Tensioni fra sunniti e sciiti per il pellegrinaggio alla Mecca
Questi sono giorni molto importanti per i musulmani nelle diverse parti del mondo. Ha, infatti, inizio il pellegrinaggio a Mecca, uno dei cinque pilastri della fede del musulmano. Ogni fedele, infatti, è chiamato a realizzarlo almeno una volta nel corso della vita.
Il momento sacro vissuto, quest’anno da un milione e mezzo di musulmani, prevede lo svolgimento dei riti preliminari nella Grande moschea della Mecca. Una volta terminati, i pellegrini si dirigono verso Mina, cittadina non lontano dalla città santa dell’Islam dove si trova il “Monte della Misericordia”, una collina dove, secondo la i testi sacri dell’Islam si sono ritrovati Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso terrestre. Questo percorso è diventato sacro perché seguito dal Profeta Maometto per la prima volta circa 1400 anni fa.
In questo percorso, con la folla straordinaria che si concentra tra Mecca e Mina, sono scattate misure di sicurezza particolarmente severe. Dopo vari episodi avvenuti negli anni scorsi con numerose morti, Riyadh ha deciso di impiegare circa 17mila agenti e 3mila mezzi di polizia. A partire dal 2013 il regno saudita ha deciso di monitorare il numero dei partecipanti al pellegrinaggio, fissando la partecipazione di un pellegrino per ogni mille abitanti, almeno per quanto riguarda i Paesi musulmani. Lo scorso anno, come probabilmente si ricorderà, erano morte circa 2000 persone a causa di una fuga improvvisa e del panico generato. Proprio l’incidente avvenuto lo scorso anno nei pressi del Ponte di Jamarat, che il regno saudita aveva cercato di minimizzare, ha causato nei mesi successivi delle tensioni non indifferente fra l’Arabia Saudita, a larghissima maggioranza sunnita, e l’Iran a grande maggioranza sciita.
Come conseguenza di queste tensioni, si ha quest’anno una novità nell’Hajj: l’assenza dei pellegrini musulmani sciiti provenienti dall’Iran. Causa di questo stato di cose è la tensione politico-religiosa fra i due Paesi, che rappresentano i poli politico-giuridici-religiosi dell’Islam mondiale. La recenti questioni fra i due Paesi sono state sollevate da un messaggio piuttosto violento, indirizzato il cinque settembre scorso da parte dell’Ayatollah Ali Khamenei ai sauditi sunniti. Khamenei ha definito i sunniti sauditi come “infedeli e blasfemi, piccoli satana nella mani degli USA”.
Il capo della diplomazia iraniana Mohammad Javad Zarif ha accusato le autorità saudite di “fanatismo”. Da parte sua, il gran muftì dell’Arabia Saudita Abdul Aziz Al Sheikh aveva definito gli iraniani “non musulmani”, riferendosi al fatto che sono figli dei Magi e, quindi, di cultura e religione zoroastriana, il credo nato e sviluppatosi in Persia 600 anni prima di Cristo sotto la guida ispiratrice di Zaratustra. “Dobbiamo capire – ha affermato Abdul Aziz Al Sheikh – che non sono musulmani” e “la loro ostilità” verso il vero islam “è datata nel tempo” e si concentra in particolare “sul popolo della Tradizione [i sunniti]”.
La polemica è continuata con un intervento altrettanto sostenuto da parte del ministro iraniano degli Esteri, Javad Zarif, che ha messo in evidenza le profonde differenze fra “l’islam degli iraniani e della maggior parte dei musulmani, rispetto all’estremismo fanatico” del mondo wahhabita (saudita). Essi sono, ha aggiunto il rappresentante di Teheran, i veri “predicatori” del terrorismo.
Questa situazione esplosiva che ha conosciuto una inattesa recrudescenza proprio nei giorni più sacri per i musulmani del mondo, è da ricercarsi a livello geopolitico interno al cosmo Islam, tutt’altro che uniforme e unitario. Contrariamente a quanto i media europei spesso mostrano, soprattutto in occasione delle insensate guerre mediatiche che fanno seguito ad attentati e di violenze perpetrate in nome di islam, i due Paesi in questione – Iran e Arabia Saudita – rappresentano due poli fondamentali per comprendere la complessità del fenomeno Islam attualmente.
L’Iran (sciita al 95% circa) e l’Arabia Saudita (sunnita per il 90%) sono da decenni in posizione contrapposte per guadagnarsi un peso politico mondiale, ma anche per equilibri interni all’Islam stesso. Si trovano, in realtà, su fronti opposti in molte delle più importanti questioni che agitano lo scacchiere mediorientale, dal conflitto siriano alla guerra in Yemen. La goccia che, comunque, ha fatto traboccare il vaso è stata la condanna a morte e successiva esecuzione da parte del regno saudita di un importante dignitario sciita. A questo fatto ha fatto seguito l’assalto all’ambasciata saudita in Iran e la chiusura della rappresentanza diplomatica.
A seguito delle accuse di Teheran per la morte di 2000 pellegrini – fra i quali erano presenti molti sciiti iraniani – nel corso dell’Hajj dello scorso anno e delle tensioni create dalle esecuzioni a cui si è accennato, i due governi avevano tentato un incontro conciliatore che permettesse il rilascio di visti a cittadini dell’Iran in occasione di Hajj. A fine maggio si era registrato il fallimento definitivo dei colloqui e si era, quindi, vista l’impossibilità sia del rilascio dei visti per i cittadini della Repubblica islamica dell’Iran sia di voli “diretti” da Teheran verso l’Arabia Saudita.
Il mondo musulmano e i governanti di questi Paesi, ha sottolineato Khamenei, “devono conoscere i dirigenti sauditi e la loro natura irriverente, non credente e dipendente”. Egli lancia un appello a tutti i musulmani, perché riflettano “in modo serio sulla gestione dei luoghi sacri” in Arabia Saudita, fra cui la Mecca e Medina. “In caso contrario – ha aggiunto – il mondo musulmano dovrà affrontare problemi ben più grandi”.