Svizzera La carità della polis
Berna, settembre. Di grandeur la capitale federale della Svizzera non sembra proprio soffrire. Anzi, pare pervasa da quel provincialismo tipicamente elvetico che rende tutto paesano, familiare, vicino. Non per niente la democrazia svizzera, così attenta ai bisogni dei cittadini – e spesso francamente incomprensibile a tanti europei che pensano di saperla lunga sulla gestione della cosa pubblica -, resiste proprio perché è democrazia di vicinanza. Basta guardarsi attorno in un qualsiasi punto della confederazione – in città come sulle rive di un lago o in piena campagna -, e si costaterà la profusione di cartelli di ogni genere che si susseguono e si rinviano l’uno all’altro. Il fatto è che la democrazia svizzera e la politica che la sostiene sono rivolte in toto a risolvere i problemi concreti della gente, e non le fisime ideologiche dell’uno o dell’altro, le ambizioni di potere di partiti vecchi e nuovi. Berna, dunque. I suoi portici e i suoi caffè che invitano a non prendersela troppo nel correre a sbrigare gli affari della vita; la sua superba collocazione sul promontorio creato da un meandro del fiume Aare, che sembra racchiudere in un abbraccio senza fine la città; la cattedrale evangelica di San Vincenzo, con la sua flèche, la torre campanaria. Dall’alto, saliti 254 erti gradini, appare una distesa di tetti rossi e bruni, in un ondeggiamento di tegole, abbaini e grondaie che pare un mare senza confini. Mi dico che la grandeur della Svizzera sta nell’aver compreso che ogni casa, ogni famiglia ha la sua grandezza. Che va custodita, con una democrazia familiare, a volte paterna, altre materna. E soprattutto fraterna. Al Palazzo dei congressi Sono circa 300 i politici di ogni livello che si riuniscono in un padiglione della Bea, la fiera di Berna, sul tema: Fraternità: utopia o necessità?. C’è Annemarie Huber-Hotz, la cancelliera della confederazione, una carica tipica di questa nazione: ottava nel consiglio federale, composto da sette membri che a rotazione per un anno svolgono il ruolo di presidente, è incaricata di assicurare la coesione e l’armonia del consiglio. E ci sono deputati confederali e sindaci, e altri politici che hanno fatto dell’impegno locale la loro vocazione. Tuttavia non si nota, come accadrebbe altrove, una diversità di rango: tutti sono in politica con la stessa dignità e la medesima importanza. E grande è la presenza di donne. C’è da imparare, insomma… Il convegno non nasce dal nulla: Chiara Lubich – che suole dire: Da decenni ormai amo e considero questa terra come la mia seconda patria – già nel 1998 aveva preso la parola qui a Berna, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario della confederazione (cf. Città nuova n° 7/1998). Il suo messaggio su un’arte di amare in politica, oltremodo provocatorio, aveva suscitato interesse negli amministratori della cosa pubblica locali. Interesse che l’anno scorso, a Martigny, aveva vissuto un intenso momento in un incontro tra politici del Vallese, e non solo (cf. Città nuova n° 7/2003): in quell’occasione, la fondatrice dei Focolari aveva messo l’accento sul fatto che la politica è l’amore degli amori, atta a trovare le soluzioni per ogni tipo di problema di una comunità. E aveva proposto la fraternità come cemento e fine della politica. I problemi della Svizzera In questo 4 settembre, la proposta viene portata dal Vallese nella capitale federale. Proposta non innocua per la Svizzera di oggi. La confederazione è un paese un po’ speciale – spiega Chiara Simoneschi- Cortesi, consigliera nazionale, cioè deputato -: sprovvista di una unità naturale, è piuttosto una nazione basata sulla volontà di stare assieme, che in sette secoli ha continuamente affinato il desiderio di coabitazione delle quattro comunità linguistiche e culturali La costituzione del 1948 ha dotato il paese di un insieme di norme democratiche che hanno permesso di realizzare il miracolo di sormontare le frammentazioni del passato per una coabitazione pacifica. Questa la storia, per certi versi gloriosa. Ma ora la crisi si fa avanti: l’economia conosce difficoltà inusuali, il plurilinguismo è messo in dubbio, la polarizzazione tra destra e sinistra anche qui emerge, appaiono nuove categorie di esclusi, lo splendido isolamento che – rispetto ad un’Europa divisa e in conflitto – faceva la notorietà del paese mostra delle crepe. Insomma, c’è di che preoccuparsi: Sembra che i valori e i princìpi che ci hanno assicurato la pace e il benessere – continua la consigliera nazionale – stiano sfaldandosi per lasciare il posto all’individualismo, all’egoismo dei singoli o regionale, alla chiusura verso gli altri. Ma ecco la speranza: Il dialogo costruttivo e la concertazione, la ricerca continua di soluzioni equilibrate nel rispetto delle minoranze e della solidarietà… sono elementi senza i quali la Svizzera non potrebbe nemmeno esistere. La dolce forza della fraternità Chiara Simoneschi-Cortesi indica nella proposta della fraternità di Chiara Lubich una via di grande speranza in questo momento storico . Una fraternità che la fondatrice dei Focolari declina nei suoi molteplici aspetti politici, che qui paiono assorbiti dal pubblico perché iscritti uno ad uno nel Dna del fare politica tipico della Svizzera, da Nicola da Flüe in poi: Armonizza le esperienze delle autonomie locali con il senso della storia comune; consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei pro- cessi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana. E ancora, essa può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo; fa uscire dall’isolamento e può aprire la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. Un fremito, proprio nel giorno della strage di Beslan, attraversa la sala allorché Chiara enumera un’altra qualità della fraternità: Essa indica come risolvere pacificamente i dissidi e può relegare la guerra ai libri di storia. Commenta l’inviato di Avvenire, Lorenzo Rosoli, richiamando la coincidenza di quest’avvenimento con la manifestazione di Sant’Egidio a Milano e dell’Azione Cattolica a Loreto: Il suo orizzonte travalica i confini della Svizzera e fa propria la sfida di una globalizzazione dal volto umano… Berna, Milano, Loreto: tre luoghi, tre eventi che, pur diversi tra loro, sembrano dare ragione a Chiara Lubich, quando dice che la fraternità ancora abita le vicende dei popoli. La Svizzera, un modello Il sindaco di Trento Alberto Pacher, il deputato italiano Massimo Grillo, la presidente del Movimento politico per l’unità Lucia Crepaz Fronza ed alcuni amministratori locali svizzeri presentano delle testimonianze che dicono come qualche brano di tale fraternità sia già in atto. Tentativi sempre rinnovati, perché la fraternità non è mai garantita, che mostrano come la fraternità possa essere realizzata in un quartiere, in un’associazione, anche in una città. Ma a Chiara non basta, e così, a braccio, terminando l’appuntamento di Berna, si rivolge ai 300 presenti con una parola che viene dal cuore. Dice: Facciamo di tutto per rendere la Svizzera un modello di fraternità. È piccola, la Svizzera, però…. Commenta subito dopo Annemarie Huber-Holz, riprendendo il titolo della giornata: Non è un’utopia, il progetto di Chiara, è una necessità . E sottolinea come i giovani presenti, numerosi e motivati, diano garanzie in questo senso. Assistendo al dialogo pomeridiano tra loro e i politici – assai promettente -, viene in luce la possibilità che il futuro della Svizzera abbia la garanzia di una classe politica di grande spessore umano, culturale e spirituale: L’integrazione della gioventù nella politica è un tassello del puzzle della fraternità – commenta Laurent Mösching, presidente del Parlamento dei giovani del Vallese -. Ma per completare un puzzle a volte bisogna cercare a lungo i pezzi nascosti… La democrazia non si è imposta dall’oggi al domani ed è normale che sia così anche per la fraternità. Le interviste ANNEMARIE HUBER-HOTZ, cancelliera della confederazione: La meta comune della fraternità è nostro comune desiderio. Mi impegnerò per questo, insieme a tutti, di qualsiasi lingua, religione o nazionalità. L’amore non è solo una questione di sentimentalismo, ma anche di ragione. MARCEL WENGER, sindaco di Sciaffusa: Qui abbiamo trovato il modo di iniziare un dialogo fattivo sugli immigrati, un tema molto importante, perché nei prossimi mesi decideremo sulla cittadinanza agli stranieri. In questo senso il pensiero di Chiara Lubich non è un’utopia, ma una realtà per la quale dobbiamo lottare. CORNELIO SOMMARUGA, presidente Caux initiatives et changement: Mi fa piacere vedere tanti giovani svizzeri già in politica o che stanno per entrarvi, pronti a seguire questo messaggio chiaro della fraternità, proprio adesso che stiamo passando un momento piuttosto delicato, quando il dialogo tra le forze politiche manca. HANS-CRISTOF VON SPONECK, già direttore Onu in Iraq: La grande sfida che Chiara Lubich ci offre è quella di mettere in pratica la fraternità. E se ciò riuscirà, ritengo che questo nostro mondo diventerà migliore. La fraternità comincia con la sincerità, e il desiderio di parlare con gli altri. Essa, senza il ritrovarsi e il dialogo, non esiste. Bisogna conoscersi, e allora sarà possibile costruirla.