Ma è tedesco? Il sistema elettorale in discussione

Approda al voto in Aula una proposta forte dell’accordo tra Forza Italia, M5S, Lega e Pd ma lontana dal sistema vigente nel Bundestag. Un primo tentativo di analisi per un dibattito nel merito
ANSA MAURIZIO BRAMBATTI

E quindi, ci siamo con la legge elettorale per il Parlamento. La Camera avvia l’esame in Assemblea, dopo i convulsi lavori in Commissione. Il primo dato che balza agli occhi è l’ampio consenso raccolto attorno al testo in discussione, sostenuto da Pd, Forza Italia, Lega e – nientemeno – M5S.

Un dato che di per sé è positivo: sembra annunciare l’alba di una nuova relazione tra le forze politiche, più “disarmata” di quella che ci ha preceduto; e se ne sente il bisogno. Resta da capire se l’accordo è al ribasso o al rialzo.

Come è a tutti noto, il modello scelto è quello in vigore, dalla fine degli anni Quaranta del Novecento, per l’elezione della Camera bassa (Bundestag) in Germania. Iper-collaudato, quindi.

Il modello tedesco originale

Si tratta di un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, che bilancia il potere dei partiti con i collegi uninominali: se una metà dei parlamentari è infatti eletto con voto di lista a candidature bloccate, l’altra metà è eletto in collegi uninominali (299 su 598). Il riparto dei seggi avviene con metodo proporzionale sulla base dei voti di lista, ma in caso di contrasto tra la percentuale della lista e i vincitori dei collegi, questi ultimi hanno comunque assicurato il loro seggio, anche se il loro numero fosse più alto di quello spettante alla propria lista in base alla percentuale raccolta.

In Germania questo non crea particolari problemi, perché il numero dei componenti il Bundestag non è fissato nella Legge fondamentale e quindi può variare. La prevalenza del collegio sulla lista si determina poi in un’altra circostanza: se un partito non raggiunge il 5% ma conquista 3 collegi, entra in Parlamento.

Infine, l’elettore ha a disposizione due voti, uno per il collegio e uno per la lista, che può esercitare liberamente, pur se all’interno di un’unica scheda.

Il modello italiano proposto

Il sistema cui sta lavorando la nostra Camera dei Deputati ha in comune con quello appena descritto lo sbarramento al 5% e la coesistenza di collegi uninominali e voto di lista con candidature bloccate, ma le similitudini sembrano finire qui. Infatti la percentuale degli eletti con l’uno o l’altro metodo non è 50-50 come per il Bundestag, ma circa un terzo/due terzi, precisamente 225 eletti in collegi e 405 nelle liste.

 La ragione addotta per la sproporzione è che in Italia il numero dei Parlamentari è definito in Costituzione (630 deputati e 315 senatori) e non può mutare, ma sinceramente non appare una ragione credibile e lo dimostra il precedente del “mattarellum”, che pure – a parti invertite – era un sistema a doppia elezione.

In verità il rapporto 225 a 405 nasce da una modifica inserita per correggere un vero obbrobrio della prima bozza: lo slittamento dell’elezione dal vincitore del collegio al primo candidato della lista bloccata, che poteva verificarsi in molti casi. La correzione era quindi necessaria, ma non è stata a costo zero: i collegi sono diminuiti di numero – da 303 a 225 per la Camera e da 150 a 112 per il Senato– e in sé non è positivo perché diminuisce anche la possibilità per gli elettori di scegliere sulla base di un rapporto diretto con i candidati. Ma ciò significa anche che cresce la dimensione dei collegi e quindi la difficoltà ad instaurare quel rapporto.

La grande differenza dal modello tedesco

La realtà è che il sistema tedesco che si sta attuando in Italia è fortemente sbilanciato in favore della sua parte proporzionale, a lista bloccata e, va detto, in pieno dominio dei partiti.

Certo, sappiamo che anche in Germania c’è la lista bloccata, ma la similitudine non regge. Da quelle parti, infatti, vige una legge dettagliatissima che disciplina l’organizzazione e il funzionamento dei partiti, con i dovuti controlli interni ed esterni. La legge elettorale, poi, disciplina in maniera altrettanto minuziosa anche la procedura per arrivare alla definizione dei candidati e il loro ordine sulla scheda.

A scanso di equivoci vale la pena riassumerla qui, attingendo direttamente al testo della legge federale tedesca. Spetta a una assemblea appositamente eletta in seno ai partiti, con voto segreto e a livello di collegio, individuare i candidati. Chiunque è stato eletto all’assemblea può proporsi come candidato e la legge, testualmente, dispone che “dev’essere garantito il tempo adeguato per presentarsi e presentare il proprio programma”. Seguono le procedure di elezione, fissate dagli statuti dei singoli partiti.

Interessante la norma finale, relativa alla effettiva presentazione del candidato di collegio: “Unitamente alla candidatura di collegio va presentata una copia del documento relativo alla scelta del candidato, recante indicazione sul luogo e ora della riunione, modalità di convocazione, numero dei membri presenti e risultato della votazione. A riguardo, il direttore della riunione e due partecipanti da lui designati devono assicurare sotto giuramento al direttore elettorale di collegio che le disposizioni predette sono state rispettate. Il direttore elettorale di collegio ha la responsabilità di ricevere tale giuramento; egli opera come funzionario pubblico ai sensi dell’articolo 156 del codice penale tedesco” (art. 21, comma 6). Tutta la procedura è poi confermata anche per la individuazione dei candidati nelle liste bloccate ma “con la differenza che l’assicurazione sotto giuramento deve estendersi al fatto che la definizione dell’ordine dei candidati nelle liste di Land ha avuto luogo con voto segreto” (art. 27, comma 5).

Si tratta pertanto di un sistema molto garantista per i cittadini-elettori, che tra l’altro taglia la testa sul nascere alle pluricandidature, non consentite perché incompatibili.

L’impronta del leaderismo  

Pertanto non è possibile giustificare le nostre liste bloccate “perché anche in Germania è così”: da noi esse sono il frutto del leaderismo nostrano, solitamente poco illuminato e con una spiccata predisposizione a prediligere e cooptare soggetti ad alta fedeltà al leader.

Possiamo concludere che pare improponibile questo metodo di selezione. In mancanza di procedure garantiste e trasparenti, pur con tutti i suoi limiti, è meglio ripristinare la preferenza, perché anche noi cittadini possiamo essere compartecipi della individuazione dei nostri rappresentanti.  Stupisce pertanto il silenzio, anche sul punto, in Commissione Affari costituzionali dei deputati pentastellati, a partire da Danilo Toninelli.

I Deputati di Articolo 1-MDP, Fratelli d’Italia, Sinistra italiana, Possibile di Civati, assieme a tutti i centristi hanno presentato, tra i vari emendamenti, anche quelli per reintrodurre la preferenza, bocciati con il contributo dei deputati M5S. Leggiamo che faranno la battaglia in Aula; vedremo, sperando che non frani con il voto segreto.

La definizione dei collegi e l’impossibilità del doppio voto

Ma le anomalie della legge non finiscono qui. Una, si spera verrà corretta: la definizione dei collegi che fa parte integrante della legge, cosa mai avvenuta prima. Come si sa, spetta al Ministero dell’interno il compito di disegnare i collegi, sulla base dell’ultimo censimento della popolazione, come vogliono gli articoli 56 e 57 della Costituzione. Ma la possibilità di andare al voto subito dopo l’estate fa sì che siano stati riadattati i collegi del “mattarellum”, definiti sulla base del censimento del 1991!

Un altro problema è ancor più macroscopico e riguarda la modalità di espressione del voto. A differenza del sistema tedesco, la nostra proposta prevede un solo voto.

Abbiamo visto a grandi linee come si elegge il Bundestag e l’equilibrio tra parte a collegio e parte a lista: esso si regge sulla possibilità dell’elettore di esprimere due voti, uno per la scelta del candidato al collegio uninominale, l’altro per la scelta della lista: totalmente liberi pur se all’interno della stessa scheda. Anche per noi ci sarebbe una sola scheda, ma in pratica potremmo scegliere solo una lista (o partito che dir si voglia): anche se volessimo premiare un bravo candidato nel collegio uninominale, scelto lui, automaticamente sceglieremmo anche la sua lista per la parte proporzionale.

 

 

 

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