Teresa di Gesù e l’amicizia con Dio
Sin dalle prime righe del primo grande scritto di santa Teresa, conosciuto come il Libro della vita[1], si capisce quanto importanti siano per lei l’amore e l’amicizia. Senza nessun complesso dice che nella sua casa, dove «eravamo tre sorelle e nove fratelli», era «la più amata da mio padre» (V 1,3).
Qualche riga più avanti confessa come negli anni della sua infanzia aveva un fratello che «era quello che più amavo»; anche se, annota in seguito, «provassi grande amore per tutti, come tutti lo provavano per me» (V 1,4). In questo ambiente e in questa famiglia Teresa impara a pregare, a riconoscere le sue prime esperienze di Dio, a cogliere l’importanza delle cose che potevano condurla fino a Lui (cf. V 1,4-7).
L’amicizia e Dio
Tra l’adolescenza e la prima età giovanile – soprattutto dopo la morte di sua madre, avvenuta quando aveva tredici anni – Teresa lasciò un po’ da parte il modo con cui aveva vissuto fino a quel momento il suo rapporto con Dio. La causa fu l’amicizia con altri giovani del suo ambiente familiare più vicino, che avevano alcuni ideali umani dai quali si lasciò portare verso ciò che lei chiama «vanità» (cf. V 2). Questa esperienza durò circa tre anni, fino a quando suo padre decise di internarla in un monastero di monache agostiniane, nel quale incontrò una religiosa che l’aiutò a trovare la parte migliore di se stessa, come donna e come cristiana. In questo monastero rimase come interna circa un anno e mezzo, tra i 16 e i 17 anni; un tempo non molto lungo, però molto importante e decisivo per lei (cf. V 2-3).
Nel momento in cui si ammalò, fu costretta ad abbandonare l’internato e dovette riparare per un certo tempo a casa di un suo zio, fratello di suo padre, che fece il possibile per farle sentire di nuovo il gusto per le cose di Dio, utilizzando soprattutto la lettura di libri spirituali. Fu un periodo così importante nella sua vita che Teresa descrive così: «Anche se i giorni in cui mi trattenni lì furono pochi, in virtù di quanto operavano nel mio cuore le parole di Dio, lette o ascoltate, e la buona compagnia, riuscii man mano a capire la verità delle cose che mi colpivano da bambina» (V 3,5).
Quando ebbe 20 anni decise di abbracciare la vita religiosa in uno dei monasteri della città. Il motivo che spinse Teresa a scegliere il monastero dell’Incarnazione delle monache carmelitane fu che tra le monache carmelitane «stava quella mia amica che io amavo molto» (V 4,1). Anche da religiosa, però, le amicizie, e il desiderio di averne, raffreddarono in Teresa la sua relazione “di amicizia” con Dio, e altre cose e interessi, buoni in se stessi o in apparenza, via via occuparono il primo posto (cf. V 7). Una situazione personale e spirituale che descrive così: «Per cadere avevo molti amici pronti ad aiutarmi, ma per rialzarmi mi ritrovavo così sola da stupirmi ora di non essere rimasta sempre a terra» (V 7,22).
Nonostante questo, e chissà, forse proprio per questo, Teresa diventa consapevole di quanto l’amicizia e gli amici siano importanti nel cammino dell’esperienza di Dio. Sempre che l’amicizia nasca da Dio e si radichi in Lui. Di essa, infatti, fa un elogio infuocato esattamente alla fine del capitolo nel quale aveva spiegato quanto fossero state negative per lei certe amicizie. La santa, maestra della solitudine nel rapporto con Dio, scrive: «Gran male è per un’anima trovarsi sola tra tanti pericoli. A me sembra che, se io avessi avuto con chi parlare di tutto questo, mi avrebbe giovato a non ricadere, non foss’altro per vergogna, visto che non avevo timor di Dio. Perciò consiglierei a coloro che praticano l’orazione, specialmente al principio, di cercare l’amicizia e la conversazione di quelle persone che attendono allo stesso esercizio. È cosa di grande importanza, anche se non si tratti d’altro che di aiutarsi scambievolmente, tanto più, poi, che ci sono molti altri vantaggi. Io non so perché, se in materia di conversazione e affetti umani, anche non molto convenienti, si cercano amici con cui confidarsi e con cui godere di raccontare quei vani piaceri, non si debba permettere a chi comincia con sincerità ad amare e a servire Dio, di parlare con qualche persona delle proprie gioie e delle proprie pene, avendo di tutto quelli che si dedicano all’orazione» (V 7,20).
In quel tempo si era soliti pensare che comunicare con altri o ad altri le cose di Dio poteva indurre alla vanagloria. Teresa, invece, del reciproco aiuto e insegnamento, vede di più il positivo: «Giacché se è sincera l’amicizia che l’anima vuole avere con Sua Maestà, non deve aver timore di vanagloria: respingendola al primo attacco, ne uscirà con merito. Io credo che chi agirà con questa retta intenzione, gioverà a sé e a coloro che l’ascoltano, e ne uscirà più edotto; anche senza sapere come, sarà d’insegnamento ai suoi amici» (V 7,20). Un poco più avanti scrive: «La carità, inoltre, cresce in virtù di questa comunicazione, e ci sono ancora innumerevoli beni che non oserei menzionare, se non avessi una grande esperienza dell’importanza che è in essi» (V 7,22).
In questa stessa linea, e sempre nel Libro della vita, dirà: «È necessario che coloro che lo servono si aiutino a vicenda per progredire» (V 7,22); «Sono necessari forti amici di Dio a sostegno dei deboli» (V 15,5).
Bisogna ricordare che quando Teresa scrive questo testo (1561-1565), sta già sperimentando nel cammino verso Dio la presenza positiva di persone amiche che aiutava e dalle quali si lasciava aiutare. Serva come esempio il seguente paragrafo: «Vorrei che tra noi cinque, che ora ci amiamo in Cristo, stabilissimo un accordo e… cercassimo di riunirci alcune volte per disingannarci reciprocamente, avanzare proposte circa il nostro possibile emendamento e compiacere meglio Dio, poiché non c’è nessuno che conosca così bene se stesso come ci conoscono quelli che ci guardano dal di fuori, se lo fanno con amore e con l’occhio sempre attento al nostro profitto» (V 16,7; cf. 23,4).
L’orazione come rapporto di amicizia con Dio
Alla luce di quanto detto, possiamo comprendere meglio come per Teresa la chiave di comprensione del pregare e meditare si trovi nel rapporto di amicizia con Dio. Per descrivere l’orazione teresiana abitualmente si cita soltanto la frase “rapporto di amicizia”, senza però riportarne il contesto. Certamente queste parole contengono già una grande forza. Possiamo tuttavia comprendere molto meglio il loro contenuto se leggiamo tutto il brano nel quale Teresa le pensò e le scrisse.
La santa, parlando della sua orazione, argomento richiesto dai confessori, invita anche altri ad entrare senza paura nel cammino di preghiera: «Quanto a coloro che non hanno ancora incominciato, io li scongiuro, per amore del Signore, di non privarsi di tanto bene. Qui non c’è nulla da temere, ma tutto da desiderare, perché, anche se non facessero progressi né si sforzassero d’essere perfetti, così da meritare le grazie e i favori che Dio riserva agli altri, per poco che guadagnassero, giungerebbero a conoscere il cammino del cielo; e, perseverando nell’orazione, spero molto per essi nella misericordia di Dio, che nessuno ha preso mai per amico senza esserne ripagato; per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama. E se voi ancora non l’amate (infatti, perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole dev’esserci parità di condizioni e invece sappiamo che quella del Signore non può avere alcun difetto, mentre la nostra consiste nell’esser viziosi, sensuali, ingrati), cioè se non potete riuscire ad amarlo quanto si merita, non essendo egli della vostra condizione, nel vedere, però, quanto vi sia di vantaggio avere la sua amicizia e quanto egli vi ami, sopportate questa pena di stare a lungo con chi è tanto diverso da voi» (V 8,5).
In questo testo Teresa ci rivela molto di quanto in tante occasioni le sia stato difficile mettersi a pregare o perseverare nell’orazione. Però ci testimonia anche la sua certezza e fiducia nell’amore di Dio, amico fedele e vero, che non viene mai meno verso i suoi amici, anche quando non sono sempre fedeli (cf. V 11,12; 25,17). Così si spiega come nel testo la definizione di orazione, un “rapporto di amicizia”, sia preceduta dalla frase: «che nessuno ha preso mai (Dio) per amico senza esserne ripagato» (V 8,5). Che Teresa completa un poco più avanti con la seguente riflessione: «Oh, come vi comportate da buon amico, Signor mio, come cominciate subito a favorirlo, sopportarlo e, aspettando che si conformi alla vostra condizione, con quanta pazienza, nel frattempo, tollerate la sua! Voi tenete conto, mio Signore, di tutti i momenti che dedica ad amarvi, e per un attimo di pentimento dimenticate quanto vi abbia offeso!… No, vita di tutte le vite, voi non uccidete nessuno di quelli che confidano in voi e vi vogliono per amico, anzi sostenete la vita del corpo con maggior salute, dandola all’anima» (V 8,6). Per capire cosa sia l’orazione per Teresa mi pare fondamentale mettere in rilievo questo aspetto di Dio amico fedele, forse spesso dimenticato quando si spiegano le parole della santa spagnola.
La presenza amica di Gesù
Per Teresa l’amicizia con Dio passa necessariamente attraverso la cura dell’amicizia con Cristo, che è Dio e uomo insieme. Perciò è molto importante non solo averlo presente come Dio, ma anche ricordarlo frequentemente nella sua vita e nei misteri salvifici della sua esistenza terrena, e sentirlo poi glorificato e presente tra noi in quanto Dio e uomo.
Nell’epoca di Teresa alcuni maestri spirituali insegnavano la necessità di andare oltre l’umanità di Gesù per sperimentare le esperienze più sublimi di Dio. A tal fine consideravano importante, nella pratica dell’orazione mentale, prescindere poco a poco da ogni rappresentazione corporea, anche da quella dello stesso Cristo.
Ella riconosce che per qualche tempo si lasciò condizionare da questa “opinione”, anche se contraddiceva la sua esperienza precedente, nella quale era rimasta sempre tanto protesa a vedere e sentire Gesù in tutta la forza della sua divinità e della sua umanità (cf. V 22,3-4). Possiamo conoscere la lotta interiore che Teresa vive in questa tappa spirituale della sua vita soprattutto nel capitolo 22 del Libro della vita. In esso manifesta il dolore per essersi lasciata guidare da una simile opinione e il desiderio di convincere tutti del contrario. Per questo sente di avere una sufficiente autorità morale che le consente di avvertire il confessore principale, a cui stava indirizzando il libro, che per arrivare a Dio mai egli avrebbe dovuto seguire un altro cammino che non passasse sempre per Cristo uomo, e amico dell’uomo.
«Con la presenza di un amico così buono – scrive Teresa – e con l’esempio di un così valente capitano, che per primo si espose ai patimenti, tutto si può sopportare. Egli ci dà aiuto e coraggio, non ci viene mai meno, è un vero amico. Io vedo chiaramente, e l’ho visto dopo quell’inganno, che per essere graditi a Dio e per ottenere che ci doni speciali grazie, egli vuole che si passi attraverso questa sacratissima umanità di Cristo, in cui Sua Maestà disse di compiacersi. Ne ho fatta l’esperienza moltissime volte, me lo ha detto il Signore; ho visto chiaramente che dobbiamo entrare da questa porta, se vogliamo che la divina Maestà ci riveli i suoi grandi segreti. Pertanto, la signoria vostra, signore, non cerchi altra strada, anche se si trova all’apice della contemplazione; per tale cammino non correrà rischi. Questo nostro Signore è la fonte di ogni nostro bene. Egli c’indicherà la strada; guardando alla sua vita, vi troveremo un modello senza uguali» (V 22,6-7).
In questa luce santa Teresa vede non solo i momenti di orazione, ma anche tutta la vita, perché Cristo amico illumina tutta l’esistenza dell’uomo. E non solo questo, perché viene introdotta veramente nelle cime più alte dell’esperienza di Dio: la contemplazione della Trinità e la vita trinitaria stessa, con una grande comprensione del mistero di Dio. Si spiega così , ad esempio, l’audacia di Teresa del testo seguente: «L’anima si ritrova in un attimo sapiente e vede con tanta chiarezza il mistero della santissima Trinità e altri misteri molto elevati, che non c’è teologo con il quale non ardirebbe discutere la verità di queste altissime rivelazioni. La riempie di meraviglia il fatto che basti una sola di queste grazie per mutare totalmente un’anima e non farle amare più nulla, se non colui il quale, senza alcuna fatica, vede che la rende capace di accogliere così grandi beni, le rivela i suoi segreti e la tratta con tali ineffabili prove d’amicizia e d’amore» (V 27,9).
L’amore al prossimo e l’amicizia con Dio
Pur trattando di questo argomento alla fine della presente esposizione, non significa che per Teresa l’amore al prossimo sia soltanto una conseguenza dell’amore e dell’amicizia con Dio. Anzi, tutto il contrario. Entrambe le cose, e non potrebbe essere in altro modo, sono strettamente unite. L’abbiamo visto chiaramente quando abbiamo parlato dell’esperienza personale di Teresa. Ed è un punto sul quale insisterà nei suoi grandi scritti. Nel Castello interiore o mansioni, concludendo la spiegazione della prima mansione, possiamo leggere: «Persuadiamoci, figliuole mie, che la vera perfezione consiste nell'amore di Dio e del prossimo. Quanto più esattamente osserveremo questi due precetti; tanto più saremo perfette: le nostre Regole e Costituzioni non sono infine che il mezzo per meglio osservarli. Lasciamo da parte questi zeli indiscreti che ci possono essere assai dannosi, e ognuna attenda a se stessa. Siccome di questo argomento ho già parlato a lungo in altro luogo, non voglio oltre dilungarmi. È tanta l'importanza dell'amore vicendevole che non dovreste mai dimenticarvene» (M 1, 2,17-18).
Nello stesso libro Teresa ritornerà di nuovo su questa stessa idea almeno in altre due occasioni, e dirà chiaramente: che non si possono separare mai i due amori; che uno, quello del prossimo, è un segno chiaro che viviamo oppure no l’altro, quello di Dio; che da questo deve nascere necessariamente quello del prossimo; e che, se l’amore verso il prossimo non è concreto, è evidente quanto sia poco o nulla quello verso Dio, per quanto molto alte ci possano apparire le nostre esperienze spirituali (cf. M 5, 3,7-12; 7,4,1-19).
Nel testo delle Mansioni, citato in precedenza, Teresa dice esplicitamente che non si dilunga su questo tema, perché ne ha scritto già sufficientemente da un’altra parte. Ed è vero. Ne aveva parlato nello scritto situato cronologicamente tra il Libro della vita e quello delle Mansioni, e cioè, nel Cammino di perfezione.
Nelle prima pagine di quest’opera, nata dal desiderio di comunicare alle sue monache alcune cose sulla vita di orazione, troviamo una convinta espressione d’amore verso la Chiesa del suo tempo, così importante per Teresa che, prima di parlare dell’orazione, vuole dirla con chiarezza e dedicarvi ampio spazio nei capitoli iniziali (cf. CP 1-3).
In questa tappa della sua esistenza Teresa non concepisce un vita dedicata all’amicizia con Dio e all’orazione che non sia situata allo stesso tempo dentro il solco dell’amore e della passione per la Chiesa e per le persone concrete che la formano: «Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere» (CP 1,5).
E più avanti insiste: «Il giorno in cui le vostre discipline e i vostri digiuni non avessero più l’obiettivo che ho indicato sopra, sappiate che non adempite né rispettate il fine per cui il Signore vi ha qui riunite» (CP 3,10). Si potrebbe quasi dire che, alla luce del Cammino di perfezione, l’amore e la passione per il prossimo, unito all’amore verso di Dio e verso Cristo, devono essere il vero senso e l’alimento di tutta la vita di orazione.
Dopo i primi capitoli del Cammino di perfezione, potremmo pensare che Teresa finalmente parli dell’orazione, ma non è così. Inizia, invece, un altro discorso che introduce in questo modo: «Prima di parlare delle cose interiori, cioè dell’orazione, dirò alcune cose necessarie a coloro che vogliono battere il cammino dell’orazione; cose tanto necessarie che con esse, senza essere spiriti contemplativi, si potrà progredire molto nel servizio del Signore, mentre se non si possiedono, è impossibile essere grandi anime contemplative. Chi pensasse di esserlo s’ingannerebbe di molto» (CP 4,3).
La prima di queste cose necessarie ad una vera vita di orazione è precisamente l’amore reciproco nella comunità, secondo il comandamento del Signore: «Quanto alla prima, cioè l’amore reciproco, essa è di grandissima importanza, perché non vi è nulla di così gravoso che non si sopporti facilmente fra coloro che si amano, e occorrerebbe che fosse cosa ben dura se riuscisse gravosa. Se questo comandamento fosse osservato nel mondo come si deve, credo che aiuterebbe molto a osservare anche gli altri; ma, ora per troppo zelo, ora per poco, non si arriva mai a osservarlo in modo perfetto» (CP 4,5). D’altra parte, si tratta di un amore che deve essere universale oltre che reciproco, senza particolarismi né esclusioni: «Tutte devono sentirsi amiche, tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente» (CP 4,7).
I capitoli dedicati al tema dell’amore reciproco (cf. CP 4-7) non sono idilliaci, ma molto realisti sia sulle difficoltà sia sul modo di vivere questo amore, offrendo se stessi agli altri, come Gesù ha fatto e ha insegnato. Per Teresa l’amore reciproco ha bisogno di altre due cose da tenere in conto, da parte di coloro che vogliono portare avanti una vita di orazione. Sono due virtù che potremmo chiamare negative: il distacco e l’umiltà (cf. CP 8-15). A questo proposito dice: «Tale maniera di amare è quella che io vorrei vedere tra noi. Anche se da principio non sarà tanto perfetta, il Signore man mano andrà perfezionandola» (CP 7,5).
Per Teresa si può pregare senza avere queste virtù. Però, come ci dirà in un altro passo, l’impegno nella crescita e nella progressione della vita di orazione deve essere accompagnato da un impegno altrettanto forte nel far crescere e maturare queste virtù, come pure l’amore al prossimo e l’amore reciproco (cf. CP 16). Essi non sono soltanto un puro frutto dell’orazione come rapporto di amicizia con Dio, ma anche i suoi migliori e più sicuri compagni dall’inizio fino alle più alte mete.