Taranto resta segno di contraddizione
Chi è del posto come Michele Riondino, l’attore reso noto per aver interpretato il giovane Montalbano in tv, afferma che i «tarantini sono, da sempre, merce di scambio». Ma la bella “Città dei due mari” ormai è diventata un simbolo della storia contraddittoria di questo Paese. E quindi potrebbe rivelarsi un’occasione di riscatto, anche se il cammino è impervio.
A che punto stiamo? Le ferite del territorio provocate da una cattiva industrializzazione non riguardano solo lo stabilimento siderurgico dell’Ilva, il più grande d’Europa, ma il decreto approvato in via definitiva dal Parlamento il primo di agosto è fatto su misura per l’ex Italsider perché mira proprio a rendere operativo il commissariamento governativo delle «imprese di interesse strategico nazionale che comportino pericolo ambientale». Nel caso di Taranto siamo oltre la soglia del pericolo perché il danno alla popolazione è stato accertato oltre ogni ragionevole dubbio e la magistratura sta perseguendo la proprietà dell’acciaieria contestando gravissimi reati come l’associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale e l’avvelenamento di sostanze alimentari, oltre ad altri pesanti capi di imputazione. Altre indagini, con relativi arresti clamorosi, si occupano della ragnatela di collusione e corruzione che inevitabilmente si associa a quello che la Commissione europea ha correttamente definito, avviando le indagini sul caso, come violazione “del diritto alla vita” sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Commissario e subcommissario
Il governo Letta ha confermato, come commissario incaricato di attuare il piano di risanamento ambientale e industriale, Enrico Bondi, il supermanager risanatore della Parmalat, ora in mani francesi, già nominato amministratore delegato dalla società dei Riva proprietaria dell’Ilva. Ma oltre a questa figura di garanzia del mondo imprenditoriale, l’esecutivo di larghe intese ha anche nominato un sub commissario che è già stato ministro dell’ambiente e ha un percorso significativo di impegno nel mondo ambientalista: è stato tra i fondatori della federazione dei Verdi, e, prima ancora, attivo militante nei gruppi extraparlamentari. Edo Ronchi, ora presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha subito indicato una soluzione alla tedesca per il caso Ilva: in un’intervista al Corriere della Sera ha detto che «in Germania – dove si producono 42 milioni di tonnellate d’acciaio – a Duisburg c’è un’acciaieria della ThyssenKrupp, che produce più acciaio dell’Ilva ( 8,5 milioni di tonnellate annue), con lo stesso ciclo produttivo e quell’impianto, vicino alla città, funziona in modo sostenibile. Perché mai non dovremmo riuscirci anche noi?». Il progetto è ambizioso e, per poter essere effettivo, richiederà enormi risorse e una stabilità di indirizzo politico che pochi sono in grado di assicurare. Per alcuni osservatori la durata del governo Letta è fondamentale per non cadere nella condizione della Grecia, praticamente anch’essa commissariata. Un collegamento tra Atene e la città pugliese, in effetti, esiste, oltre il titolo di capitale della Magna Grecia nel mondo antico, ed è l’interesse dei fondi finanziari e societari cinesi per le infrastrutture portuali. A Taranto, infatti, si arriva difficilmente con il treno o con l’aereo, mentre resta intatto il valore strategico del porto commerciale, così come lo è stato quello militare che ha segnato il destino della città.
Ripartire dai volti e dalle storie reali
Direttamente dal mare arrivano le materie prime che nastri trasportatori conducono su quell’area di 70 ettari di parchi minerali a cielo aperto che anneriscono l'ambiente e non solo il vicino quartiere Tamburi. Sacchetti di questa polvere nera, definita “polvere mortale”, sono stati consegnati dalle associazioni ambientaliste tarantine ai senatori della commissione Industria che, a luglio, hanno fatto un’audizione straordinaria recandosi direttamente a due passi dalla fabbrica, grande due volte la città. L’intenzione di Fabio Matacchiera, per il Fondo Antidiossina, e di Alessandro Marescotti, per PeaceLink, era evidentemente quella di modificare il testo del decreto in discussione in Parlamento, poi approvato in maniera blindata il primo agosto dalla maggioranza di larghe intese e con la forte opposizione di M5S e Sel, perché, a loro parere, il testo attenua le direttive dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) prevedendo parecchie deroghe, come la mancata copertura dei parchi minerali. Ma la vera questione resta la conversione ecologica del sito da bonificare integralmente. Non è una questione che si poteva scaricare sui cittadini di Taranto, chiamati ad un referendum consultivo convocato tardivamente, ad aprile, sul mantenimento o meno dello stabilimento, senza offrire alternative reali.
La linea confermata dal ministro dello Sviluppo, Zanonato, è quella di mantenere la produzione salvaguardando la salute dei cittadini, comunque compromessa da un’esposizione protratta negli anni.
È facile prevedere, quindi, che i problemi e i motivi di conflitto resteranno in piedi. Sarà decisivo non contribuire a volgere lo sguardo da un'altra parte. Significativo, in questo senso, il percorso dei giovani di Pax Christi che, in questa estate, si sono recati a Taranto per incontrare testimoni diretti come Aurelio Rebuzzi, padre di Alessandro, morto a soli 16 anni di fibrosi cistica, o Cosimo Semeraro, un ex operaio del siderurgico, testimone in un processo contro i Riva sull'inquinamento provocato dall’amianto e organizzatore della Giornata delle vittime del lavoro che si tiene ogni anno il 12 giugno.
Per trovare una via di uscita, senza scorciatoie e semplificazioni, è bene partire dai volti e dalle storie reali.