Temirkanov & Bahrami
Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia. Si sono affacciate recentemente sull’orizzonte romano due personalità geniali. Diverse, ma pure straordinariamente simili. Intanto: cosa potrebbe accomunare Temirkanov, specialista del repertorio russo e non solo, distinto signore dai capelli bianchi all’iraniano trentunenne e robusto Ramin Bahrami, che ama Bach alla follia? Temirkanov è forse oggi il massimo direttore. La musicalità del gesto, il colloquio con l’orchestra che diventa un’altra quanto a bellezza di suono, precisione negli attacchi, nettezza nei finali è qualcosa di unico. Anche perché questo direttore non fa il divo, non è presuntuoso, unisce studio a tecnica a carisma, senza farlo pesare. La Sinfonia n. 2 Resurrezione di Mahler sotto la sua guida è un poema di inquietudine umana si direbbe storica, dato che è l’umanità stessa a gemere, cercare e trovare una via; che è poi in una resurrezione dell’uomo-eroe che si trascende in una dimensione catartica (non priva, nonostante il parere contrario di alcuni, di una suggestione cristiana). Dei cinque tempi in cui si articola il lungo brano, il secondo Andante moderato è stupendo come capacità di fraseggio dell’orchestra, tristezza e bellezza fuse in un suono amalgamato che prende e trascina. Temirkanov appare quello che è, uno ancora innamorato – dopo tanta carriera – della musica che esegue, come fosse la prima volta. Bahrami è come lui. L’Arte della fuga, quasi un’ora e mezzo di pianoforte, lo vede concentrato in un Bach che sembra di ascoltare per la prima volta. Il giovane iraniano accompagna col corpo ogni singolo brano, gli occhi fissi nell’enorme spartito, il volto radioso. Nessuna leziosità né in lui né nel suo modo di suonare, grintoso appassionato ritmico poetico. Gli aggettivi si sprecano perché Bach viene manifestato. C’è in questo pianista una libertà che rende la geometria bachiana riposante, per nulla freddamente cristallina, anzi egli vi estrae una passionalità compressa, una durezza a volte, ma sempre dentro un equilibrio superiore. È quasi portare i cieli bachiani, così metafisici, in terra, rendere l’astratto del contrappunto e del canone linguaggio naturale. Il fatto è che Bahrami come Temirkanov, nonostante età ed esperienze diverse, sono guidati dallo stesso incanto per la musica. Di qui la gioia incontenibile del pubblico ceciliano. SILVIA COLASANTI Orchestra di Roma e del Lazio. Roma, Parco della musica. 32 anni, studio indefesso, fantasia in fermento, la compositrice romana ha offerto la prima mondiale di Grido velato per viola e orchestra, con il solista Fabrizio De Melis e l’orchestra guidata dal focoso Lior Shambadal. Il brano è bello, suggestivo, una visione di sentimenti contrastanti ora dissolventisi ora rimarcati. La viola funge da punto di raccordo del grido nelle sue più varie articolazioni: un tema oggi sentito, perché di grida – dell’anima del mondo della natura – siamo circondati. Ascoltato ad occhi chiusi, il brano è una lirica e struggente meditazione sul vivere ed il morire.