Tartarughe a Pompei

L’ultima, inusuale scoperta degli archeologi nella città distrutta dal Vesuvio: una tartaruga, di cui proviamo ad immaginare la vita, prima dell'eruzione del 79 d. C. e dopo il terremoto che l'aveva preceduta.
Foto: LaPresse

Quasi dodici anni sono trascorsi dal terremoto che ha devastato Pompei e dintorni, e ancora la cittadina vesuviana deve rimarginare tutte le sue ferite. Proprio così: Pompei è tutta un cantiere. Una vera manna per gli speculatori che dagli antichi proprietari, emigrati altrove dopo quell’esperienza traumatica, hanno acquistato a prezzi stracciati le domus sinistrate; e lo stesso vale per gli architetti, operai e decoratori chiamati a lavorare alle ricostruzioni e ai restauri da chi invece, rimasto e provvisto di beni, ne ha approfittato, non di rado, per ampliare la sua dimora e per far rinnovare l’apparato decorativo con affreschi all’ultima moda, quella dettata da Roma.

Fra le prime strutture pubbliche ad essere rimesse in funzione avrebbe dovuto essere il castellum aquae, ovvero il ripartitore idrico che, collegato all’acquedotto augusteo del Serino, garantiva l’approvvigionamento di acqua a tutta Pompei. La precedenza, invece, oltre alle case di abitazione, è andata alle terme, ai luoghi dello svago e alle palestre. Nello stesso foro, tuttora irto di impalcature, i lavori vanno a rilento. Incompleti i restauri anche dei templi, a cominciare da quello di Venere, la patrona della città. Unico a presentarsi nuovo di zecca e sfolgorante di affreschi, è quello di Iside a ridosso dei teatri, grazie al mecenatismo di Numerio Popidio Ampliato, uno dei ricconi locali, attribuendone il merito al figlioletto di appena sei anni: un espediente paterno per avviarlo ad una fortunata carriera politica.

Rimangono comunque, anche nelle zone urbane più frequentate, angoli abbandonati, ruderi inghiottiti dalla vegetazione rigogliosa che nessuno sa più a chi appartengano. Un esempio è proprio nella centralissima via che collega il foro con l’anfiteatro (nome moderno: via del’Abbondanza). Qui, in una taberna semidistrutta e chiusa al pubblico nei pressi delle Terme Stabiane, arrancando faticosamente sulle sue zampette, s’è rifugiata una tartaruga terrestre in cerca di un posto protetto dove deporre le uova. Proveniva dal peristilio o dall’orto della lussuosa domus confinante, troppo danneggiata dal sisma per essere restaurata e ora in via di demolizione? È probabile.

Indisturbata a pochi metri dal viavai degli abitanti e dagli operai al lavoro, ha scavato il pavimento in terra battuta di quella bottega aperta al sole e alla pioggia dopo il crollo del tetto. Purtroppo, la poverina non è riuscita a partorire (succede anche alle testuggini!) sicché quel rifugio a cinquanta centimetri di profondità è diventato anche la sua tomba. Ma anche se tutto le fosse andato liscio, lenta com’era, come sfuggire alla catastrofe incombente sulla città condannata, causa quel Vesuvio che – sornione e verdeggiante di vigneti – domina il panorama pompeiano?

Duemila anni dopo la troverà sotto i lapilli un team di archeologi italiani e stranieri, il carapace sfondato alla sommità, la testa, la coda e una delle zampette intatte… insieme all’uovo mai deposto: testimone, suo malgrado, di una tragedia che ha accomunato agli esseri umani anche gli animali domestici e selvatici.

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