Tauran, uomo di diplomazia e dialogo
La maggior parte della gente ricorderà il cardinale Jean Louis Tauran per l’annuncio che aveva dato al mondo dell’elezione alla cattedra di Pietro di Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Quell’uomo dalla figura fragile, piegata da un Parkinson ormai evidente, con la voce che tradiva le sue origini francesi, avrebbe ammesso, poi, che quel momento davanti “al mondo” gli era costato non poco per la sua salute fisica già compromessa. Mi raccontò, qualche mese più tardi, di aver dovuto fare un periodo di vacanze nella sua cara Francia per rimettersi dall’emozioni del Conclave e, soprattutto, di aver dovuto affrontare milioni di persone, presenti in piazza S. Pietro e nei media in tutto il mondo. Quell’annuncio si apriva un capitolo nuovo nella storia della Chiesa: l’era Bergoglio di cui Tauran ha rappresentato un volto importante.
Tauran, scomparso nei giorni scorsi negli Usa, dove si era recato per una cura per il Parkinson che lo minava da anni, era una persona di grande finezza sia intellettuale che spirituale. Nella diplomazia vaticana sarà associato per sempre ad uno dei periodi più difficili e controversi della storia recente del mondo. Dal 1989, infatti, ha ricoperto prima il ruolo di sottosegretario per i rapporti con gli Stati e, l’anno successivo, quello di segretario, posizione che mantenne fino al 2003. Si tratta di uno del periodo della nostra storia recente che ha attraversato le guerre e i genocidi dei Balcani – con le accuse di Mitterand al ruolo della Santa Sede nel riconoscere Croazia e Slovenia – e le varie crisi e guerre del Golfo Persico delle amministrazioni Bush. Proprio verso il termine del suo mandato già all’interno del nuovo millennio, Tauran aveva giocato le carte della Santa Sede per dissuadere, inutilmente, gli Usa dall’intervenire militarmente in Iraq. Tauran, a nome dell’ormai malato Giovanni Paolo II, aveva insistito che una invasione militare avrebbe significato la violazione della legge internazionale e, dunque, sarebbe stato un atto criminale contro la pace e contro la Convenzione di Ginevra. Con la sua fine arguzia francese aveva tracciato una differenza fra ‘la forza della legge e la legge della forza’ mettendo in chiara evidenza che Bush e la sua amministrazione si erano lasciati tentare dalla seconda opzione.
Qualche anno più tardi, dopo un periodo dietro le quinte come Bibliotecario della Santa Sede, Tauran è riapparso sulla scena vaticana con una mossa a sorpresa, almeno per molti, da parte di Benedetto XVI, che, nel 2007, lo nominò presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani. Ci furono non poche riserve espresse da più parti sulla nomina di questo cardinale francese, diplomatico, in un settore della Chiesa che attraversava un momento complesso. Le questioni, allora, infatti si erano concentrate sugli aspetti teologici della possibilità del dialogo fra la Chiesa e i fedeli di altre tradizioni. Per qualche tempo, il Pontificio Consiglio del dialogo interreligioso era stato posto sotto la Presidenza di quello della cultura con il card. Poupard a capo. Cosa avrebbe potuto fare un diplomatico di carriera, sia pure fine ed esperto come Tauran? La scelta di papa Ratzinger si è, invece, rivelata indovinata.
Il cardinale francese, infatti, nel corso degli anni, è riuscito a spostare il baricentro del dialogo da questioni di ermeneutica filosofica e teologica a problemi ben più centrali e concreti, come la libertà religiosa e aspetti di rapporti anche con rappresentanti politici, amministrativi e religiosi. Tauran, poi, riuscì con grande acume e accortezza a trasferire a livello internazionale la grande distinzione fra dialogo interculturale e dialogo interreligioso su cui si era concentrato il papato Ratzinger.
Il suo impegno è stato, in particolare con il mondo dell’Islam, in un momento della storia dell’umanità che ha coinciso con il “dopo 9/11”, con il crescere degli attentati terroristici in Europa e con le crescenti ondate migratorie, sempre più identificate, in certi settori sia politici che ecclesiali, come una cavalcata di valchirie islamiche contro il cristianesimo. I suoi interventi sempre chiari e puntuali hanno contribuito a chiarire la necessità di distinguere fra Islam e musulmani, fra migrazioni e Islam, e a insistere su questioni come la libertà religiosa, riconoscendo fra l’altro ai musulmani la capacità di aver riportato Dio nel dibattito pubblico in Europa.
Tuttavia, il suo atteggiamento non era per un favore gratuito nei confronti dell’Islam. Le sue grandi capacità intellettuali gli hanno permesso chiarimenti importanti onde non dare per scontate questioni cruciali, soprattutto riguardo alla posizione dei cristiani nei Paesi a maggioranza islamica. Il suo ultimo viaggio di grande valore è stato quello recente in Arabia Saudita con aperture notevoli e, per certi versi, inattese da parte del regno saudita sia verso la Santa Sede che nei confronti dei cristiani.
Una nota personale. In varie occasioni in questi anni di fronte a scelte importanti nel mio lavoro nel campo del dialogo interreligioso, mi sono trovato a confrontarmi con questo cardinale francese con il quale era nata una amicizia e stima reciproca profonda. Dalla condivisione delle reciproche esperienze e punti di vista è emersa sempre la risposta che si è rivelata giusta per le scelte da fare e la strada da percorrere.