Templeton 2018 al re Abdhallah
Il prestigioso Premio Templeton (prestigioso e discusso, ovviamente), assegnato ogni anno dal 1973 dalla John Templeton Foundation (Pennsylvania, Usa) è andato quest’anno a re Abdallah II di Giordania. La presidente della Jtf, Heather Templeton Dill, ha consegnato il 13 novembre scorso il 47esimo riconoscimento al sovrano hashemita nella cornice della Washington National Cathedral San Pietro e Paolo, la principale chiesa episcopaliana della capitale statunitense, alla presenza di oltre 600 invitati: autorità religiose e accademiche, personalità della cultura, della politica e del mondo della comunicazione.
Il premio fu istituito 46 anni fa sir John Templeton (1912-2008), nonno dell’attuale presidente della Jtf, come un riconoscimento «per il progresso della religione». Negli anni, le finalità si sono ulteriormente definite ed attualmente il premio intende segnalare e «promuovere la cooperazione tra scienza e teologia, scienza e spiritualità» (templetonprize.org). Così la denominazione ufficiale è diventata: Premio per il progresso nella ricerca o scoperte sulle realtà spirituali.
Tra i 47 premiati in quasi mezzo secolo figurano personalità di grande spessore appartenenti a diverse fedi, confessioni e orientamenti religiosi: cristiani, buddisti, indù, ebrei, musulmani ed altri. Tra i nomi più famosi ci sono: Teresa di Calcutta (1973), Roger Schutz (1974), Sarvepalli Radhakrishnan (1975), Chiara Lubich (1977), e in seguito Nikkyo Niwano (1979), Aleksandr Solzenicyn (1983), il Dalai Lama Tenzin Gyatso (2012), Desmond Tutu (2013), Jean Vanier (2015), Jonathan Sacks (2016).
Fin dall’annuncio dell’attribuzione del Templeton 2018 a re Abdhallah II di Giordania, nel giugno scorso, così commentava l’Osservatore Romano (30 giugno 2018): «Significativo che il riconoscimento – in un mondo caratterizzato da guerre, contrasti e tensioni interreligiose – sia andato a un sovrano che da molti anni si impegna per l’armonia non solo all’interno dell’Islam ma anche tra l’islam e le altre religioni monoteiste».
Re Abdallah II è musulmano sunnita, ha studiato in Gran Bretagna e negli Usa, è salito al trono a 37 anni nel febbraio 1999 succedendo a suo padre, re Hussein di Giordania, ha 56 anni ed è sposato da 25 anni con Rania Al-Yassin, hanno quattro figli.
Fin dal “Messaggio di Amman” del 2004 (al tempo della Seconda guerra in Iraq) il re di Giordania ha sostenuto con forza che il terrorismo e la violenza non possono trovare spazio nelle religioni. Nel 2005 il re ha promosso una conferenza internazionale di studiosi islamici in rappresentanza di tutte le scuole di giurisprudenza presenti nell’Islam. Attualmente i “Tre punti del messaggio di Amman” sono stati sottoscritti da 450 tra giuristi e istituti islamici, di oltre 50 Paesi. Inoltre, l’iniziativa nota come “Una parola comune tra noi e voi” (basata sui principi condivisi dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo), promossa dal sovrano hashemita per la pace e l’armonia fra musulmani e cristiani, ha ottenuto l’adesione di oltre 400 leader e personalità, musulmani e cristiani, di 52 Paesi.
Tra le aperture del regno di Giordania, sostenute dal re Abdallah II, è universalmente nota l’accoglienza ai profughi siriani e di altri Paesi che, a causa della guerra, hanno trovato in Giordania ospitalità e aiuto, nonostante enormi difficoltà.
Nel discorso che il sovrano hashemita ha pronunciato a Washington il 13 novembre 2018 alla cerimonia di consegna del Premio, due punti in particolare catturano l’attenzione: la spiegazione del concetto di jihad islamica e la destinazione dei fondi che accompagnano il riconoscimento, oltre un milione di sterline.
Sul significato del jihad, re Abdallah II ha detto: «La grande jihad non ha nulla a che fare con la finzione piena di odio promossa dai neo-kharigiti – i fuorilegge dell’Islam, come Daesh e simili – o gli islamofobi che anche loro distorcono la nostra religione. È, invece, la lotta interna personale per sconfiggere l’ego e la lotta che tutti condividiamo per un mondo di pace, armonia e amore».
E sulla destinazione dei fondi ricevuti, ha dichiarato: «Una parte del Premio Templeton contribuirà a rinnovare e ripristinare i siti religiosi a Gerusalemme, compresa la Chiesa del Santo Sepolcro. L’intera somma rimanente verrà donata a iniziative umanitarie, interreligiose e religiose, in Giordania e in tutto il mondo».