Teresio Olivelli, storia di un ribelle per amore

Chiesa e società italiana durante il Ventennio nella vita di un giovane partigiano cristiano, morto 80 anni fa in un campo di concentramento nazista, che ha vissuto intensamente il percorso di liberazione dalla seduzione dell’ideologia totalitaria. Intervista allo scrittore e biografo Anselmo Palini
Teresio Olivelli Francobollo commerativo ANSA

Teresio Olivelli, partigiano delle Fiamme Verdi, organizzazione dei cattolici attivi nella Resistenza in Italia, è morto il 17 gennaio 1945 nel campo di concentramento nazista di Hersbruck in Baviera.

Nato nel 1916, Olivelli è stato un fervente cristiano condizionato, nel primo periodo della sua esistenza, dal clima pervasivo del fascismo, tanto da aderire convintamente a tale ideologia diventando uno dei giovani più promettenti dell’élite intellettuale coltivata dal ministro della Cultura Giuseppe Bottai.

La ricorrenza degli 80 anni dal martirio di Teresio, beatificato dalla Chiesa nel 2018, pone domande legate al nostro tempo in cui torna d’attualità il dibattito sul ventennio di regime totalitario fascista in Italia. Ne abbiamo parlato con Anselmo Palini, scrittore e saggista, autorevole biografo del “ribelle per amore” (espressione con cui termina la preghiera, composta da Olivelli, dei partigiani cristiani)

Come si può leggere il percorso di vita di Olivelli?

Pur essendosi laureato con il massimo dei voti e pur avendo occupato, ancora giovanissimo, la carica di assistente di Diritto amministrativo all’Università di Torino, Olivelli non era uno spirito speculativo, non era uno studioso, un teorico. Era una persona che si sentiva chiamata all’azione. E ciò è quanto chiedeva il fascismo ai giovani di quel tempo. A livello culturale e politico, certamente con una grande dose di ingenuità, Olivelli riteneva di poter orientare in senso “più cristiano” gli avvenimenti del suo tempo e anche “il farsi del fascismo”, verso cui comunque sentiva una certa affinità per il comune anticomunismo, per la critica allo stile di vita borghese, per i richiami ai problemi sociali, per l’esortazione all’azione individuale e alla disponibilità al sacrificio.

Un coinvolgimento totale quindi…

Cresciuto in Azione Cattolica, nella Fuci e nella S. Vincenzo, Teresio Olivelli, soprattutto dopo aver vinto il primo premio nazionale ai littoriali della cultura (gare tra universitari promosse dal regime, ndr) svoltisi a Trieste nel 1939, si è convintamente immerso nel fascismo: ha scritto su diverse riviste fasciste ed è stato relatore a convegni e incontri organizzati dalla Gioventù universitaria fascista (Guf) o da istituzioni culturali del regime.

In tali anni la cifra del suo impegno può essere sintetizzata in una parola utilizzata anche da alcuni suoi biografi: “ulissismo”. Ciò sta ad indicare la sua esigenza di essere al centro degli eventi, sempre in attività, pronto in ogni momento a dare il proprio contributo. Questa era per lui un’esigenza anche fisica, come dimostra il suo amore per svariate discipline sportive e la sua pratica delle attività agonistiche che richiedevano maggiore sforzo. 

Ma l’esperienza antifascista dei popolari non era conosciuta da parte di un ragazzo nato nel 1916?  Non era ancora vivo l’esempio di Pier Giorgio Frassati, morto nel 1924?

Per un giovane degli inizi degli anni Trenta, nel contesto di un regime che controllava tutti i mezzi di comunicazione, era pressoché impossibile venire a conoscenza di esperienze e riflessioni contrarie all’ideologia al potere. Per cui Teresio non ebbe la possibilità di conoscere l’esperienza ad esempio dei giovani antifascisti del Movimento Guelfo o altre posizioni simili, come quella di Pier Giorgio Frassati, diffuse clandestinamente sul territorio italiano.

Teresio avrebbe potuto fare la vita ritirata dello studioso, nominato giovanissimo rettore del prestigioso collegio universitario Ghislieri, e invece partì per la campagna militare di Russia come volontario. Prima ancora, aveva espresso il desiderio di andare a combattere nella guerra civile spagnola ma ne fu dissuaso da uno zio prete. Quanto incise in quella generazione la posizione della gerarchia cattolica che stipulò il Concordato con Mussolini e si mostrò, in genere, vicina ai regimi di Franco e Salazar in Spagna e Portogallo?  

Nel mondo cattolico tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta del Novecento era diffusa una posizione che riteneva possibile coniugare fascismo e cristianesimo, in nome soprattutto dell’anticomunismo. Nella Chiesa ufficiale del tempo erano rari gli interventi critici nei confronti della politica del regime fascista: per cui nessuna contestazione della politica coloniale del regime, nessuna critica al sostegno del fascismo italiano al regime di Franco nella guerra civile in Spagna, nessuna opposizione all’ingresso in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista. Olivelli, in tale contesto, riteneva ingenuamente che la guerra a fianco della Germania potesse portare in Europa e nel mondo ad una situazione di maggiore giustizia.

Quando cominciò il suo cambiamento?

Con la partecipazione alla campagna di Russia. Fu questa esperienza diretta a determinare un netto cambiamento in Teresio Olivelli. Tornato infatti dal fronte russo, dove aveva constatato di persona la devastazione materiale e soprattutto morale ed umana causata dalla folle politica fascista, dopo l’8 settembre 1943 si coinvolge nella Resistenza. Questa sua scelta di “ribellione per amore” può essere compresa facendo anche qui riferimento ad un termine: incontro. È stato infatti grazie soprattutto agli incontri bresciani e milanesi che ciò è potuto avvenire: il confronto e il dialogo con le Fiamme Verdi bresciane e con gli Oratoriani della Pace da un lato, e quello con i resistenti milanesi dall’altro, hanno permesso a Olivelli di tagliare nettamente con le proprie precedenti posizioni e di impegnarsi a fondo nella Resistenza contro il nazifascismo.

Teresio aveva studiato e conosciuto direttamente le tesi del razzismo nazista cercando di elaborare una formulazione contraria.

Olivelli, soprattutto dopo la vittoria ai Littoriali del 1939, si immerge convintamente nel fascismo, cercando di proporne una visione moderata. Pur non rinnegando del tutto il concetto di razza, si propone di salvare il primato dello spirito, l’universalità dei valori, l’assoluta secondarietà dell’elemento fisiologico. Cerca di operare una valorizzazione degli aspetti culturali e spirituali della stirpe con la messa in secondo piano di quelli biologici.

Olivelli cerca, con prudenza, di dare del razzismo una definizione il più possibile lontana dal materialismo biologico dei nazisti e di non presentarlo come una nuova religione, basata sul “sangue puro” degli ariani. Egli sostiene ingenuamente l’idea di un razzismo “in armonia con la religione cristiana”, secondo una concezione assai diffusa all’interno della Chiesa di allora e illustrata anche da un articolo apparso sulla rivista Vita Pastorale, trovato tra le carte del giovane.

Questa idea di Olivelli era solo ingenuità o aveva colto un aspetto che il regime fascista poteva usare per non formulare le leggi del 1938?

 Teresio non era nella posizione di poter influenzare la politica culturale del regime fascista. Giova ricordare che era un giovane appena uscito dall’università e ingenuamente abbraccia tali idee non trovando altri riferimenti critici cui potersi accostare.

Dopo la campagna di Russia e con l’attività resistenziale tra le file delle Fiamme Verdi troverà le persone che l’aiuteranno a maturare una visione pienamente democratica e ad opporsi al nazifascismo, tagliando nettamente i ponti con il proprio passato.

È questo Olivelli, cambiato totalmente, che viene incontrato a Milano da padre Turoldo che lo definirà “un giovane meraviglioso, la persona forse più intelligente che io abbia mai conosciuto”. E don Mazzolari a sua volta lo indicherà come “lo spirito più cristiano del nostro secondo Risorgimento”.

Olivelli è morto per aver difeso un suo compagno di prigionia e tutta la sua vita nel lager è stata segnata dalla donazione completa verso gli altri. Organizzava tra le baracche i gruppi del Vangelo e, prima ancora, aveva scritto la” Preghiera del Ribelle” che è uno dei documenti più intensi della Resistenza. Nella sua adesione alla resistenza armata, è decorato infatti con la medaglia d’oro al valor militare, si può cogliere una continuità con la tesi espressa per i cattolici nel primo conflitto mondiale di “uccidere senza odio”?  

Olivelli nei mesi di attività con le Fiamme Verdi ha operato soprattutto nel collegamento fra i vari gruppi e nella redazione della stampa clandestina, in particolare del foglio “Il Ribelle”. Non ha partecipato ad azioni armate, ma tuttavia sosteneva la necessità di opporsi al nazifascismo anche con la forza delle armi. Senza però essere animati dall’odio e riducendo il più possibile le forme di lotta armata. Siamo di fronte ad un “ribelle per amore”, come scrive anche nella famosa preghiera “Signore facci liberi”, più nota come la “Preghiera del ribelle”. Arrestato il 27 aprile 1944, Olivelli viene detenuto a San Vittore, poi a Fossoli, a Bolzano, a Flossenburg e infine a Hersbruck, dove muore il 17 gennaio 1945. Proprio a Hersbruck, in questo luogo che ha visto materializzarsi il male assoluto, il 5 ottobre 2018 la Caritas della provincia di Norimberga gli ha dedicato, con una solenne cerimonia con presenti tutte le autorità civili e religiose, una casa per anziani e disabili, la “Olivelli Haus”, in considerazione delle azioni compiute da Olivelli anche in favore dei tedeschi detenuti nel lager.

 Olivelli è morto nello stesso campo di concentramento dove è stato recluso anche Dietrich Bonhoeffer. La migliore generazione immolata nell’opposizione al nazifascismo.

Infatti di fronte alla “Olivelli Haus” è stata creata la “Bonhoeffer Haus”, in ricordo dell’altro grande martire di Flossemburg, appunto il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer. Flossenburg è il luogo dove Olivelli realizza pienamente sé stesso ed ecco qui l’altro termine, immolazione. Nell’immolazione per gli altri Olivelli realizza pienamente sé stesso. Olivelli nel lager è veramente un uomo per gli altri, per usare un’immagine cara all’altro grande martire di Flossenburg, Dietrich Bonhoeffer. Il Dio di Gesù Cristo è ora pienamente anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, il Dio che cammina per le strade degli uomini, che aiuta chi serve, che condivide, che si schiera coi perseguitati e con gli oltraggiati. Il Dio che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime.

Non rappresentano questi due cristiani l’esempio della necessità in certi casi di dover usare la forza estrema per fermare i regimi violenti?

Certamente sia Olivelli che Bonhoeffer hanno sostenuto la lotta armata contro il nazifascismo, pur non avendo mai impugnato le armi. I loro compiti nella Resistenza erano tuttavia diversi da quelli della lotta armata. Olivelli e Bonhoeffer con la loro vita ci mostrano che vi sono situazioni estreme, quando ormai non è più possibile agire altrimenti, in cui vi può essere la necessità terribile di opporsi con le armi al male. Ma la sfida è non arrivare a tali punti estremi. Si tratta, dunque, di operare prima con determinazione sulle strade della pace, del dialogo, della diplomazia, del confronto. La pace va costruita e preparata con coraggio e per tempo. Purtroppo oggi è tornato in auge il motto latino “si vis pacem para bellum”. Noi siamo chiamati a rovesciarlo e affermare “si vis pacem, para pacem”.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons