Tanto per ridere

Una statistica – americana, ovviamente, come ogni statistica che si rispetti – afferma c h e normalmente una persona ride 15 volte al giorno. Se sia proprio vero, non lo so. Sta di fatto che, da che mondo è mondo, la comicità ha accompagnato la vita dell’uomo. “Ridere fa parte dell’uomo” diceva Rabelais, e ribadiva l’ovvio. Ora un testo a cura di Liborio Termine, Storia del comico e del riso. Itinerari antologici nella cultura e nell’arte (edizione Testo e Immagine) ci propone una ampia antologia della storia della risata. Dalla prima conosciuta dalla cultura occidentale – quella fragorosa degli dei dell’Olimpo – ai film di Fellini e Woody Allen. Con citazioni di comici e attori celebri, ma soprattutto di filosofi che si sono impegnati nell’ingrato compito di definire il comico. Il quale, per la sua natura un po’ insolente, un po’ beffarda, sembra sfuggire le definizioni e compiacersi a mettere in difficoltà eccelsi pensatori. Secondo Platone e Aristotele il senso del comico nasce dalla consapevolezza, giusta o ingiusta che sia, della propria superiorità rispetto al difetto di un altro. In pratica – dispiace dirlo – si ride quando gli altri sbagliano, perché ci sentiamo superiori a loro. Però se Platone non pensava un granché della comicità e la considerava pericolosa per la società, Aristotele era di manica un po’ più larga e concedeva che una sana risata può aiutare ad appianare le difficoltà della vita e predisporre l’uomo alla benevolenza. Per Kant la comicità nasce quando, improvvisamente, si risolve in nulla un’aspettativa per la quale si era prevista un’energia per superarla e che invece si scarica gioiosamente (il che fa dubitare del suo gusto dell’umorismo!). Baudelaire sottolineava del riso il risvolto devastatore: “Il riso è satanico: è dunque profondamente umano”. Anche Freud e Pirandello scrissero sul comico, il primo legandolo all’inconscio, il secondo evidenziando come dalla letteratura comica si può evolvere verso l’umorismo, che ha in sé anche la componente della pietà. Poi Hegel, Bergson, Croce” tutti che si arrabattano, tanto da far venire in mente Cicerone: “Di questa materia non si danno regole”. Mi piace però citare quello che in un libro scrisse sulla comicità Vittorio Cerami: “Personalmente considero la comicità la più alta forma dell’arte. (“) I comici non possiedono utopie, non moraleggiano. Non possiedono altri valori se non la vita che ogni giorno improvvisano. Non nutrono rancori, accettano allegramente il loro destino anche se provano ogni tanto, sempre per divertimento, a vestire panni non loro. La loro sessualità si esaurisce in un bacio. Nelle opere comiche non muore mai nessuno e se la tragedia deve proprio accadere, si può star certi che la tragedia si trasformerà in un teatrino per le più grasse e liberatorie risate. Un comico non sa da dove venga, né dove vada. (“) La comicità è l’arte del nulla. Per questo è sublime”. Se i filosofi sembrano spinti a cercare di definire proprio ciò che a loro sfugge, la comicità appunto, i diretti interessati sono più restii a parlarne. Il grande comico Groucho Marx nella prefazione ad un suo libro scrisse: “Questo libro è stato scritto nelle lunghe ore che ho passato aspettando che mia moglie si vestisse per uscire. Se non si fosse vestita affatto questo libro non sarebbe mai stato scritto”. Il geniale Charlie Chaplin diceva che la comicità “ci aiuta a sopravvivere preservando il nostro equilibrio mentale. L’umorismo attiva il nostro senso delle proporzioni e ci insegna che in un eccesso di serietà si annida sempre l’assurdo”. E il simpatico Totò risolveva la faccenda (o la complicava) con un motto degno d’un maestro zen: “Il comico è la lotta tra il bene e il male con la vittoria finale della vigilanza notturna”. Mille sono i volti della comicità e indubbia è la sua forza eversiva. Essa ama giocare con le situazioni più grottesche, perciò può scivolare nel volgare, nel pedante e nell’osceno: in battute- salvagente sulla politica e sul sesso di provato funzionamento quanto di infimo gusto, a cui purtroppo ci abituano tanti comici odierni. Ma quando riesce a restare sul filo del rasoio l’umorismo sa relativizzare la pomposità di tanti avvenimenti e credenze ritenute intoccabili. “Ciò che mi piace della sua comicità – diceva il giudice Heushaw a Chaplin – è la conoscenza dei princìpi: lei sa che l a parte meno nobile dell’anatomia umana è il sedere, e le sue comiche lo provano. Quando lei molla un calcio in quel posto a un distinto signore, lo spoglia di tutta la sua dignità. Persino l’importanza di un’inaugurazione presidenziale crollerebbe miseramente se lei si avvicinasse al presidente per appioppargli un calcio nel didietro”. La comicità, pur non pretendendo di dare definizioni e non potendo mai ergersi a filosofia di vita, può mettere in crisi definizioni stantie, può far ridere di sé stessi e delle proprie certezze, per spalancare le porte su una nuova verità. Non per niente la saggezza dei vecchi si nutre di una gaia filosofia oscura, che confina con la bizzarria e che si esprime per paradossi. È interessante ricordare che nella cultura della Russia ortodossa i pazzi venivano considerate persone sacre, forse perché rimandavano, proprio per la loro infermità mentale, a qualcosa del vero che sempre trascende. E nel Medioevo il giullare, il buffone di corte, era quella persona che, appunto perché faceva ridere, si poteva permette di dire al re verità che nemmeno i consiglieri più stimati osavano proferire. Ai nostri giorni un esempio bellissimo di giullare c’è l’ha dato Benigni – uno degli ultimi buffoni, nel senso più poetico del termine – quando nel suo spettacolo televisivo del Natale scorso, partendo da pura comicità, ci ha portati dentro il Paradiso, a gustare le vertiginose delizie viste in Dio da Dante. Ma se non fosse partito dal comico, chi avrebbe ascoltato Benigni? Sono casi come quello – rari, ma fortunatamente non troppo – in cui la comicità sa elevarsi ad arte. Come la scrollatina di spalle e il calcio all’indietro di Charlot nel finale de Il circo, un semplice gesto che comunica emozioni così tenere e profonde, altrimenti indicibili. Allora, ha ragione Cerami, la comicità diventa l’arte più sublime. Rompendo la tensione, la pesantezza del conosciuto essa apre una nuova prospettiva, spalanca una visione impensata, liberando qualcosa che abbiamo dentro, che vuole freschezza, allegria, leggerezza. Emblematico è il bellissimo finale del film di Woody Allen, Hannah e le sue sorelle, quando il protagonista, avendo fallito tutto, pure il suicidio, si mette a vagabondare per le strade di New York, entra in un cinema dove è proiettato Una notte all’opera dei fratelli Marx, e rimane folgorato dall’idea che se l’uomo è riuscito a creare qualcosa di così bello, di così puro, non tutto può essere stato generato dal caos informe e senza senso. A parte l’ebraismo che sarebbe forse incomprensibile senza considerarne la vena umoristica, generalmente le filosofie e le religioni non usano la comicità. Il Siracide ammonisce che “lo stolto alza la voce mentre ride; ma l’uomo saggio sorride appena in silenzio”. Anche il Nuovo Testamento non si sofferma sul riso; però in esso la parola gioia compare ben 72 volte. E Luca riferisce: “Beati voi che ora piangete, perché riderete “. Quindi, secondo lui, anche il ridere farà parte del mondo migliore che verrà. Della cui gioia possiamo ora gustare tanti squisiti assaggi nei momenti più alti che ci hanno regalato le commedie di Shakespeare, Chaplin, Petrolini, Totò e Peppino, Laurel e Hardy, i fratelli Marx, Benigni e compagnia bella. QUEL SAGGIO DI UN SASSO Si nasce incendiari e si muore pompieri. Così recita un antico adagio. Insomma, con l’età si cambia.Vale nella vita e vale nella professione. Quasi sempre. Eppure, qualcuno, solitario viandante controvento, ha scelto lucidamente di stare dalla parte delle pietre. E ne ha fatto un punto roccioso nella sua visione della vita e delle relazioni umane.Una sfida bellicosa, quella di ergere a protagonista un sasso, perché viviamo in tempi in cui – rammentano i sociologi – la post-modernità è diventata liquida, senza più granitiche certezze. L’artefice di queste scelte è il disegnatore Vittorio Sedini, da tempo presente su queste pagine. I suoi lombi sono regali. Già collaboratore del mitico Corriere dei Piccoli, è autore di strip, vignette e fumetti molto apprezzati. Ultimamente il nostro eroe ha entusiasmato anche l’editrice Monti, che, a beneficio dell’imperitura gloria dell’autore e per il salutare spasso di milioni di lettori, ha raccolto in 64 pagine le più significative avventure sotto il titolo Foto di gruppo con sasso. Un lupo di mare come il vignettista Emilio Giannelli, che disegna sul Corriere della Sera, è rimasto catturato dal tratto e dal messaggio sediniani. “Le strisce di Vittorio Sedini – scrive nella prefazione del libro – sono veramente piccoli capolavori: cose dette con garbo che vanno in profondo, cose dette con ironia e sagacia, con stile semplice e raffinato “.Aggiungendo che si tratta di “disegni e dialoghi apparentemente per l’infanzia: in realtà piccole lezioni per gli adulti”. Non è vero che tutti si diventa pompieri. (pa.lo) FUMETTI

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