Taureana e il santo “cavallaro”
Venezia, sestiere di San Marco. Quanti sanno che la piccola chiesa di fronte al Gran Teatro La Fenice rappresenta il principale edificio di culto, in Italia, dedicato al primo santo calabrese storicamente accertato, Fantino il Vecchio, per i veneziani san Fantin? Principale per valore artistico (il suo ultimo rifacimento rinascimentale si deve infatti al Sansovino), ma non per quello storico. Che spetta invece, nella bassa Calabria tirrenica, al complesso paleocristiano di Taureana di Palmi, la romana Tauriana dove nacque e fu sepolto questo personaggio del IV secolo dedito alla preghiera e amico dei poveri.
Nel territorio palmese Fantino è noto anche come “Fantino il Cavallaro” (servì come guardiano di cavalli) o “il Taumaturgo” per i molti miracoli ricordati nella sua biografia scritta in greco, nell’VIII secolo, da Pietro vescovo di Taureana. Tra i quali, un prodigio legato ai festeggiamenti in onore di questo santo. Era il 24 luglio dell’anno 650 quando, di primo mattino, gli abitanti del borgo videro con terrore avvicinarsi una flotta saracena. Facendo seguito alle invocazioni di soccorso al loro patrono, un improvviso sconvolgimento del mare mandò le navi a fracassarsi contro quello che oggi è denominato Scoglio dell’Isola. Catturati, i pochi scorridori superstiti riferirono di aver visto sopra quello spuntone roccioso un giovane che al cenno di una donna vestita di porpora aveva lanciato in mare una fiaccola, provocando la tempesta. Da cui l’origine, a Taureana, del culto alla Madonna con il titolo di Maria dell’Altomare.
Passarono i secoli e san Fantino cadde nel dimenticatoio, complice l’isolamento di quel pianoro a strapiombo sulla spiaggia. Esso attirò invece, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, studiosi e archeologi decisi a rintracciare i resti del primitivo abitato brettio del IV secolo a. C., della sua rifondazione ad opera dei Tauriani, e poi della città romana, fino al suo abbandono nella prima metà del IV sec. d. C. Le indagini degli anni Settanta, riprese nei Novanta, rivelarono sotto i livelli italici e romani anche un villaggio dell’età del Bronzo risalente a 4 mila anni fa, a conferma dell’importanza di un sito da sempre ritenuto strategico per il controllo del territorio e per i traffici marittimi.
In splendida posizione sulla Costa Viola e il tratto di mare compreso tra Capo Vaticano e le isole Eolie, oggi Taureana costituisce insieme a Palmi, di cui è frazione, una rinomata meta turistica per le attrattive naturalistiche e storiche del Parco archeologico dei Tauriani, istituito nel 2010 e intitolato ad Antonio De Salvo, lo storico palmese che alla fine dell’Ottocento dedicò una importante monografia alle strutture ancora in vista dell’antica città.
Quelle finora messe in luce in mezzo al verdeggiare di maestosi uliveti coincidono con il cuore civile e religioso del municipium romano, scenograficamente sviluppato su terrazzamenti: un asse stradale basolato (forse un tratto della via Popilia che univa Capua a Reggio), un quartiere residenziale (notevole la “casa del mosaico”, così detta da un emblema musivo raffigurante scene di caccia all’orso), un santuario urbano la cui divinità resta ancora ignota e un edificio per spettacoli con una cavea di tipo teatrale… Ma il più resta ancora da scoprire, considerato che la superficie del Parco è di tre ettari, mentre l’abitato si estendeva per circa dieci.
Adiacenti ad esso è il complesso altomedievale di San Fantino (la basilichetta cimiteriale del V-VI sec. d.C. con annessi i resti di due conventi bizantini, maschile e femminile). A scoprire nel 1952 questo luogo di culto cristiano – il più antico della Calabria, come attesta una iscrizione funeraria del 348 d. C. – furono alcuni cittadini di Palmi, sulla base di una vecchia mappa rinvenuta da uno di loro in un monastero greco durante la Seconda guerra mondiale. Le ricerche effettuate confermarono inoltre la presenza, anch’essa indicata sulla mappa, di un cunicolo collegante la cripta alla vicina torre di avvistamento cinquecentesca.
Seguì un lungo periodo di abbandono e degrado. Solo alla fine degli anni ’80, grazie all’azione sistematica e appassionata di un gruppo di volontari palmesi del Movimento Culturale San Fantino, oggi Associazione Culturale senza fini di lucro, la cripta del santo “cavallaro” veniva riportata nuovamente alla luce e sottratta all’incuria.
Si tratta di un ambiente ipogeo di quasi 500 anni più antico della celebre Cattolica di Stilo, riadattamento di una cisterna di età romana dove tuttora una sorgiva d’acqua, nella stagione delle piogge, torna a colmare il bacino per i battezzandi. Tra i resti di affreschi su più strati, a stento leggibili, si coglie una particolarità: di alcuni santi non furono dipinti i volti. Questa raffigurazione “aniconica”, rara in Calabria ma presente in alcune diocesi greche dell’Italia meridionale, si spiegherebbe come ossequio al divieto iconoclasta di rappresentare le immagini, attestando così un legame con il Patriarcato di Costantinopoli. Studi definitivi potrebbero venire solo da nuovi scavi in questo luogo di forte suggestione che non ha ancora cessato di rivelare i suoi tesori.
Nel 1998, per la sua attività di recupero, salvaguardia e valorizzazione, il Movimento Culturale San Fantino riceveva in “adozione” dalle Soprintendenze ai Beni Archeologici e ai Beni Architettonici e dal comune di Palmi il complesso paleocristiano insieme alla soprastante chiesa ottocentesca di Santa Maria dell’Altomare, ora adibita a museo, e successivamente l’incarico di cura, manutenzione e gestione del Parco Archeologico dei Tauriani.
Tra le iniziative promosse dai volontari palmesi in onore di questo santo vissuto nel periodo della Chiesa unita: incontri di preghiera fra cattolici e ortodossi e il ripristino dell’antichissima festa di san Fantino con la benedizione di 24 cavalli e altrettanti cavalieri che, partendo dalla nuova chiesa parrocchiale a lui dedicata, si snodano in processione lungo le vie di Taureana fino alla cripta che ospitò le sue spoglie, oggi adorna di un bel lampadario offerto dai monaci del monte Athos.
Una icona in stile bizantino reca l’immagine del santo a cavallo mentre attraversa un corso d’acqua: rappresenta uno dei miracoli narrati nella sua biografia. Per soccorrere i poveri, nel tempo della mietitura Fantino faceva trebbiare di notte i loro covoni con le cavalle del padrone, il pagano Balsamio. Questi venne a saperlo e, irato, inseguì il santo che nel frattempo era fuggito a cavallo verso il fiume Metauro (oggi Petrace). Poiché era in piena, Fantino pregò e ottenne di attraversare le sue acque divise. A quel prodigio, il sopraggiunto Balsamio chiese perdono al fuggiasco e si convertì a Cristo.