Svolta storica in El Salvador

Il presidente Nayib Bukele si è assicurato la maggioranza assoluta in Parlamento, stravincendo le elezioni dello scorso fine settimana. Una figura energica, ma anche un decisionista che intraprende un cammino rischioso per la democrazia.
Nayib Bukele (AP Photo/Salvador Melendez, File)

I dati sono ancora da confermare perché lo scrutinio procede lentamente, ma la vittoria elettorale di domenica 28 febbraio del presidente dell’El Salvador, Nayib Bukele, sta assumendo le proporzioni di un trionfo. Nuevas Ideas, il partito di Bukeke, e l’alleato partito Gana, avrebbero ottenuto il 65% dei voti e 56 degli 84 seggi del Parlamento unicamerale.

Nuevas Ideas è sorto appena due anni fa, per consentire a Bukele, un imprenditore 39 enne senza una precedente carriera politica, di concorrere alle presidenziali. Dunque un’organizzazione ad hoc fatta su misura per il suo leader, che oggi sconfigge i partiti tradizionali, a destra l’Arena ed a sinistra il Fronte Farabundo Martí. Dal ritorno alla democrazia, questi due partiti si sono alternati al potere, ma senza risolvere questioni annose per il Paese: la povertà, la violenza e la corruzione (eccetto uno, tutti gli ultimi presidenti salvadoregni sono finiti in galera o sono fuggiti per evitarla).

Che questi siano i problemi principali per gli abitanti del Paese centroamericano lo conferma un recente sondaggio della Ong Latinbarometro, secondo il quale appena il 28% degli abitanti da importanza alla democrazia, mentre per il 54% non fa differenza vivere in una dittatura o in un sistema democratico.

L’El Salvador è il più piccolo dei Paesi centroamericani. È esteso più o meno come la Puglia o l’Emilia Romagna, con 6,7 milioni di abitanti, e oltre 1,5 milioni di salvadoregni che vivono all’estero, la gran parte negli Stati Uniti. Sebbene la povertà sia in calo, se la si misura solo in base al reddito, affligge ancora il 29% degli abitanti. Ma la percentuale cresce sensibilmente quando si misura la povertà in modo multidimensionale (costo della salute, dell’educazione, per la casa, ecc.). L’economia del Paese occupa la 117a posizione su un ranking di 196 Paesi.

Gli accordi di pace che nel 1992 hanno posto fine a 12 anni di guerra civile hanno lasciato senza sbocchi lavorativi una mano d’opera armata che si è trasformata in delinquenza comune. Alcuni di questi gruppi, le maras, dispongono di migliaia di membri che seguono un violento codice di lealtà. La mancanza di lavoro spiega poi la presenza non insolita in una stessa banda di tre generazioni di una stessa famiglia, dal nonno al nipote. Questo tipo di violenza è alla radice dei flussi migratori in America Centrale, provenienti soprattutto dal triangolo violento costituito da El Salvador, Honduras e Guatemala.

Bukele ha affrontato questo punto nodale con determinazione e pugno di ferro nelle carceri, dove molti detenuti appartengono alle maras. La politica del presidente pare abbia ottenuto la drastica caduta del tasso di omicidi (tra i più elevati del mondo). Ma più che aver debellato la delinquenza, si è instaurata una tregua che ha reso solo meno visibile il potere di queste bande.

L’azione di Bukele, dopo la sua prima elezione nel 2019, è stata spettacolare: per affrontare la pandemia ha messo su un ospedale in pochi mesi, ha spedito a casa ministri e si è scontrato senza esitazione con gli altri poteri dello stato, è ricorso ai decreti per governare, compensando così la mancanza di una maggioranza parlamentare. Il presidente si avvale della percezione delle questioni scottanti attraverso l’uso dei social e fa leva sulla propria immagine di uomo deciso.

Dopo i risultati dello scorso fine settimana il presidente potrà contare su una maggioranza assoluta in Parlamento, e senza contrappesi istituzionali. A Bukele non manca la spregiudicatezza, ma questo potrebbe accentuare il rischio di seguire la scorciatoia dell’autoritarismo, che in genere illude nel breve termine con una certa efficienza nell’affrontare i sintomi di certi problemi, ma senza mai arrivare alle radici.

È accaduto spesso che gli outsider provenienti dal mondo dell’impresa si siano illusi di poter governare un Paese come si fa con un’azienda. Ma non tengono conto che una struttura aziendale è generalmente verticale e consente una certa efficienza immediata, ma i problemi di un’azienda sono meno complessi di quelli di uno stato. Tutto sommato, le “complicazioni” del gioco democratico consentono di comprendere meglio le questioni nella loro complessità. Si avanza forse meno velocemente ma con maggiore solidità.

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