Take Six & Co.: Cantare con l’anima
Ci sono dischi che parlano al cuore prima che alle orecchie, ma che san far godere l’uno e le altre. Ci sono dischi di straordinaria raffinatezza e virtuosismo, che tuttavia comunicano soprattutto passione e voglia di divertirsi. Ci sono dischi molto difficili da fare, ma tremendamente facili da ascoltare. Feels good (Bhm-Egea) ha un titolo che è già tutto un programma, e mantiene quel che promette. È l’ennesima impresa di un sestetto di cantanti di colore che dal 1985 ad oggi ci ha regalato una decina di album memorabili, performance spettacolari, architetture vocali inarrivabili, al punto che la maggioranza della critica considera Mark Kibble e soci il miglior ensemble vocale al mondo. Chi li ha visti in azione su un palco sa cosa intendo, per gli altri fan fede gli innumerevoli Grammy in bacheca e le collaborazioni con giganti come Ella Fitzgerald, Quincy Jones, Stevie Wonder, Ray Charles… Feels good, fresco di stampa a quattro anni dal precedente, riporta all’essenzialità dei loro primi lavori: tredici performance rigorosamente a cappella che spaziano tra le mille desinenze della black-music: dal gospel al doo-wop, dal soul al contemporary jazz, dal blues all’hiphop. Quasi un Bignami di negritudine in musica: potente e suadente a se- conda degli episodi, sempre intriso di religiosità, in mirabile equilibrio tra l’estroversione del pop, il tradizionalismo della sostanza e l’incessante ricerca di innovazione della forma. Ma se il sestetto dell’Alabama è da un ventennio la luce sul moggio di quest’ambito espressivo, altre meraviglie ne illuminano i bassifondi e i sottoboschi. Come l’eccellente Cat (World Village) di Catherina Russell, figlia dell’arrangiatore di Louis Armstrong e stella emergente del neo country-blues e dello swing. E che dire di Bettye Lavette (imperdibile I’ve got my own hell to raise pubblicato l’anno scorso dalla Anti, con Joe Henry come producer), o del delizioso His Hands (Emi) di Candy Staton: due stagionate signore cariche di gloria negli States eppure ancora praticamente sconosciute in Europa. Dischi molto vintage, fatti come si facevano negli anni Cinquanta o Sessanta, ma non per questo inattuali. Infine, per chi volesse tornare alle fonti primigenie, consiglio la splendida compilation Mighty Day (Document-Forrest Hill): 25 classici del gospel incisi tra il 1928 e il 1963 dai maestri di quest’ambito espressivo. Idem dicasi per il rigoroso Voice of the Spirit (Dualtone-Ird) prodotto da John Carter Cash: un’altra manciata di classici dal profondo Sud degli States, oggi come ieri culla di questa musica e dei suoi più grandi interpreti. CD Novità Che Mami Layali (Virgin) Nato nel ’66 tra gli operai di Saida, in Algeria, Mami è insieme a Khaled uno degli eroi dei raï, la fascinosa musica della sua terra che da anni ormai ha fatto breccia sui mercati d’Occidente. Stella ormai planetaria della world-music nordafricana, Cheb ritorna con questo album spumeggiante che fonde meravigliosamente atmosfere e melodie arabeggianti con ritmi ed alchimie tipiche del pop-rock odierno. Difficile non lasciarsi ammaliare. Un coadiuvante alla fratellanza fra culture più eloquente di mille discorsi. John Mayer Continuum (Sony – Bmg) È probabilmente il più dotato tra i nuovi cantautori americani destinati al grande pubblico. Scrive con sapienza e personalità, miscelando il pop d’autore al folkrock, seguendo sentieri già battuti a suo tempo da Michael Franks e James Taylor. Una gran bella conferma.