Tensioni sociali e religiose in Sri Lanka
Nei giorni conclusivi del periodo di digiuno del Ramadan, il 9 e 10 agosto scorso, una folla guidata da leader religiosi buddisti ha attaccato la comunità islamica di Colombo, lanciando pietre contro una moschea provvisoria e alcune case e ferendo cinque persone. Il tutto si è svolto, secondo la parte musulmana, di fronte all’indifferenza della polizia, che, sebbene abbia imposto il coprifuoco nella zona, non ha fatto nulla per difendere i musulmani.
Gli aggressori chiedevano di fatto lo smantellamento del luogo di culto musulmano, che sostituisce da qualche tempo l’antica moschea nella zona di Grandpass, nella capitale dell’isola, Colombo. La moschea provvisoria è stata ora chiusa e questa decisione da parte delle autorità, è suonata come una accettazione delle richieste del gruppo buddhista.
La situazione non è, certo, migliorata dopo l’incontro fra le autorità del governo ed i leaders religiosi delle due comunità. Si è, infatti, riusciti ad arrivare ad un accordo solo sulla necessità di trovare una nuova moschea provvisoria entro la fine del mese.
Quanto accaduto nella zona di Grandpass a Colombo non è che uno dei momenti di crescente tensione fra buddhisti radicali e comunità musulmana. Recentemente, per esempio, era scoppiata la questione, sollevata dal Bodu Bala Sena (Bbs), un gruppo estremista fondato ed animato da monaci, che sostiene come la pratica del velo da parte delle donne di fede islamica rappresenti una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Per questo hanno presentato richiesta che il governo proibisca alle donne musulmane di girare per le strade velate. I gruppi fondamentalisti del buddhismo singalese sostengono, infatti, che la pratica di indossare il velo può nascondere lo spaccio di sostante stupefacenti.
Ma quello che preoccupa sono i continui attacchi verbali e fisici di cui i seguaci del Bbs si rendono protagonisti nella vita quotidiana, in nome di una fantomatica protezione della popolazione singalese buddista da parte di infiltrazioni islamiche pericolose.
Anche la comunità cristiana nell’isola dell’Oceano indiano ha vissuto momenti di sgomento a seguito di un attacco, tutt’altro che giustificato, da parte dell’esercito, che a Weliweriya ha sparato contro civili che chiedevano acqua potabile, uccidendo tre giovani. Nei giorni successivi, nella cittadina dove sono avvenuti gli scontri non dettati questa volta da motivi religiosi o etnici, si sono susseguite manifestazioni di protesta organizzate da cristiani con buddhisti e musulmani.
Per esprimere la gravità di quanto accaduto, la gente ha scelto di restare seduta in silenzio, mostrando solo dei cartelloni, secondo la satyagraha (“forza della verità”), il principio di non violenza lanciato dal Mahatma Gandhi. Il card. Malcolm Ranjith, presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, ha condannato le violenze come “inaccettabili e ingiustificabili”.