette a referendum; ne ha introdotte di nuove ed in esse la Corte ha ravvisato la sopravvivenza dei medesimi intendimenti che avevano ispirato la legislazione tesa a realizzare centrali nucleari e contro la quale, senza mezzi termini, si è opposto il referendum. In particolare, la Corte nota che le previsioni contenute nei commi 1 e 8 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 34 del 2011 “fanno salva, nell’immediato e contro la volontà referendaria, una scelta attuale nuclearista definendo anche le articolazioni e gli strumenti attraverso i quali essa è, e resta, immediatamente operativa”.

 

Pertanto il Collegio ha ritenuto che ci fosse ancora materia per far pronunciare il corpo elettorale secondo le intenzioni anti-nucleariste dei promotori e per garantire la consultazione ha trasferito il quesito referendario sulle due nuove disposizioni.

L’interpretazione che ha portato a questa decisione è stata oggi confermata dalla Corte costituzionale, cui aveva fatto ricorso l’Avvocatura dello Stato per conto del Governo. Una battaglia a suon di cavilli e interpretazioni. L’Avvocatura aveva lamentato un eccesso di zelo da parte della Cassazione perché “le nuove norme non parlano di nucleare” (ed è vero). Ma i giudici costituzionali hanno ravvisato in esse la finalità di “essere strumentali a consentire (…) di adottare una strategia energetica nazionale che non escluda espressamente l’utilizzazione di energia nucleare”, che è invece l’obiettivo del referendum.

Scende quindi finalmente il sipario sulla carta bollata e si apre quello delle urne. Peccato per il tempo rubato all’approfondimento e al confronto, senza i quali si rischiano astensionismo e voto ideologico.

 

 

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