Tagli e tasse senza investimenti

La manovra economica al vaglio del Parlamento fa discutere, perché ricade in gran parte su statali e su famiglie monoreddito, senza invece intaccare equamente i patrimoni. I gravi tagli alla ricerca. Il parere di Stefano Biondi, sindacalista Cisl.
Tremonti tasse
Criticata, contestata, ma anche necessaria. La nuova finanziaria all’esame del Parlamento mostra non poche criticità. Saranno famiglie e statali a pagare il prezzo più alto? O ci sono altre soluzioni? Abbiamo chiesto un’analisi a Stefano Biondi, sindacalista Cisl.

 

La manovra economica criticata da molti per i tagli indiscriminati ha però ottenuto l’approvazione del governatore della Banca d’Italia e del presidente degli industriali. Che valutazione si può dare…

«Premetto che la manovra economica è indispensabile e ineludibile per il momento di crisi che stiamo vivendo. Oserei dire che è persino insufficiente, perché necessiterebbero dai 30 ai 35 miliardi per correre ai ripari e i 24 che si pensa di ricavare, a mio parere non bastano. Capisco gli apprezzamenti ma indubbiamente ci sono delle criticità: manca una politica di investimenti per il futuro, non si presentano alternative ai tagli, e poi c’è il nodo patrimoni. Noi non ci sottraiamo ai sacrifici, ma non bastano più solo condoni: ci vogliono valutazioni che investano gli elementi strutturali dell’economia».

 

Evidenziava nei patrimoni uno dei nodi critici della riforma. In che senso?

«Una considerazione spicciola: in Italia il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza nazionale. Non tassando i patrimoni è come se questo 10 per cento non fosse chiamato a rendere conto di ciò che possiede, mentre lo sono molto di più gli altri, gli statali, gli insegnanti. Se le rendite venissero tassate e si passasse dall’attuale 12.5 per cento almeno al 20 o addirittura al 25, in un batter d’occhio e con sicurezza, il governo potrebbe incassare dai 5 ai 6 miliardi. Per non parlare della tassazione delle remunerazioni dei manager e dell’allineamento delle aliquote per rilanciare in qualche modo i consumi. Non intervenendo in tal senso ad essere colpite sono famiglie già in difficoltà e monoreddito, soprattutto al Sud. È inaccettabile che non si tassino le rendite e si tassi il lavoro».

 

Quindi saranno le famiglie a pagare i costi maggiori?

«Stiamo assistendo a un indebitamento della famiglia soprattutto del ceto medio e medio basso nel Centrosud e al Sud. L’indebitamento non avviene per cose frivole, ma per pagare gli studi dei figli, la rata del mutuo. Da un’indagine pervenuta al nostro sindacato in 10-15 mesi abbiamo visto aumentare anche il livello di usura. Così succede che vengono chiesti sacrifici a chi è già indebitato. Ora non rinnovare il contratto significa togliere 100 euro dallo stipendio di queste persone, soldi che servono a sopravvivere e soprattutto al Sud, dove a lavorare è uno solo e spesso nel pubblico impiego o nella scuola. Chi possiede ricchezza potrebbe sopportare meglio e di più. Nella classifica dei Paesi dell’Ocse per la diseguaglianza distributiva, l’Italia si piazza al 6° posto e se alla manovra non si uniranno altre prospettive il divario si accentuerà».

 

Ma perché allora non effettuare questa tassazione dei patrimoni?

«Ci sono potenti lobby in azione. Se penso che solo qualche tempo fa, i due miliardi destinati agli operai dell’azienda sarda Sulcis sono andati per finanziare una regata, si capisce che ci sono altri interessi. Bisogna prendere i soldi dove ci sono e farlo con coraggio. Una cosa positiva è certamente la tracciabilità degli assegni, perché questo consente di scoprire da dove provengono le transazioni finanziarie e bloccare quelle malavitose. Ribadisco però che bisogna aumentare la patrimoniale e tagliare sulle grandi opere. Servono altre infrastrutture al Paese: bisogna rilanciare le autostrade del mare, costruire strade di collegamento».

 

Altro nodo critico sono gli enti locali. Spreconi o necessari interlocutori del cittadino?

Premetto che è necessario il rigore nella spesa pubblica, poichè in questi anni poco si è fatto in tal senso. I tagli agli enti locali rischiano però di aggiungere disagio a disagio perchè sono indiscriminati e colpiscono sanità, servizi come gli asili pubblici, le mense, e appaiono più come un’operazione di cassa che come progetto di risanamento. Gli enti locali sono già in affanno per il patto di stabilità e questa manovra li costringerà a ricorrere al cosidetto privato sociale, cioè cooperative che forniranno servizi in appalto, sottocosto, con le conseguenze che sappiamo per i lavoratori e anche per i cittadini che dovranno rivolgersi a loro. Il risultato sarà un incremento dei nuovi poveri e un danno per le fasce più deboli.

 

E il ruolo del sindacato in tutto ciò…

«Siamo tutti concordi sulla necessità di un’equità strutturale e distributiva nella manovra economica. Noi però, non condividiamo lo sciopero perché sentiamo che in questo momento danneggia lavoratori e imprese. Vogliamo anche essere un monito per il governo e ricordare che è grave non investire su ricerca e sviluppo. Ci sono campi come il fotovoltaico, le energie alternative, la robotica che potrebbero offrire sbocchi per l’occupazione e favorire lo sviluppo di nuove imprese. Purtroppo al momento non vediamo prospettive economiche di lungo respiro».

 

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