Teotihuacan, la città degli dei

Viaggio nel mondo splendido e crudele nel Messico del periodo classico.
Miniatura messicana

È l’ora del Messico. Ben tre rassegne ne celebrano la creatività e il legame tra storia antica e contemporaneità. Se si ripercorrono gli anni della rivoluzione dal 1910 al 1920 in 179 immagini in bianco e nero di grande forza e crudezza, il giovane artista Carlos Amorales attraverso cinque poderose installazioni e una performance rivela la fantasia del nuovo Messico, tesa tra espressionismo e afflato onirico.

 

Stupisce che queste due tendenze siano presenti in Teotihuacan, la città degli dei, la mostra  che con 450 oggetti tra i più vari – affreschi, sculture, vasi, maschere, materiale fittile … – ripercorre il cosiddetto “periodo classico” in cui la città era la metropoli più potente del continente americano, tra il I secolo a.C. e il VI d. C.

 

Meraviglia ancora di più la contemporaneità fra questa e la civiltà romana, che proprio in questi secoli raggiunge la massima espansione politica e la migliore espressione artistico-culturale. Verrebbe da pensare ad un piano strategico di una intelligenza superiore che, nelle latitudini più estreme, fa fiorire in contemporanea ad altezze mai più raggiunte determinate civiltà.

 

Le rovine della città degli dei, patrimonio dell’umanità dal 1987, si trovano a 50 km da Città del Messico e sono dominate ancor oggi dalle moli enormi delle piramidi del Sole e della Luna. La zona non è ancora stata del tutto riscoperta, ma quanto vi si è trovato fornisce una idea abbastanza ampia della vita e degli usi di un popolo per noi sempre lontano e in qualche modo misterioso. La città, al momento del massimo splendore, contava 150mila abitanti di varie etnie, fra cui i Maya, e si dedicava al commercio e alla guerra, e dominava su una vasta zona dell’America centrale. Nella rassegna l’arte, la cultura, la religione – i sacrifici cruenti anche di vittime umane ben documentati – e la quotidianità sono visibili attraverso documenti straordinari, come il Giaguaro di Xalla, recentemente scoperto, una bellissima scultura policroma. Affascinanti le pittura murarie come quella del Sacerdote che sparge fiori il cui fondo rosso acceso rivela sconcertanti somiglianze con l’italico “rosso pompeiano”.

 

Il mondo dei Maya amava il sole, la luce, la vita: di qui lo sfarzo dei colori, la preziosità degli arredi, il gusto per il gigantismo delle costruzioni, insieme ad un sentimento del trascendente che si esprimeva non solo nella costruzione di piramidi gigantesche e di una città squadrata in forme perfette,ma in una fantasia sfrenata sino all’orrido e al crudele, si direbbe in uno stato di visionaria eccitazione dove il rosso del sangue appare uno dei colori dominanti. Alla metà del VII secolo della nostra era un terribile incendio devasta la metropoli che non si risolleva più dalla tragedia. Anzi, come succede a volte nella storia, questi luoghi enormi abbandonati alimentano la nascita di leggende e di miti, accresciuti dal fascino delle rovine. Gli Aztechi infatti, secoli dopo, chiamarono il sito Teotihuacan, “il luogo dove gli uomini diventano dei”, perché qui le divinità, radunate, hanno creato il Quinto Sole, cioè l’astro che ci illumina.

 

La mostra, con la ricchezza dei reperti e l’allestimento illustrato da enormi pannelli di fuoco e di campi di mais – i l cibo di questi popoli – ci porta dentro il loro mondo. Splendido e crudele, come appunto rischia di essere anche il nostro mondo contemporaneo.

 

Teotihuacan, la città degli dei. Fino al 27/2/11 (catalogo Skira).

Mexico. Immagini di una rivoluzione. Fino al 9/1.

Carlo Amorales. Fino al 27/2/11 (cat. Skira).

Roma, Palazzo delle Esposizioni.

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