Taranto, geopolitica e strategia industriale dell’acciaio
A Taranto si continuerà a produrre acciaio. La sentenza del Consiglio di Stato del 23 giugno 2021 ha dichiarato illegittima l’ordinanza d’urgenza del febbraio 2020, con la quale il sindaco della “Città dei due mari” aveva intimato di sospendere l’attività dell’area a caldo dell’enorme stabilimento siderurgico in caso di mancanza di interventi efficaci a rimuovere le criticità delle fonti inquinanti.
I giudici del massimo organo di giustizia amministrativa hanno ribaltato la sentenza di primo grado emessa dal Tar di Lecce per accogliere l’appello di Arcelor Mittal s.p.a. e di Ilva s.p.a. in amministrazione straordinaria. Anche il Ministero della Transizione ecologica (Mite), guidato da Roberto Cingolani ha criticato la precedente sentenza del Tar di Lecce perché basata su «valutazioni ideologiche piuttosto che giuridiche», ma il suo appello è stato giudicato improcedibile.
Produzione strategica
Nel recente incontro con le parti sociali del 13 maggio, il ministro dello Sviluppo economico, il leghista Gian Carlo Giorgetti, ha confermato «la strategicità della produzione dell’acciaio per l’industria italiana» ma ha anche ammesso che «il periodo di transizione verso nuove trasformazioni ecosostenibili non sarà a breve termine». Da parte loro, i sindacati denunciano un diffuso «clima intimidatorio» provocato dalla dirigenza di Arcelor Mittal che si contraddistingue per la «continua minaccia di licenziamenti», la «cattiva manutenzione degli impianti» e il «mancato rispetto delle regole di sicurezza».
Uno stabilimento siderurgico, il più grande d’Europa, quindi, pieno di problemi interni, che produce inquinamento e bilanci in passivo (100 milioni di euro al mese, come riporta il Sole 24 ore) ma che fa parte, come dice il sito di Arcelor Mittal Italia, «della prima azienda italiana nella produzione di acciaio con diversi siti produttivi distribuiti sul territorio, tra cui gli impianti di laminazione a Genova e Novi Ligure, e altre unità produttive a Legnaro, Marghera, Paderno Dugnano, Racconigi e Salerno».
Secondo molte associazioni ambientaliste non esistono motivi per mantenere in piedi il polo siderurgico tarantino che andrebbe chiuso per avviare un processo di riconversione economica integrale.
Le pesanti condanne penali comminate con la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto rappresentano l’evidenza di un disastro ambientale consumato dall’avvento della gestione della famiglia Riva fino al 2013. L’Italia è stata anche condannata, nel 2019, dalla Corte Europea dei Diritti Umani perché le autorità nazionali continuano a non «assumere le misure necessarie a tutela della salute dei cittadini».
Ad ogni modo per il Consiglio di Stato, pur rimanendo «la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto», sembrano esistere elementi di discontinuità gestionali tali da non rendere necessaria l’ordinanza urgente del sindaco dettata dalla tutela della salute pubblica.
Equilibri geopolitici
Su Taranto incide l’equilibrio geopolitico emerso con forza dall’ultimo vertice del G7 in senso fortemente atlantista e che non può tollerare, perciò, la dipendenza dall’estero, soprattutto dalla Cina, per la fornitura di acciaio necessaria per la nostra manifattura. Lo sottolinea con decisione il presidente di Federacciai Alessandro Banzato.
Secondo i dati 2020 della World steel association, in Italia la produzione annuale di acciaio, in milioni di tonnellate (20,4) è simile a quella dell’Ucraina (20,5), si pone dopo la Germania (35,7 milioni) ma prima di Francia (11,6) e Spagna (11). Inarrivabile la Cina (1.064,8) seguita a molta distanza da India (100,3), Giappone (83,2) e Usa (72,7).
Lo stabilimento di Taranto viaggia adesso a scartamento ridotto (4,5 milioni di tonnellate anno). Secondo il piano industriale di Arcelor Mittal dovrebbe raggiungere i 6 milioni di tonnellate che non eviterebbero comunque gli esuberi di 4 mila lavoratori su 10 mila.
Cosa farà Franco Bernabè, designato dal governo come presidente di Acciaerie Italia, la nuova società dove resta Arcelor Mittal accanto ad un ruolo crescente dello Stato nella gestione dell’ex Ilva?
Innanzitutto dovrà coordinarsi con Lucia Morselli, confermata come amministratore delegato della società, carica che resta di nomina Arcelor Mittal assieme ad altri due consiglieri del Cda, ancora sconosciuti. Altri due consiglieri di nomina pubblica sono Stefano Cao, amministratore delegato uscente di Saipem e Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano. Da maggio 2022 Invitalia si è impegnata per assicurare allo Stato il controllo del 60% del capitale della società.
Bernabè il capitalismo italiano
Bernabè è un personaggio chiave del nostro Paese. In un libro del 2020 ha raccontato gli ultimi 40 anni di storia del capitalismo italiano. Protagonista della privatizzazione dell’Eni, il manager, classe 1948, ha guidato in due momenti diversi la Telecom e ha collezionato una serie notevole di cariche tra le quali anche quella di consigliere di amministrazione di PetroChina, la principale società petrolifera cinese.
Bernabè gestisce, inoltre, una holding molta attiva di partecipazioni finanziarie e investimenti che prende il nome dalle sue inziali personali (la FB group). In una recente intervista non ha nascosto le sue critiche verso la classe dirigente italiana: «In Italia oggi non comanda nessuno. Comandare significa prendere decisioni, anche impopolari, guardando agli effetti di lungo periodo che queste decisioni comportano». Per Bernabè l’Italia può riconquistare un ruolo internazionale dimostrandosi «un partner credibile del sistema di alleanze che ha costruito la nostra prosperità» dopo le sbandate degli ultimi esecutivi.
Quanto alle riforme necessarie per rilanciare la nostra economia, il presidente di Acciaierie Italia ha idee molto chiare: «Il capitalismo esprime la sua vitalità quando è lasciato libero di muoversi, quando le regole ci sono ma sono semplici, essenziali ed orientano l’azione senza costringerla su binari troppo rigidi».
Anche per il ministro del Mite, Cingolani, intervistato da Marta Dassù su Aspenia, c’è bisogno in Italia di “una legge sull’accelerazione” per rimuovere gli ostacoli burocratici in forza dei quali, finora, «le grandi aziende hanno esitato a prendere rischi d’impresa davanti alla catena dei permessi che non danno certezze amministrative». Tra l’altro, per il titolare del ministero della Transizione ecologica è chiara la direzione di marcia verso l’uso progressivo delle fonti energetiche rinnovabili ma si tratta di un cammino che richiede almeno 10-15 anni. Nel frattempo «abbiamo bisogno del gas come energia di transizione» dato che l’idrogeno verde (proveniente cioè da fonti rinnovabili) «su cui si concentrano giustamente grandi aspettative» ha «un costo ancora non competitivo».
Idrogeno verde non competitivo
Anche per il professor Mapelli, nominato nel nuovo Cda, l’idrogeno verde non solo non è competitivo ma «non è poi così verde in termini di consumo di energia elettrica, di acque e di suolo» e poi «non è neanche così facile da trasportare: dovrebbero essere cambiati i tubi e il valvolame degli attuali gasdotti». Ne deriva che, in attesa di soluzioni migliori rese disponibili dalla ricerca scientifica, l’unica ipotesi percorribile resta quella di sostituire la combustione a carbone con quella a metano abbattendo l’emissione di Co2 tramite la sua cattura e stoccaggio in depositi sotterranei. Una tecnica promossa, come è noto, dall’Eni e già indicata da Arcelor Mittal nel suo “Piano per il clima” del 2019. Ovviamente grazie ad una politica di investimenti pubblici.
Il sito web ufficiale di Arcelor Mittal ha annunciato, lo stesso giorno della sentenza del Consiglio di Stato, di avere una «proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello stabilimento di Taranto» elaborata assieme ai partner industriali Fincantieri e Paul Wurth (ex Italimpianti).
Da parte sua il “Comitato cittadino per la salute e l’ambiente a Taranto” ha accolto la decisione del consiglio di Stato con rinnovata determinazione nel «condurre con ancora più vigore la lotta per la tutela dei diritti inalienabili dei cittadini esposti ad un rischio sanitario inaccettabile. Tale rischio sanitario inaccettabile è attestato dalla nuova valutazione danno sanitario (VDS) che certifica per il futuro un elevato rischio cancerogeno in base all’attuale autorizzazione integrata ambientale a 6 milioni di tonnellate/anno per l’azienda».
La sentenza del massimo organo amministrativo è inappellabile ma le associazioni annunciano «un’iniziativa di tutela multilivello che solleciti contemporaneamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, il Comitato ONU per i diritti dell’infanzia di Ginevra, la Commissione Europea di Bruxelles, tutti gli organi nazionali preposti alla tutela dell’infanzia e infine anche la Procura della Repubblica per quanto di propria competenza».
Intanto il comitato ha segnato un punto a suo favore in questa partita complessa. Dietro sua sollecitazione, il Mite ha comunicato di aver negato la proroga «per la messa a norma della batteria 12 della cokeria ILVA» prevista per il 30 giugno 2021, dopo diversi rinvii previsti da provvedimenti salva Ilva emessi dai precedenti governi fin dal 2014. Molto probabilmente, quindi, dal primo luglio non ripartiranno alcuni reparti (Altoforno 4 e Acciaieria1) con effetti sui volumi di produzione e di lavoro. Ancora una volta, dunque, i mancati interventi di sicurezza ambientale si ripercuotono sui lavoratori lungo tutta la filiera che parte da Taranto a Genova e alle altre sedi della società. L’annuncio dell’ulteriore cassa integrazione a partire dal 28 giugno per lo stabilimento ex Ilva di Genova Corigliano ha provocato tre giorni di mobilitazione dei sindacati.
Giorgetti ha convocato per giovedì 8 luglio un incontro al Ministero dello sviluppo economico con le parti sociali e il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.
Centralità della questione Taranto
L’ex Ilva è una questione strategica nazionale e, come tale, dovrebbe essere al centro di ogni dibattito o giornata sull’ambiente per scongiurare ogni soluzione basata sul contrasto tra il diritto al lavoro e quello alla vita.
Trattarla come un problema locale, legato solo agli abitanti di Taranto o ai lavoratori delle sedi di Acciaerie Italia, è una prospettiva inadeguata e fuorviante. Si spera che la Settimana sociale dei cattolici italiani di ottobre 2021 non cada in questa tentazione di rimozione visto che ha deciso coraggiosamente di porre a tema la questione ambiente e lavoro proprio a Taranto, città che non può essere trattata come vittima sacrificale di scelte geopolitiche ed economiche imposte dall’alto.