Teotihuacán: piramidi per acchiappare il cielo
A Roma, fino al 27 febbraio, una mostra sulla civiltà mesoamericana. Visita al sito archeologico messicano
Non si tratta di magia, di fumose sensazioni new age, o di passeggere vague à l’âme. Salendo sotto il sole cocente i gradini consunti della piramide del sole, si avverte battere il cuore della gente di Teotihuacán, a duemila anni di distanza, o poco meno.
Salivano verso il cielo, inquadrati dal rigido cerimoniale politico-religioso che li disponeva nel gradino corrispondente al loro grado nella gerarchia terrestre, specchio forse di quella celeste. Assistevano ai sacrifici cruenti di cuori umani offerti al Dio creatore, o a quelle divinità cosmologiche che appaiono oggi più come esseri intermedi tra Dio e la creatura, piuttosto che vere e proprie divinità.
Una civiltà che suscita curiosità, anche perché per certi versi risulta moderna, scomparsa improvvisamente prima ancora del secondo millennio dopo Cristo. Perché? Non si sa. Si fanno solo ipotesi che appassionano il mondo accademico messicano.
Nel 1878, José Maria Velasco, pittore messicano di media fama e poca ispirazione, dipinse un quadro che segna in certo qual modo l’inizio della riscoperta del sito dove sorgeva “la città degli dei”, traduzione dell’ostico Teotihuacán. Piazzò il cavalletto sulla sommità della collinetta che nascondeva la Piramide della luna, e raffigurò realisticamente la via dei morti, la piramide del sole e le altre asperità della zona. Ancora non si immaginava cosa nascondeva quel paesaggio che alternava regolarità sospette e naturali protuberanze orografiche.
Appena una ventina d’anni prima, il barone Alexander von Humbolt, celebre e impenitente viaggiatore teutonico, aveva attirato l’attenzione degli avventurieri dell’epoca su quelle vestigia ricoperte di terra e vegetazione di cui la memoria si perdeva nella notte dei tempi, senza però che la fama fosse mai scomparsa completamente: tra gli altri, lo stesso Carlo V se ne era interessato tre secoli prima. Von Humbolt e Velasco marcarono così senza saperlo l’inizio di un selvaggio saccheggio, protrattosi fino a qualche decade addietro. Come per gli Etruschi qui da noi.
Fu Ramon Almaráz, appena oltre la metà del XIX secolo a intraprendere i primi scavi ufficiali, seguito da altri illustri personaggi, come il francese Désiré Charnay. Ma bisognerà attendere gli anni Sessanta del nostro secolo per veder tornare alla luce uno dei complessi architettonici più sconvolgenti che occhio umano possa ammirare.
Ecco allora qualche data, per fissare i punti di riferimento necessari a capire questa civiltà scomparsa. Gli studiosi sembrano essere arrivati alla conclusione che si debba risalire al secondo secolo prima di Cristo per trovare le origini contadine di Teotihuacán, con un rapido concentramento di popolazione sulle pendici delle montagne attorno al sito. Circa un secolo più tardi cominciò la costruzione delle due piramidi principali del complesso ora visibile; si trattava di un centro cerimoniale comunitario che permetteva alla società nascente di saldarsi più facilmente.
La costruzione delle strutture principali della zona cultuale continuò ancora per un paio di secoli, ma le aggiunte si prolungarono fino al VI secolo, quando la civiltà teotihuacán raggiunse l’apogeo. Come in altre civiltà mesoamericane, si era infatti diffusa la tradizione di ricoprire gli edifici cultuali ormai caduti in disuso con altre costruzioni, simbolo della potenza dei regnanti del momento.
Nel frattempo la città si era espansa su una superficie di 22 chilometri quadrati, la società si era rigidamente strutturata e la sua influenza si era estesa in un raggio di circa mille chilometri attorno al centro principale. Fu in quest’epoca che la città divenne probabilmente la più grande del mondo, più ancora di Costantinopoli, essendo Roma ridotta a poca cosa dal crollo dell’impero.
Un elemento da sottolineare di questo sviluppo, impressionante per l’epoca, è la presenza di numerosi gruppi stranieri all’interno della città, provenienti dalle popolazioni zapotechi, maya, huaxtechi e da alcuni gruppi núhualt. Ma queste stesse presenze sembra non siano state senza colpa nel crollo della civiltà. L’apogeo, infatti, segnò nello stesso tempo l’inizio del rapido declino della città e della civiltà intera. Su quest’argomento le discussioni tra studiosi sono feroci, e non si è ancora giunti a una conclusione definitiva sulle ragioni di tale scomparsa.
Sembra tuttavia che siano stati i problemi legati al sovrappopolamento e a una lunga carestia che abbiano determinato la fine di Teotihuacán nel giro di un paio di secoli. Assalti esterni e rivolte della popolazione travolsero il potere politico-religioso che reggeva la società, a favore delle città-satelliti che divennero più potenti della città-madre stessa, fino a soppiantarla completamente.
Visitando la città degli dei, salendo e scendendo le migliaia di gradini di diverse dimensioni che ricoprono i diversi edifici, non solo quelli cultuali, e immaginando lo splendore che dovevano avere le diverse costruzioni rivestite di intonaci e di preziose decorazioni, non si può non meditare sulle alterne vicende dell’umana sorte. Il lungo e non ancora completato restauro del sito ha riproposto le ardite strutture architettoniche delle costruzioni – sempre legate ad elementi cultuali, e in particolare all’osservazione del sole e degli astri notturni – senza però poter riprodurre le decorazioni, di cui si possono però ammirare importanti vestigia nel locale museo o in quello Antropologico di Città del Messico.
Ma Teotihuacán deve ancora svelare almeno la metà delle sue meraviglie, celate dalla terra con cui la natura e l’uomo – sembra che, per motivi di culto e superstizione, le varie strutture “obsolete” siano state volontariamente ricoperte dalla popolazione incapace ormai di erigerne altre più grandi – hanno nascosto tanta bellezza. Dall’alto delle piramidi del Sole e della Luna, anche un semplice sguardo da turista rivela movimenti che non possono essere naturali.
Ma già ora le statue ritrovate, le decorazioni ricostruite e le strutture urbanistiche ci presentano la duplice meraviglia di una civiltà scomparsa: una popolazione che, pur ignorando la metallurgia, era riuscita addirittura a deviare il corso di un grande fiume e ad erigere costruzioni di settanta metri di altezza, senza prescindere da una ricerca estetica che in alcuni casi lascia stupefatti, come dinanzi a certe maschere decorate di rara e moderna bellezza.
Teotihuacán manifesta con la sua stessa presenza la tensione “naturale” dell’uomo mesoamericano per la divinità. Sembra addirittura che in origine le popolazioni fossero monoteiste, con un grande pantheon di divinità intermedie legate alla natura, in particolare al sole e alla luna.
(dal blog di Michele Zanzucchi)