Teresa che amò troppo il suo Alessandro
S’intitola Le due mogli di Manzoni il nuovo romanzo di Marina Marazza, ma l’io narrante è quello della seconda, Teresa Borri Stampa, mentre della prima e più nota, Enrichetta Blondel, morta nel Natale del 1833, aleggiò sempre la figura angelica nella dimora milanese del grande scrittore, di cui in questo 2023 ricorre il 150° anniversario della morte. Ho detto romanzo, ma tranne qualche libertà presa dall’autrice, tutto quanto vi si legge è suffragato da qualche documento o scritto (nell’Ottocento si scriveva moltissimo nelle famiglie di un certo rango: lettere, memoriali, diari ecc.). Un vero mare magnum cartaceo nel quale l’autrice, invece di esserne sopraffatta, ha saputo barcamenarsi con leggerezza, dandoci la sensazione stupefacente di entrare anche noi in quell’epoca e in quella casa.
Nulla è taciuto della quotidianità e delle vicende di una famiglia numerosa e ramificata: Manzoni – o “don Lisander” come era chiamato dai milanesi suoi contemporanei – ebbe sette figli dalla prima moglie e accolse come ottavo l’unico avuto dalla seconda, ma poi ci sono le storie parallele di parenti acquisiti, di amici intimi, di frequentatori saltuari, ci sono le figure storiche di contorno, da Cavour a Vittorio Emanuele II: un panorama oltremodo vasto che l’autrice ha saputo ben governare. E tutto visto con gli occhi di Teresa, colei che s’accese d’amore per Manzoni senza ancora conoscerlo di persona, solo leggendo la prima versione de I Promessi sposi (una sua fan, diremmo oggi), fino a suscitare a sua volta l’amore dello scrittore rimasto vedovo. Per poi ritrovarsi sposa di un uomo assai diverso da quello che si aspettava.
La storia, oltre a risultare un vasto affresco di un’epoca cruciale per l’Italia (siamo in pieno Risorgimento), va in fondo a ribadire ciò che risulta a volte della vita intima di altri grandi della storia, e cioè che accanto ad un genio c’è spesso e volentieri una moglie che ha saputo sostenerlo, comprenderlo nelle sue fragilità, nelle sue ossessioni, dando non di rado più amore del partner.
Chi legge o è costretto a leggere, perché studente, I promessi sposi, l’opera maniacalmente rifinita e perfetta di una intera esistenza, sapendo poco o nulla dell’autore, non immagina che Manzoni fu in realtà un uomo timido, schivo, che non amava mettersi in mostra e non spiccava per coraggio; uno che in pubblico diventava balbuziente, aveva attacchi di panico nei luoghi aperti e negli assembramenti umani; che davanti ad una decisione da prendere o ad un problema (ne ebbe tanti, di ordine economico e come padre di numerosa prole) si bloccava preferendo la fuga. E qui l’aiuto di Teresa fu impagabile nel riempire la solitudine del personaggio, assisterlo nei malanni fisici, sostenerlo nei numerosi lutti familiari e in altre vicende dolorose, nel sollevarlo dagli aspetti più pratici della quotidianità.
In questo 2023 anno manzoniano, l’opera della Marazza è un’occasione per scoprire, al posto del “santino dipinto” quale l’hanno fatto alcuni, il Manzoni uomo con tutte le sue fragilità, le sue riserve di fronte a certe aperture nel campo sociale, le sue manie linguistiche e culinarie (andava pazzo per l’idioma fiorentino e per la testina di vitello innaffiata di serbilliano di Lesa); perfino (udite udite!) nei suoi dubbi di credente. Ma anche uno che dava amore per quanto riusciva a darne; che «quel che non si sentiva di fare non lo faceva. Quel che si sentiva di fare lo faceva anche se subiva pressioni per non farlo, come quando da senatore votò per trasferire la capitale da Torino a Firenze, come preludio alla presa di Porta Pia, pur essendo schierato con i cattolici».
In Appendice, dando ragione del suo operato, l’autrice conclude: «Non so se e quanto Alessandro fece felice Teresa, ma per certo Teresa fece felice Alessandro e gli regalò una sorta di seconda giovinezza, spronandolo a progettare cose nuove, anche se sbagliatissime come l’autopubblicazione de I Promessi sposi, o a reagire ai lutti e ai problemi, come l’incendio di Brusuglio, o a partecipare alla vita politica, come quando lo spinse fuori sul balconcino ad arringare la piccola folla di studenti patrioti. Chiuse gli occhi sicura di aver compiuto la sua missione, di aver dato un senso alla sua vita. Oggi la definiremmo una donna che ha troppo amato, in un rapporto di coppia con sfumature decisamente tossiche. Ma in amore, si sa, il troppo e il poco sono così volatili… Questa è la storia di Teresa che amò troppo il suo Alessandro».
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