Tennis, la finale perfetta
L’emblema della finale-maratona tra due dei tre grandi protagonisti del tennis contemporaneo è proprio il finale di gara. Novak Djokovic, qualche secondo dopo aver visto Roger Federer sparare alle stelle la risposta al suo rovescio bimane, quasi non esulta: sorride compiaciuto, correndo in primis a stringere la mano al rivale, protagonista assieme a lui di una battaglia dai contorni epici e cavallereschi. Sul 12-12, al quinto set, sarebbero forse serviti due trofei ex-aequo: lo sport però è crudele e, alla fine, la tenacia del campione in carica ha avuto la meglio.
Djokovic ha trionfato con i punteggi di 7-6, 1-6, 7-6, 4-6, 13-12, dando vita con Federer a un incontro eterno, ricco di giocate di classe e colpi di scena. Un vero e proprio film, dove i destini dei due campionissimi si sono più volte incrociati: Re Roger, in splendida forma nonostante sia ormai prossimo ai 38 anni, ha infatti avuto sull’8-7 nel quinto set due palle del match salvate da Nole, bravo poi a piazzare il contro-break valso l’8-8. Da lì è stato un continuo inseguimento dello svizzero al serbo, col 12-12 che ha comportato il primo tie-break al quinto set in finale a Wimbledon. Djokovic se l’è aggiudicato con un complessivo 7-3, raggiungendo dunque a cinque successi un mito come Bjorn Borg: l’albo d’oro ci racconta anche di come il tennista di Belgrado si sia aggiudicato quattro degli ultimi sei trofei dei Championships, meritando a pieno titolo la posizione numero 1 nel ranking mondiale.
«Alla fine – ha dichiarato il vincitore di Wimbledon in conferenza stampa – mi sono sentito sollevato dall’aver centrato una impresa fantastica. Vivo ogni giorno della mia vita allenandomi e lavorando duramente per poter fare partite del genere, contro il più grande rivale di sempre. Sono arrivato vicino alla sconfitta – ha ammesso Djokovic – perché Roger ha giocato una grande partita. È stato l’incontro più impegnativo e duro mentalmente che abbia mai giocato. Non bisogna mai perdere la fiducia in sé stessi: bisogna stare calmi e concentrati su tutti i punti, anche quando sei sotto 0-40, cercando di rimettere la palla dall’altra parte del campo». In merito ai momenti chiave del match, il bi-campione in carica dei Championships non ha dubbi: «Sono stati i match-point, ma anche i tre tie-break. Lì sono sempre riuscito a trovare il miglior tennis possibile».
Federer, dall’altra parte, ha sintetizzato la sconfitta sottolineando le sue mancanze fatali nei momenti-clou, quando avrebbe potuto chiudere la pratica. «Mi è mancato un punto – ha rettificato lo svizzero – un punto da fare in uno dei due match point che ho avuto a disposizione sul servizio. Mi sono ripreso bene però, sono stato bravo a reggere dal 9 pari fino al 12 pari. Cercavo comunque di vedere i lati positivi del mio gioco, dimenticandomi le chance sfumate. Mi dicevo che la partita non era ancora finita e ho provato a dare tutto. Se mi avessero detto prima del match che sarei stato ancora in corsa per vincere fino al 9 pari del quinto, credo che avrei accettato». Il tennista di Basilea, beffa nella beffa, ha ceduto nonostante abbia fatto più punti e vinto più game: «Purtroppo non conta: importa di aver giocato bene e di essere arrivato così vicino alla vittoria. Spero di aver dato ad altri la convinzione che a 37 anni si può fare ancora tanto».
La differenza, a questi livelli, la fanno anche i piccolissimi dettagli. «Sembrerà stupido – ha accennato Djokovic – ma quando dagli spalti cantano “Roger” io provo a convincermi che dicano “Novak”: il pubblico è sempre dalla sua parte. In queste partite vivo una costante battaglia con me stesso più che con quello che succede fuori». Un ulteriore spunto di riflessione per provare a descrivere quella che è stata la finale di Wimbledon 2019: il match del secolo, un incontro del quale si parlerà ancora tra decenni.