Tensioni tra Ucraina e Russia, cosa sta succedendo
Più che preoccuparsi della sorte dei 44 milioni di ucraini che rischiano di passare un inverno ancor più duro di quelli che già stanno vivendo dalla rivoluzione arancione e poi dalla cacciata del leader filosovietico Yanukovich nel 2014 − quando le piazze di Kiev furono occupate dai rivoltosi e “ci scapparono” un centinaio di morti, vittime di cecchini di chissà quali servizi segreti −, i telegiornali europei si preoccupano dell’eventuale mancanza di gas che verrebbe provocata dalla chiusura degli oleodotti e gasdotti che passano attraverso il territorio ucraino. Sì, il problema sarebbe grave, ma ben poco in confronto delle sofferenze che una eventuale guerra provocherebbe alla popolazione locale. Certo, la Russia probabilmente invaderebbe solo il Donbass, la regione in cui più forte è la presenza di russi di origine o di nascita e che di fatto in gran parte già occupa grazie alle milizie a lei fedeli, ma la guerra farebbe male, malissimo.
Il presidente statunitense Biden alza i toni. Al solito, nelle parole del padrone della Casa Bianca si mescolano reali preoccupazioni per l’irrequietezza del padrone del Cremlino con i problemi di popolarità interni che affliggono la sua amministrazione, che sente già il fiato di Trump avvicinarsi, le elezioni di medio termine sono ormai alle porte. Problemi interni che d’altronde condivide anche Putin, non solo e non tanto per le contestazioni che lo vorrebbero cacciare, tenute a bada senza tante moine dall’Fsb, erede del Kgb, quanto per le cifre della crisi economica russa, che certo è stata aggravata dalle furiose ondate pandemiche che nel Paese hanno fatto finora 321 mila morti e hanno colpito quasi il 15 per cento della popolazione.
Sono quindi due debolezze che si scontrano e che, per ovviare ai problemi interni, gridano “al lupo al lupo” cercando un nemico al di fuori del proprio Paese, che distolga l’attenzione dai veri problemi. E c’è di più, c’è un elemento che complica enormemente le cose. Questa quasi-guerra è infatti la prima che veramente vede in campo le armate d’assalto digitali, in cui la Russia ha investito in modo accentuato, e in cui gli Stati Uniti stanno cercando di recuperare il tempo perduto nei confronti di Russia e Cina. Fake (le false notizie) e deep fake (le false notizie corroborate da false immagini, o da costruzioni di video che non raccontano fatti realmente accaduti o parole realmente pronunciate) sono all’opera: la Rete è invasa da notizie false o mezze vere, il che talvolta è ancor peggio perché crea quel mix perverso di vero e di falso nel quale è quasi impossibile districarsi.
A proposito di Cina, il gigante asiatico sta a guardare, spettatore interessatissimo. Sostiene ovviamente il gigante euro-asiatico – come ha fatto d’altronde nella grave crisi che ha colpito appena qualche settimana fa il Kazakistan −, ma sperando sotto sotto che Putin abbia sempre più bisogno dell’aiuto di Pechino, per diventare ancora un po’ di più vassallo del nuovo imperatore Xi Jinping.
E l’Unione europea? Bruxelles pubblica comunicati a raffica sperando di calmare il gioco, ma cerca di ritagliarsi un minimo di spazio tra i due giganti, soprattutto per opera della nuova cancelleria di Berlino e del Palazzo dell’Eliseo, che hanno tanti e tali affari con Mosca – e che dipendono dal gas russo che passa per l’Ucraina molto più dei Paesi mediterranei, che si approvvigionano dall’Algeria o dalla Libia, e finanche dal Qatar più che dalla Russia – che non possono permettersi una guerra a due passi dalle loro città.
Probabilità di successo della mediazione? Poche, ma tutto è ancora possibile, semplicemente perché Putin, se vedesse chiusi i rubinetti del gas da parte dei potenziali sabotatori ucraini, subirebbe ancora più gravi conseguenze economiche di quelle che già subisce normalmente. Senza parlare delle tanto sbandierate misure di boicottaggio dei prodotti russi e di embargo che colpirebbero i maggiori personaggi russi, a cominciare dallo stesso presidente. Putin approfitta del momento in cui i prezzi del gas sono alle stelle (manovrati ad arte dagli emissari russi), e quindi della grande liquidità di cui dispone, per alzare la voce. Ma durerà?
Il papa invita a pregare, milioni di lumini si sono accesi nella giornata di preghiera di mercoledì 26 gennaio in ogni parte del mondo. E c’è da pregare, perché il rischio di deflagrazione del conflitto non è di poco conto, anche perché i toni si alzano giorno dopo giorno, ora dopo ora. Fonti locali ci raccontano una popolazione terrorizzata e penurie che già si manifestano, anche perché in frangenti simili a quelli attuali l’accumulazione da parte dei cittadini è ovvia. All’aeroporto di Kiev atterranno più armi – statunitensi, non europee, soprattutto non tedesche – che pane o medicine.