Tempi di proteste

Dopo le donne sono i pensionati a scendere in piazza. Per questioni economiche, che però nascondono un malessere più profondo nella società iberica

È tempo di proteste in Spagna. Giovedì 8 marzo sono state le donne ad invadere le strade per rivendicare, non già in teoria la parità nei diritti tra uomini e donne, ma soprattutto la parità nei fatti. In particolare, oltre alla violenza contro la donna e ad altre discriminazioni, è emersa la questione del divario salariale tra uomini e donne in Spagna, forse la bandiera più sventolata negli ultimi tempi, un indicatore economico che può variare secondo i fattori stimati. I più ottimisti lo situano intorno al 15%, mentre alcuni sindacati lo fanno alzare oltre il 20%.

Nove giorni dopo tali manifestazioni di massa, è ora la volta dei pensionati, convocati sabato 17 marzo per rivendicare “pensioni dignitose”, un’altra questione di soldi. Negli ultimi mesi, ma soprattutto dopo il novembre scorso, le manifestazioni di protesta da parte dei pensionati sono aumentate qua e là, anche nelle piccole città, esprimendo un malcontento che viene da lontano. Il fattore scatenante sembra sia stata la lettera che ogni pensionato riceve all’inizio dell’anno con la comunicazione dell’incremento della pensione: quest’anno di un misero 0,25%. Ed ecco che le diverse organizzazioni e associazioni di pensionati si sono messe d’accordo per scendere in piazza e far sentire al governo «la voce della strada».

Victoria Portas, una quarantenne sindacalista con anni di esperienza negli uffici dell’Istituto Nazionale della Sicurezza Sociale (Inss) si è messa dalla parte dei pensionati, diventando la portavoce del Cedspp (Coordinamento statale per la difesa del sistema pubblico delle pensioni), l’organizzazione che appunto ha convocato a manifestare sabato 17. Portas ha affermato più volte che questo movimento associativo è iniziato cinque anni fa, in seguito alle riforme del governo socialista del 2011 sul sistema pensionistico. Poi una successiva riforma nel 2013, attivata dal governo di Mariano Rajoy, ha aggiunto altra benzina sul fuoco. Il fatto è che il potere d’acquisto di tanti pensionati è diminuito durante gli anni della crisi economica, un periodo in cui sono stati proprio loro a sostenere tante famiglie, quando la disoccupazione è salita a livelli storici. Ed è stato nell’ultimo anno che i pensionati si sono organizzati con decisione.

Le rivendicazioni di questo sabato coprono tre fronti: uno nell’ambito legale (diritti costituzionali, ritornare ai 65 anni per l’età pensionistica, pensione anticipata senza penalizzazione…), un altro economico (pensione minima a 1.080 euro, rivalutazione automatica in base all’inflazione…) e un terzo di carattere sociale (ridurre il divario tra uomini e donne, garantire forniture di base come elettricità, acqua e trasporti, ecc.).

Portas non ha peli sulla lingua quando sentenzia che «per il governo, i pensionati non esistono, i loro diritti sono ignorati, le loro domande non sono tenute in conto, i loro problemi non devono esser conosciuti nemmeno in parlamento». In un’intervista rilasciata al quotidiano El Faro de Vigo, afferma poi che lo sfondo sul quale si muove il governo è il progetto che fra pochi mesi sarà approvato dalla Commissione europea: «Una previdenza privata gestita dalle banche e da entità private che uscirà come regolamento, cioè, non come direttiva o raccomandazione ma regolamento approvato dalla Ue con effetto in tutti i Paesi membri».

 

 

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