Tanèta e busèta

Non era facile ottenere un’intervista con Chiara . Il Movimento dei focolari, diffuso nel mondo, dava vita a molte iniziative. Ma si teneva lontano dal clamore, non faceva notizia. In parte per lo stile discreto dei focolarini, che non è cambiato nel tempo, in parte per l’indifferenza dei mezzi di comunicazione verso il mondo dello spirito. Ma soprattutto per il nascondimento personale della fondatrice, la cui visibilità risultava solo nei grandi raduni internazionali o negli incontri con personalità di spicco. Riuscii ad ottenere un’intervista con Chiara, dopo inutili tentativi presso i suoi portavoce, grazie all’intervento diretto di Sergio Giordani, uno dei quattro figli di Igino Giordani che Chiara ha definito a buon diritto il confondatore dei Focolari. Sergio, regista televisivo, scrittore, era un mio buon amico. È scomparso da poco, ricordo con rimpianto la sua dolcezza, la sua arguzia. Era un giorno di primavera del ’90 la prima volta che andai a Rocca di Papa per incontrare Chiara. Altri incontri seguirono, ne nacque il libro- intervista Chiara Lubich. L’Avventura dell’unità (Edizioni Paoline,1991; 20 edizioni in Italia, all’estero18 traduzioni). In quel primo colloquio, di Chiara mi colpì soprattutto la forza tranquilla: la definirei una calma fervida che in modo evidente aveva le radici in una estrema spiritualità. E poi l’eleganza del tratto, l’affettuosità dello sguardo. In tailleur grigio con camicetta rossa, i ricci bianchi in perfetto ordine, gli orecchini a perla, aveva il piglio di una signora settantenne rimasta la ragazza trentina. Le chiesi subito perché si sapesse così poco di lei al di fuori del suo movimento e così mi spiegò la sua ritrosia a raccontarsi: Mi pesa rispondere a domande personali. Faccio una certa fatica, mi sembra poco utile e forse deviante. Io sono stata uno strumento per edificare un’opera che è opera di Dio. Uno strumento… La stessa parola mi dirà in una intervista Madre Teresa di Calcutta: Io sono uno strumento, una matita nelle mani di Dio. Lui scrive ciò che vuole. Quando in seguito mi capitò di chiedere di nuovo a Chiara il perché della sua scarsa visibilità pubblica, la risposta fu incantevole: Tanéta e buséta, insegnava nel suo dialetto don Calabria, un santo sacerdote veronese. Amo queste parole, significano umiltà, non esibirsi, non fare chiasso. La nostra strada è sulle orme della famiglia di Nazareth, di cui si conosce solo la laboriosità e il silenzio. Ho incontrato i focolarini nei posti lontani dove mi trovavo per lavoro. Uno stava in Amazzonia, faceva volontariato presso una tribù degli indigeni yanomami minacciati di estinzione. Aveva letto il mio libro su Chiara, si offrì di accompagnarmi a visitarli e ci accolsero come amici. Un altro mi tirò fuori dai pericoli della prima intifada, quando a Gerusalemme piovevano pietre e lacrimogeni; era un ragazzo maltese che lavorava al patriarcato e riuscimmo a svicolare attraverso stradine sicure. Nell’ottobre dell’anno scorso stavo a Washington, DC, andai a trovare a Bethesda una minuscola comunità di focolarine, Paloma, Phillis, Maria Cristina, Lucia. Tutti i focolarini che ho incontrato, si illuminavano quando parlavamo di Chiara. Chi l’aveva conosciuta di persona, raccontava quando e dove e quanto l’avesse subito amata. Chiara è come Maria in mezzo a noi, mi disse Maria Cristina, del focolare di Bethesda, che è brasiliana e fa il medico in una clinica di Washington. Se mi viene il sospetto che un eccesso di amore per la fondatrice abbia sfiorato il culto della personalità, penso a quel motto veneto tanéta e buséta. Chiara non ha attraversato giornali e televisioni, s’è tenuta appartata dal circo mediatico che dispensa la fama e la alimenta. La sua visibilità si è impressa nei cuori, come richiamo dello spirito e strumento di grazia.

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