Teatro sopra e sotto
Alla scoperta di un volto inedito di Napoli: quello del suo sottosuolo.
Sopra, il pittoresco caos che ha attratto e respinto, a seconda dei casi, innumerevoli visitatori per via di quell’esporsi “fuori” della gente, senza pudori, come le merci straripanti dai negozi. È il presepe vivente, chiassoso e vivace, dei napoletani, che riproduce a grandezza naturale quelli di sughero, cartapesta o terracotta stipati lungo la via preposta a questo genere di commercio, la celebre San Gregorio Armeno.
Uno scenario fatto per mandare in estasi l’amico Joaci, brasiliano del Nordeste che ha girato il suo immenso Paese e mezzo mondo senza trovare – sostiene lui – una città che abbia l’eguale di questa Napoli dove son nato, ma che vado riscoprendo proprio attraverso i suoi occhi. Incurante di farsi travolgere nella calca di Spaccanapoli, Joaci salta come un grillo da un punto all’altro per fotografare un volto, un atteggiamento, un particolare di un edificio storico o delle coloratissime rivendite di ortofrutta e di pesce.
Sopra, dicevo. E sotto? La tentazione di fargli sperimentare un’altra Napoli è forte. Quando mai ne avrà un’occasione migliore? E dunque via, di corsa, dietro la comitiva appena sprofondatasi in un oscuro cunicolo al seguito di una guida dell’associazione onlus che da non molti anni si propone di mostrare questo volto inedito della città partenopea.
Ci inoltriamo nel sottosuolo ridotto ad una immensa groviera che, se da una parte, è causa periodica di dissesti di strade ed edifici, dall’altra sembra abbia tutelato dai terremoti il centro storico di questa metropoli, tra i più vasti d’Europa e superaffollato di edifici in parte fatiscenti. È noto infatti che le onde sismiche hanno effetti deleteri quando incontrano la resistenza del suolo, mentre perdono la loro forza se incontrano il vuoto.
Sì, il vuoto è stato probabilmente la salvezza di questa Napoli che per millenni è sorta su sé stessa, cavando la materia prima dalle proprie viscere: quel pregiato tufo giallo col quale, almeno fino all’avvento del cemento armato, si costruiva il grosso degli edifici. Cave di tufo che risalgono alla prima colonia greca, e via via utilizzate nelle età successive, nel susseguirsi di dominazioni e regni, per acquedotti, tracciati fognari e, in epoca più recente, come rifugi antiaerei.
Solo una minima parte è stata esplorata di queste gallerie, che di quando in quando si aprono in grandiosi spazi a volta, se non risultano ostruite da scarichi secolari di materiali d’ogni genere. Ad ogni modo la parte oggi resa accessibile a cura dell’associazione “Napoli sotterranea” è quanto mai suggestiva. Anzi, di recente, ha fatto da scenario ideale per rappresentazioni teatrali.
Aggregati alla comitiva di turisti, il mio amico ed io rimaniamo incuriositi dagli esperimenti di coltivazione sotterranea delle piante e dai polverosi reperti di valigie, giocattoli, perfino orinali, di chi qui cercò un rifugio ai bombardamenti dell’ultima guerra. E se talvolta è necessario strisciare in cunicoli da incubo per chi soffre di claustrofobia, al lume spettrale delle candele, vale la pena godersi lo spettacolo delle cisterne di acqua limpidissima.
L’ultimo tratto del percorso ci riporta al sollievo della luce e del tepore, dopo il buio e l’umido sepolcrale. Solo pochi passi all’aperto, in un vicolo, e la nostra guida ci introduce in un “basso” disabitato ma ancora completo dei suoi modesti arredi, testimonianza di un modo di vivere ancora diffusissimo almeno qui nel centro storico.
Basta spostare un letto, sollevare una botola e scendere una scaletta, per ritrovarci in alcuni ambienti inequivocabilmente di epoca romana, a motivo dei muri in opera laterizia e reticolata. È quanto rimane visibile del teatro dell’antica Neapolis, dove Nerone ottenne un successo cui non fu estranea una nutrita claque prezzolata e che, inglobato in edifici di diverse epoche, attende ancora di essere riportato alla luce. L’ultima sorpresa, per Joaci, di quel teatro affascinante che è Napoli.