Tasse e grandi ricchezze, è ora di decidere

Tasse per chi ha accumulato ricchezze durante una crisi pandemica diseguale. Anche se in questo momento le energie del Governo sono assorbite dall’urgenza di far arrivare i soldi a chi è stato colpito dalla pandemia, resta forte l’esigenza di cominciare presto a raccoglierne attingendo a redditi e ricchezze rimasti intatti e non ancora chiamati a contribuire adeguatamente. Il pericolo di un debito pubblico fuori controllo.

«Non è il momento di prendere ma di dare soldi ai cittadini» ha affermato Mario Draghi reagendo alla proposta di accrescere la tassazione sulle grandi eredità, e la sua frase ha raccolto molti applausi. È da sperare invece che, al di là della poca voglia di parlarne per ragioni di opportunità politica, Governo e Parlamento prendano molto sul serio il tema della raccolta di maggiori tributi, per iniziare a coprire le enormi somme erogate “a debito” alle vittime economiche del coronavirus.

So di fare un discorso sgradevole, perché oggi la parola tasse è un tabù. Vari atteggiamenti si mescolano e si confondono al riguardo: c’è l’irritazione di chi dalla pandemia è stato colpito davvero, e fin qui niente da dire; c’è poi la speranza di altri di beneficiare del clima di “liberi tutti” (dalle tasse, stavolta, anziché dalle mascherine) “perché tanto ci sono i soldi dell’Europa”; e infine c’è la furbizia di chi, ben sapendo che molti italiani non hanno avuto alcun danno (e alcuni anzi sono andati meglio), si fa paladino dei loro interessi unendosi al coro del “non parliamone nemmeno”.

Mi piacerebbe vedere una politica che non vada avanti solo a slogan, ma che argomenti e discuta guardando ai dati di fatto.

L’arresto delle attività produttive imposto dalla pandemia ha comportato nel 2020 erogazioni straordinarie di quasi 120 miliardi di euro, tra “sostegni”, “ristori”, cassa integrazione e misure minori: una cifra pari al 7% del Prodotto interno lordo (Pil). Anche le analoghe erogazioni del 2021 saranno pesanti. Di conseguenza a fine anno il debito pubblico arriverà al 160% del Pil, un valore che l’Italia sperimentò solo nei turbolenti anni dopo la prima guerra mondiale.

Se ci confrontiamo con gli altri Paesi dell’Unione europea, vediamo che il nostro è il secondo valore più alto dopo quello, patologico, della Grecia, e supera di ben 70 punti il valore medio dei ventisette.

Sarà possibile riportare il debito ad un livello da allarme arancione, anziché rosso come è oggi? Sì, ma solo se nei prossimi anni avremo: una crescita del Pil superiore a quella media del decennio precedente; spese correnti controllate; e tassi di interesse “reali” – ossia al netto del tasso di inflazione – prossimi allo zero. I fattori di preoccupazione al riguardo non mancano. Uno è che l’inflazione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sta ripartendo e, per porle un freno, le banche centrali potrebbero trovarsi a dover far crescere i tassi di interesse reali. Teniamo presente che, per un’Italia con 2500 miliardi di debito pubblico, ogni punto percentuale di interesse in più significa un’uscita di 25 miliardi in più ogni anno.

Nella situazione che ho descritto, dopo tanto “dare” mi sembra difficile poter continuamente rinviare il momento del “prendere” (in quale modo tassare è tutto da discutere, ma non in questa sede). Certo, ogni prelievo riduce la capacità di spesa di consumatori e investitori. Però è anche vero che un ruolo importante lo giocano le aspettative, e la prospettiva di una finanza pubblica più credibilmente sotto controllo può, al contrario, incoraggiare i piani di spesa più a lungo termine.

Ma c’è un’altra considerazione importante da fare. La crisi pandemica è stata molto asimmetrica. Da un lato ci sono imprese e lavoratori che hanno visto le loro entrate falcidiate dalle misure anti-contagio: i “sacrificati”. Dall’altro ci sono ampie categorie che a causa del contagio non hanno perso un centesimo: i “preservati”. Tant’è vero che, non potendo spendere come al solito, questi ultimi hanno fatto crescere i depositi bancari di oltre 100 miliardi di euro. Per finanziare gli aiuti, tra tassare oggi i “preservati”, come solidarietà richiederebbe, oppure rinviare tutto a domani c’è un’importante differenza: che nel secondo caso a ripagare il debito saranno chiamati anche gli stessi già “sacrificati”, e i loro figli.

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