Takashi Paolo Nagai, il “Gandhi giapponese”
Il Nyokodō, ossia il “luogo dell’amore a sé stessi”, è una capanna di legno di soli quattro metri quadrati, costruita nel cuore di Urakami, il quartiere di Nagasaki sul quale, il 9 agosto 1945, venne sganciata la seconda bomba al plutonio per annientare il Giappone.
In questa piccolissima dimora il dottor Takashi Paolo Nagai, il “Gandhi giapponese” come è stato definito, trascorse gli ultimi anni di vita in profonda povertà materiale e di spirito, immobilizzato a letto dalla leucemia, ma inarrestabile nel testimoniare la tenerezza dell’amicizia con Dio, la sua grazia e il “centuplo” promesso dal Vangelo.
Qui scrisse libri divenuti best seller in Giappone e all’estero, accolse centinaia di visitatori e rigenerò nel suo popolo il gusto della vita e il coraggio per ricostruire nel deserto atomico.
Di quest’uomo straordinario l’editrice San Paolo ha pubblicato recentemente Pensieri dal Nyokodō, una raccolta di brevi scritti, meditazioni e lettere tradotti per la prima volta dal giapponese che permette di seguire, in familiare intimità con l’autore, i suoi passi verso l’incontro finale con Cristo.
La storia di Takashi. Nato nel 1908 nel piccolo villaggio di Isumo, a nord-est di Hiroshima, in una famiglia di religione scintoistica, giovanissimo si appassiona alla medicina orientale e aspirante medico s’iscrive all’ateneo di Nagasaki.
«Fin dagli studi liceali – ricorderà – ero diventato prigioniero del materialismo. Appena entrato nella facoltà di medicina, mi fecero sezionare cadaveri… La struttura meravigliosa dell’insieme del corpo, l’organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. Ma quel che maneggiavo così, non era altro che pura materia. L’anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».
La prima scossa alle sue convinzioni arriva nel 1930, quando nello sguardo della madre morente legge un intenso “arrivederci”. «Con quell’ultimo sguardo penetrante, mia madre demolì il quadro ideologico che avevo costruito… mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto ciò era come un’intuizione che aveva il sapore della verità».
Provocato in seguito dai testi di Pascal sulla preghiera cristiana, per verificarli si trasferisce a Urakami, il quartiere dei cattolici, ospite della famiglia Moriyama. L’esempio di quei discendenti dai cristiani che nella clandestinità, attraverso 250 anni di persecuzioni, avevano saputo conservare la fede, confermandogli le affermazioni del grande filosofo, sarà decisivo per la sua conversione.
Marzo del 1932. A causa di una grave otite che lo rende sordo ad un orecchio deve rinunciare alla medicina ordinaria. Orienta allora i propri studi verso la radiologia, pur cosciente dei rischi che comporta questa ricerca ai suoi esordi in Giappone.
A Natale la figlia dei Moriyama, Midori, lo invita a partecipare con i suoi alla messa di mezzanotte. Impressionato dai cinquemila cristiani che riempiono la cattedrale e dai loro canti, Takashi ne riceve un ulteriore stimolo per la sua ricerca. L’indomani la ragazza viene operata appena in tempo di appendicite acuta grazie al pronto intervento del giovane medico. L’anno seguente, Takashi riceve l’ordine di mobilitazione per andare in Manciuria a combattere i cinesi. Rientrerà dopo un anno, profondamente scosso dagli orribili spettacoli della guerra.
Ora divide il suo tempo tra gli studi di radiologia, la lettura della Bibbia e i colloqui con un prete. Ma esita ad aderire alla fede cattolica. Un giorno, sempre in Pascal, legge: «C’è abbastanza luce per coloro che desiderano vedere, e abbastanza oscurità per coloro che sono in una disposizione contraria». Improvvisamente tutto gli diventa chiaro.
Nel giugno 1934, si fa battezzare col nome di Paolo, in onore di Paolo Miki, uno dei martiri giapponesi crocifissi nel 1597. Due mesi dopo sposa Midori, non senza averla informata dei rischi ai quali lo espone il suo mestiere di radiologo. Pioniere in questo campo, scriverà: «Il compito del medico è quello di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di sforzarsi di diminuire le loro sofferenze, come se fossero le sue proprie… Tuttavia, in fin dei conti, non è lui che guarisce l’ammalato, è la volontà di Dio. Una volta che si è capito questo, la diagnosi medica ingenera la preghiera».
Al primo figlio Makoto, nel luglio 1937 segue una bambina, Ikuko. Ma ecco riaccendersi le ostilità tra Cina e Giappone. In mezzo ad orribili carneficine Takashi si prodiga per soldati e civili cinesi e giapponesi indistintamente. Da questa prova, esacerbata dalle morti della figlioletta e del proprio padre, trova alimento la sua fede e sete di verità.
L’8 dicembre 1941, allo scoppio della guerra tra il Giappone e le forze congiunte della Gran Bretagna e degli Stati uniti, presagisce la distruzione di Nagasaki. Così, durante i suoi corsi, prepara gli studenti al peggio. Inoltre fa costruire una sala operatoria sotterranea e una di radiologia. Unica consolazione durante questo triste anno, la nascita di un’altra bambina: Kayano.
Aprile del 1945. A causa di un violentissimo raid americano, il suo ospedale trabocca di feriti. Quasi non c’è giorno e notte che non passi in radiologia. Ma presto comincia a notare tracce inquietanti sulle sue mani e a soffrire di spossatezza. In giugno, il risultato delle radiografie non gli lascia dubbi: si tratta di leucemia.
6 agosto 1945. Per la prima volta gli Stati Uniti usano una bomba atomica per distruggere Hiroshima. Tre giorni dopo una seconda, sganciata su Nagasaki, provoca circa 80 mila morti e 100 mila feriti.
Alla facoltà di medicina, situata a 700 metri dall’epicentro, Nagai viene proiettato al suolo crivellato da schegge di vetro. Ai colleghi sopraggiunti in suo soccorso il caso sembra disperato. Senonché, con loro sorpresa, l’emorragia cessa, permettendogli di prodigarsi, insieme al personale superstite, ad assistere i feriti.
Nella tragedia, perde l’amata sposa Midori, i cui resti carbonizzati col rosario ancora in mano rintraccia nelle rovine della casa. Per fortuna i figli erano già in salvo dai nonni, in campagna. È allora che Nagai si costruisce quel Nyokodō dove trascorrerà, malato, ma più che mai sano nello spirito, i suoi ultimi anni. Fino alla morte nel maggio 1951.
Già l’anno seguente, accanto a questa umilissima dimora viene inaugurato in suo onore il Nagai Takashi Memorial Museum. Visitato ogni anno da 150 mila persone, per lo più scolaresche provenienti da tutto il Giappone, esibisce il motto evangelico sul quale Takashi Paolo aveva poggiato tutta la sua spiritualità: «Ama il prossimo tuo come te stesso».
Oggi è in corso il processo di canonizzazione suo e della sposa, che dopo averlo condotto al cristianesimo gli aveva mostrato, nell’umile dedizione alla sua vocazione di medico, la via della carità perfetta.