Sviluppo e diritti umani.
Dalla Dichiarazione sul diritto allo sviluppo agli Obiettivi di sviluppo del Millennio
Abbiamo recentemente celebrato due anniversari importanti per il tema dello sviluppo e della lotta alla povertà, i quaranta anni dell’Enciclica Populorum progressio e i venti anni della Sollicitudo rei socialis, che offrono «una visione globale dell’uomo e dell’umanità in cui lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo » 1.
Questa prospettiva di “umanesimo planetario” si incontra con la riflessione, la definizione e la realizzazione dei diritti umani, dei diritti della persona, che è l’obiettivo di ogni processo rivolto a migliorare la condizione umana.
In questo contesto si pone anche la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1986, punto di arrivo di un percorso storico che a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (del 1948), sotto la spinta dei Paesi in via di sviluppo e del processo di autodeterminazione e di decolonizzazione, aveva messo in luce in particolare le esigenze dei Paesi sottosviluppati, non solo di ordine politico (indipendenza), ma anche di ordine economico-sociale.
In questo contesto si pone anche la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1986, punto di arrivo di un percorso storico che a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (del 1948), sotto la spinta dei Paesi in via di sviluppo e del processo di autodeterminazione e di decolonizzazione, aveva messo in luce in particolare le esigenze dei Paesi sottosviluppati, non solo di ordine politico (indipendenza), ma anche di ordine economico-sociale.
Essa è importante soprattutto per inquadrare in maniera organica il tema dello sviluppo nel contesto dei diritti umani.
CONTESTO E SCOPO DELLA DICHIARAZIONE SUL DIRITTO ALLO SVILUPPO
La Dichiarazione sul diritto allo sviluppo si è inserita nel quadro delle finalità delle Nazioni Unite fra le quali è centrale il
«conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale o umanitario» 2 e non vi è dubbio che il perseguimento dello sviluppo di tutti gli Stati membri dell’ONU rientri in questo ambito.
«conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale o umanitario» 2 e non vi è dubbio che il perseguimento dello sviluppo di tutti gli Stati membri dell’ONU rientri in questo ambito.
Nell’art. 1 e nell’art. 2 della Dichiarazione si afferma che «ogni persona umana e tutti i popoli hanno il diritto di partecipare e di contribuire ad uno sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti dell’uomo e tutte le libertà fondamentali possano venire pienamente realizzati, e beneficiare di tale sviluppo». Si sottolinea inoltre che l’essere umano «deve essere pertanto il protagonista attivo e il beneficiario del diritto allo sviluppo».
In questi due articoli troviamo perciò l’impostazione di fondo della Dichiarazione che è un atto incentrato sul diritto della persona (essere umano) allo sviluppo. Proprio perché è la persona ad essere “protagonista” si comprende il successivo passaggio dell’art. 2 comma 2, in cui si afferma che «tutti gli essere umani hanno la responsabilità dello sviluppo sul piano individuale e collettivo, tenuto conto delle esigenze del pieno rispetto dei loro diritti dell’uomo e delle loro libertà fondamentali, nonché dei loro doveri nei confronti della comunità». Viene in luce l’universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo, che verrà esplicitamente affermata nell’art. 6 e ripresa nell’art. 9 come dovere degli Stati di promuoverne
e incoraggiarne il rispetto, nonché il dovere (responsabilità e doveri) di ogni persona a perseguire lo sviluppo dei propri
popoli e della comunità mondiale 3.
In questi due articoli troviamo perciò l’impostazione di fondo della Dichiarazione che è un atto incentrato sul diritto della persona (essere umano) allo sviluppo. Proprio perché è la persona ad essere “protagonista” si comprende il successivo passaggio dell’art. 2 comma 2, in cui si afferma che «tutti gli essere umani hanno la responsabilità dello sviluppo sul piano individuale e collettivo, tenuto conto delle esigenze del pieno rispetto dei loro diritti dell’uomo e delle loro libertà fondamentali, nonché dei loro doveri nei confronti della comunità». Viene in luce l’universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo, che verrà esplicitamente affermata nell’art. 6 e ripresa nell’art. 9 come dovere degli Stati di promuoverne
e incoraggiarne il rispetto, nonché il dovere (responsabilità e doveri) di ogni persona a perseguire lo sviluppo dei propri
popoli e della comunità mondiale 3.
La Dichiarazione fa parte di un complesso di atti internazionali di varia portata in tema di sviluppo e diritti umani. I principali riferimenti vanno fatti a:
– Statuto delle Nazioni Unite: art. 1 comma 3, art. 55 e 56
– Dichiarazione Universale Diritti Umani
– Convenzioni internazionali:
– Patto internazionale sui diritti civili e politici
– Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
– Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale
– Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne
– Convenzione sui diritti dell’infanzia
– Risoluzioni e dichiarazioni dell’Assemblea Generale ONU, della Commissione dei diritti umani e organi correlati (es. la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo)
– Atti (General Comments) dei Comitati incaricati di monitorare l’applicazione delle convenzioni sopra ricordate: Comitato
dei diritti umani; Comitato sui diritti economici, sociali e culturali; Comitato sui diritti dell’infanzia
– Accordi di livello regionale (Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli, Convenzione americana sui diritti umani, Convenzione europea sui diritti umani, Convenzione EU- Paesi ACP).
– Statuto delle Nazioni Unite: art. 1 comma 3, art. 55 e 56
– Dichiarazione Universale Diritti Umani
– Convenzioni internazionali:
– Patto internazionale sui diritti civili e politici
– Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
– Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale
– Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne
– Convenzione sui diritti dell’infanzia
– Risoluzioni e dichiarazioni dell’Assemblea Generale ONU, della Commissione dei diritti umani e organi correlati (es. la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo)
– Atti (General Comments) dei Comitati incaricati di monitorare l’applicazione delle convenzioni sopra ricordate: Comitato
dei diritti umani; Comitato sui diritti economici, sociali e culturali; Comitato sui diritti dell’infanzia
– Accordi di livello regionale (Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli, Convenzione americana sui diritti umani, Convenzione europea sui diritti umani, Convenzione EU- Paesi ACP).
Gli atti menzionati non hanno tutti la stessa natura e lo stesso valore ed efficacia giuridica. Sono infatti giuridicamente vincolanti per gli Stati sotto il profilo del diritto internazionale le convenzioni internazionali ratificate dagli Stati secondo le proprie procedure costituzionali interne. Gli altri atti rientrano in genere nel cosiddetto soft law che ha un valore di indirizzo, di raccomandazione, che richiede una successiva formalizzazione di atti internazionali o interni per assumere carattere vincolante. È tuttavia da considerare che sulla base degli art. 55 e 56 dello Statuto delle Nazioni Unite esiste un obbligo di cooperazione degli Stati fra loro che copre sia l’ambito dello sviluppo economico e sociale che quello dei diritti umani.
L’approccio dei diritti umani allo sviluppo e alla povertà riguarda sia l’ambito dei diritti civili e politici che di quelli economici, sociali e culturali e perciò prevede un quadro di riferimento che comprende salute, educazione, abitazione, amministrazione della giustizia, sicurezza personale e partecipazione. Esso aiuta a identificare da un lato i detentori di una pretesa di realizzazione dei diritti (claim-holders), dall’altro gli obblighi di coloro che devono provvedere a realizzarli (duty-holders). Tali obblighi sono di natura positiva (proteggere, promuovere e provvedere) e di natura negativa (astenersi dal compimento di violazioni del diritto).
Mette in risalto strategie mirate all’empowerment rispetto a strategie di assistenza. I beneficiari sono quindi visti come detentori di diritti, enfatizzando la persona umana come centro del processo di sviluppo.
Valorizza il ruolo della partecipazione che comprende comunità locali, società civile, minoranze, popolazioni indigene, donne e altri gruppi sociali. Particolare attenzione viene data ad evitare discriminazione, promuovere eguaglianza, assicurare equità e valorizzare i gruppi marginali.
Valorizza il ruolo della partecipazione che comprende comunità locali, società civile, minoranze, popolazioni indigene, donne e altri gruppi sociali. Particolare attenzione viene data ad evitare discriminazione, promuovere eguaglianza, assicurare equità e valorizzare i gruppi marginali.
DIRITTI UMANI E OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO
Gli Obiettivi di sviluppo del Millennio sono 4:
1) Sradicare la povertà estrema e la fame;
2) Raggiungere l’educazione primaria universale;
3) Promuovere l’eguaglianza fra i sessi e le opportunità delle donne;
4) Ridurre la mortalità infantile;
5) Migliorare la salute materna;
6) Combattere l’Aids, la malaria e le altre malattie infettive;
7) Assicurare la sostenibilità ambientale;
8) Sviluppare la partnership globale per lo sviluppo.
Una prima considerazione riguarda il fatto che negli Obiettivi non vi è un chiaro legame e riferimento ai diritti umani, se si
esclude un richiamo alla Dichiarazione Universale e al diritto allo sviluppo. Tale considerazione va inquadrata in una sorta di separazione che si è perpetuata dopo il 1945 nella comunità internazionale fra la definizione delle politiche di sviluppo e la riflessione e prassi condotta nell’ambito dei diritti umani. È vero che la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo appartiene storicamente allo stesso percorso culturale e politico che ha generato i “Decenni dello sviluppo”, ma è altrettanto vero che la limitata portata giuridica dell’una e degli altri non hanno permesso alla visione che sottostava di affermarsi chiaramente nelle politiche e nelle prassi dei soggetti chiamati a porla in atto, a cominciare dagli Stati e dalle Organizzazioni internazionali. In un certo senso si potrebbe affermare che essi hanno preparato l’emergere del concetto di sviluppo umano, che ha trovato maggiore successo soprattutto per aver offerto uno strumento relativamente semplice come l’Indice di sviluppo umano (ISU) per valutare il grado di sviluppo di un Paese e per orientare su obiettivi non di mera crescita economica le politiche di sviluppo nazionali e internazionali.
1) Sradicare la povertà estrema e la fame;
2) Raggiungere l’educazione primaria universale;
3) Promuovere l’eguaglianza fra i sessi e le opportunità delle donne;
4) Ridurre la mortalità infantile;
5) Migliorare la salute materna;
6) Combattere l’Aids, la malaria e le altre malattie infettive;
7) Assicurare la sostenibilità ambientale;
8) Sviluppare la partnership globale per lo sviluppo.
Una prima considerazione riguarda il fatto che negli Obiettivi non vi è un chiaro legame e riferimento ai diritti umani, se si
esclude un richiamo alla Dichiarazione Universale e al diritto allo sviluppo. Tale considerazione va inquadrata in una sorta di separazione che si è perpetuata dopo il 1945 nella comunità internazionale fra la definizione delle politiche di sviluppo e la riflessione e prassi condotta nell’ambito dei diritti umani. È vero che la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo appartiene storicamente allo stesso percorso culturale e politico che ha generato i “Decenni dello sviluppo”, ma è altrettanto vero che la limitata portata giuridica dell’una e degli altri non hanno permesso alla visione che sottostava di affermarsi chiaramente nelle politiche e nelle prassi dei soggetti chiamati a porla in atto, a cominciare dagli Stati e dalle Organizzazioni internazionali. In un certo senso si potrebbe affermare che essi hanno preparato l’emergere del concetto di sviluppo umano, che ha trovato maggiore successo soprattutto per aver offerto uno strumento relativamente semplice come l’Indice di sviluppo umano (ISU) per valutare il grado di sviluppo di un Paese e per orientare su obiettivi non di mera crescita economica le politiche di sviluppo nazionali e internazionali.
Sviluppo umano non significa tuttavia approccio allo sviluppo basato sui diritti umani. Possiamo forse affermare che gli Obiettivi sono basati sullo sviluppo umano, ma possiamo anche affermare che abbiano un approccio allo sviluppo basato sui diritti umani? La risposta in effetti appare prevalentemente negativa, malgrado sia da parte del Rapporto sullo sviluppo umano del 2003 si faccia una sorta di equazione fra Obiettivi e diritti umani, sia l’Alto Commissariato sui diritti
umani ritenga che le due strategie si rinforzino a vicenda.
umani ritenga che le due strategie si rinforzino a vicenda.
Si può rilevare che gli Obiettivi
– non hanno un focus particolare sui diritti;
– selezionano alcune tematiche e quindi potenzialmente escludono alcuni diritti;
– il fatto di porre l’attenzione su alcune “mezze misure” come il dimezzamento della povertà rispetto alla sua eliminazione è incompatibile con l’impegno a realizzare i diritti umani di ogni persona;
– la definizione di povertà è troppo limitata e la pone fuori da un contesto più ampio;
– creano un quadro di riferimento alternativo a quello basato sui diritti umani che terrebbe invece conto di tutte le questioni e porta a sottrarre energie e risorse al meccanismo esistente sui diritti umani.
– non hanno un focus particolare sui diritti;
– selezionano alcune tematiche e quindi potenzialmente escludono alcuni diritti;
– il fatto di porre l’attenzione su alcune “mezze misure” come il dimezzamento della povertà rispetto alla sua eliminazione è incompatibile con l’impegno a realizzare i diritti umani di ogni persona;
– la definizione di povertà è troppo limitata e la pone fuori da un contesto più ampio;
– creano un quadro di riferimento alternativo a quello basato sui diritti umani che terrebbe invece conto di tutte le questioni e porta a sottrarre energie e risorse al meccanismo esistente sui diritti umani.
Quali sono allo stato le possibilità per ancorare o creare un legame più stretto fra Obiettivi e diritti umani?
In primo luogo si tratta di porre un riferimento chiaro fra gli Obiettivi e le previsioni contenute negli atti internazionali sui diritti umani. In particolare vengono in evidenza gli articoli 25 e 26 della Dichiarazione Universale che riguardano il diritto alla salute e all’istruzione, e gli articoli 11, 12 e 13 del Patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali che specificano il diritto all’alimentazione, all’alloggio, alla salute e all’istruzione. Queste previsioni normative sono completate da una serie di atti interpretativi in materia adottati dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali riguardanti per esempio il diritto alla salute, all’istruzione, all’alimentazione, all’acqua (General Comments). Per quanto attiene la povertà il riferimento va in particolare alla riflessione svolta sulla povertà estrema e i diritti umani nell’ambito della Sotto
Commissione sui diritti umani.
In primo luogo si tratta di porre un riferimento chiaro fra gli Obiettivi e le previsioni contenute negli atti internazionali sui diritti umani. In particolare vengono in evidenza gli articoli 25 e 26 della Dichiarazione Universale che riguardano il diritto alla salute e all’istruzione, e gli articoli 11, 12 e 13 del Patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali che specificano il diritto all’alimentazione, all’alloggio, alla salute e all’istruzione. Queste previsioni normative sono completate da una serie di atti interpretativi in materia adottati dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali riguardanti per esempio il diritto alla salute, all’istruzione, all’alimentazione, all’acqua (General Comments). Per quanto attiene la povertà il riferimento va in particolare alla riflessione svolta sulla povertà estrema e i diritti umani nell’ambito della Sotto
Commissione sui diritti umani.
In secondo luogo si tratta di individuare gli strumenti per monitorare gli Obiettivi dal punto di vista dell’approccio dei diritti umani. Un primo strumento sono i Rapporti nazionali sullo stato di attuazione degli Obiettivi che dovrebbero assumere tale approccio e non limitarsi perciò a una mera valutazione statistico-quantitativa. Sotto questo profilo i dati disponibili non sono incoraggianti. Solo un limitato numero di Rapporti nazionali presta attenzione a tale approccio e la maggior parte non lo considera per niente.
Un secondo strumento è la considerazione che gli Stati, che hanno aderito al Patto sui diritti economici, sociali e culturali, dovrebbero dare agli Obiettivi nell’ambito della periodica procedura di controllo cui si sottopongono da parte del Comitato che valuta lo stato di attuazione di tali diritti nei Paesi esaminati. Eguale considerazione vale per altri Comitati previsti nelle altre Convenzioni sui diritti umani attualmente vigenti. Questo permetterebbe di evitare una duplicazione o sovrapposizione di interventi valutativi, di ancorare le valutazioni a criteri che fanno riferimento a standard legali e di pervenire a delle decisioni che hanno una maggiore efficacia nei confronti degli Stati. È tuttavia necessario che anche da parte del Comitato venga data attenzione al legame fra la normativa sui diritti umani e gli Obiettivi e ciò potrà avvenire nella misura in cui cresce nei diversi organi dei diritti umani la consapevolezza del sempre più stretto legame fra sviluppo, povertà e diritti umani.
Uno dei temi centrali della riforma delle Nazioni Unite è la necessità di arrivare ad un approccio integrato nel trattare le questioni centrali di cui esse si occupano, evitando sovrapposizioni e duplicazioni. Se ciò sta in parte avvenendo all’interno delle singole tematiche – pace, sviluppo e diritti umani – appare altrettanto importante che tale approccio informi anche la visione complessiva.
Uno dei temi centrali della riforma delle Nazioni Unite è la necessità di arrivare ad un approccio integrato nel trattare le questioni centrali di cui esse si occupano, evitando sovrapposizioni e duplicazioni. Se ciò sta in parte avvenendo all’interno delle singole tematiche – pace, sviluppo e diritti umani – appare altrettanto importante che tale approccio informi anche la visione complessiva.
In una prospettiva che guardi al diritto internazionale non primariamente come strumento per il mantenimento degli equilibri fra gli Stati, ma piuttosto come strumento per assicurare la piena realizzazione della dignità umana, i diritti umani vanno considerati come obiettivo da raggiungere, ma anche come criterio valutativo delle azioni della comunità internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite.
RISCHI E PROPOSTE PER GLI OBIETTIVI
In un documento redatto da Caritas Internationalis e Cooperazione Internazionale per lo sviluppo e la solidarietà (CIDSE), in occasione della Conferenza di Ong di tutto il mondo tenutasi prima del Vertice ONU “Millennio + 5” del settembre 2005, vengono evidenziati alcuni rischi e alcune proposte riguardanti gli Obiettivi di sviluppo del millennio 5.
Rischi:
– che si cambi solo il linguaggio relativo alla povertà e allo sviluppo e non la sostanza;
– che si dia troppa enfasi al raggiungimento degli Obiettivi ma non si presti attenzione a come si raggiungono (processo), senza distinzione fra prassi buone e cattive;
– gli Obiettivi hanno un approccio verticistico allo sviluppo;
– tendono a promuovere un approccio caritativo, incentrato sulla quantità degli aiuti.
Proposte:
– fissare gli Obiettivi all’interno del più ampio contesto di valori e principi contenuti nelle convenzioni ONU sui diritti economici, sociali e culturali;
– inquadrare gli Obiettivi nel contesto della politica macroeconomica e degli squilibri di potere che sorreggono tale politica;
– un contributo economico maggiore e migliore è essenziale.
– che si cambi solo il linguaggio relativo alla povertà e allo sviluppo e non la sostanza;
– che si dia troppa enfasi al raggiungimento degli Obiettivi ma non si presti attenzione a come si raggiungono (processo), senza distinzione fra prassi buone e cattive;
– gli Obiettivi hanno un approccio verticistico allo sviluppo;
– tendono a promuovere un approccio caritativo, incentrato sulla quantità degli aiuti.
Proposte:
– fissare gli Obiettivi all’interno del più ampio contesto di valori e principi contenuti nelle convenzioni ONU sui diritti economici, sociali e culturali;
– inquadrare gli Obiettivi nel contesto della politica macroeconomica e degli squilibri di potere che sorreggono tale politica;
– un contributo economico maggiore e migliore è essenziale.
Il documento riconosce che l’obiettivo 8: Sviluppare la partnership globale per lo sviluppo che tocca i temi del ruolo del commercio internazionale, del debito estero, degli aiuti allo sviluppo, in certa misura affronta tali problemi, ma evidenzia alcuni limiti:
– non fissa dei tempi per l’attuazione degli obiettivi;
– non propone traguardi abbastanza avanzati per affrontare gli squilibri presenti nelle strutture internazionali.
Si può inoltre aggiungere:
– può essere limitativo restringere la realizzazione della partnership ai settori indicati nell’obiettivo 8;
– sembra limitare a Governi e Organizzazioni Internazionali la fascia di attori protagonisti della partnership;
– non offre elementi qualitativamente significativi su cosa si intenda per partnership.
Vorrei offrire qualche spunto di riflessione su questi ultimi due aspetti.
– non fissa dei tempi per l’attuazione degli obiettivi;
– non propone traguardi abbastanza avanzati per affrontare gli squilibri presenti nelle strutture internazionali.
Si può inoltre aggiungere:
– può essere limitativo restringere la realizzazione della partnership ai settori indicati nell’obiettivo 8;
– sembra limitare a Governi e Organizzazioni Internazionali la fascia di attori protagonisti della partnership;
– non offre elementi qualitativamente significativi su cosa si intenda per partnership.
Vorrei offrire qualche spunto di riflessione su questi ultimi due aspetti.
FRATERNITÀ E PARTNERSHIP
Nella Dichiarazione sul diritto allo sviluppo del 1986 si afferma che «tutti gli esseri umani hanno le responsabilità dello sviluppo sul piano individuale e collettivo». È evidente che responsabilità particolari incombono sui Governi, ma è altrettanto vero che la società civile può giocare un ruolo importante di stimolo e di proposta, e di coinvolgimento operativo. È importante che nei più recenti documenti internazionali si faccia riferimento alle partnership realizzabili fra Governi, Organizzazioni internazionali e operatori privati (imprese e Ong).
Il principio di libertà che sta alla base delle iniziative economiche delle forze di mercato e quello di eguaglianza che si collega al principio redistributivo a livello nazionale e internazionale sono sufficienti a dare fondamento al diretto impegno della società civile per lo sviluppo, alla sua presa coscienza dell’utilità di comportamenti socialmente responsabili?
Ritengo che sotto questo profilo un positivo contributo possa venire dal “principio di fraternità” contenuto nell’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, letto in connessione con l’art. 29 della stessa Dichiarazione secondo il quale ognuno ha dei doveri nei confronti della comunità 6. Tale principio conduce ad un allargamento, potenzialmente molto ampio, dei soggetti su cui ricade la responsabilità dello sviluppo e il dovere di cooperazione. Tale ampliamento ben si coniuga con la necessità – avvertita nell’attuale contesto internazionale – di far sì che gli attori della società civile siano protagonisti dei processi di sviluppo, fin dalla definizione degli obiettivi a livello nazionale e internazionale, e non solo esecutori di piani decisi a livello intergovernativo.
Ritengo che sotto questo profilo un positivo contributo possa venire dal “principio di fraternità” contenuto nell’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, letto in connessione con l’art. 29 della stessa Dichiarazione secondo il quale ognuno ha dei doveri nei confronti della comunità 6. Tale principio conduce ad un allargamento, potenzialmente molto ampio, dei soggetti su cui ricade la responsabilità dello sviluppo e il dovere di cooperazione. Tale ampliamento ben si coniuga con la necessità – avvertita nell’attuale contesto internazionale – di far sì che gli attori della società civile siano protagonisti dei processi di sviluppo, fin dalla definizione degli obiettivi a livello nazionale e internazionale, e non solo esecutori di piani decisi a livello intergovernativo.
La fraternità offre inoltre degli elementi qualitativamente importanti a un aspetto che caratterizza la cooperazione per lo sviluppo: l’idea di partnership.
Partnership esprime l’eguaglianza fra i soggetti coinvolti nella cooperazione: Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, Ong del Nord con molti mezzi economici e organizzativi e Ong del Sud che lavorano sul terreno con pochi strumenti e personale non formato, aziende multinazionali e cooperative locali. Tale eguaglianza si esprime in primo luogo in termini formali sia nei luoghi istituzionali dove vige il principio democratico, sia all’interno di accordi particolari per la realizzazione di un programma di sviluppo. La fraternità contribuisce a rendere tale eguaglianza sostanziale, non solo superando la mera dimensione dell’aiuto e dell’assistenza, ma in certo modo la stessa prospettiva della solidarietà, che mantiene una differenza di posizione fra il soggetto solidale e il soggetto destinatario della solidarietà. La fraternità si propone infatti di comprendere chi è l’altro soggetto con cui cooperare, in tutte le sue caratteristiche, nelle potenzialità e ricchezze, nei limiti e bisogni, avendo attenzione agli aspetti di sviluppo globale, non solo economico, che deve proporsi uno Stato come una comunità di villaggio, un centro educativo come una cooperativa di pesca. Per fare ciò è necessario spogliarsi delle proprie categorie e parametri di sviluppo, calarsi in quelle dell’altro soggetto con cui si intende avviare la cooperazione, in modo che emerga il suo cammino di sviluppo, o che dalla relazione fraterna possano emergere bisogni e prospettive non evidenti fino a quel momento.
Partnership esprime l’eguaglianza fra i soggetti coinvolti nella cooperazione: Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, Ong del Nord con molti mezzi economici e organizzativi e Ong del Sud che lavorano sul terreno con pochi strumenti e personale non formato, aziende multinazionali e cooperative locali. Tale eguaglianza si esprime in primo luogo in termini formali sia nei luoghi istituzionali dove vige il principio democratico, sia all’interno di accordi particolari per la realizzazione di un programma di sviluppo. La fraternità contribuisce a rendere tale eguaglianza sostanziale, non solo superando la mera dimensione dell’aiuto e dell’assistenza, ma in certo modo la stessa prospettiva della solidarietà, che mantiene una differenza di posizione fra il soggetto solidale e il soggetto destinatario della solidarietà. La fraternità si propone infatti di comprendere chi è l’altro soggetto con cui cooperare, in tutte le sue caratteristiche, nelle potenzialità e ricchezze, nei limiti e bisogni, avendo attenzione agli aspetti di sviluppo globale, non solo economico, che deve proporsi uno Stato come una comunità di villaggio, un centro educativo come una cooperativa di pesca. Per fare ciò è necessario spogliarsi delle proprie categorie e parametri di sviluppo, calarsi in quelle dell’altro soggetto con cui si intende avviare la cooperazione, in modo che emerga il suo cammino di sviluppo, o che dalla relazione fraterna possano emergere bisogni e prospettive non evidenti fino a quel momento.
La relazione fraterna, nel quadro della reciprocità, contribuirà a ripensare il cammino di sviluppo del soggetto istituzionalmente o economicamente più dotato, nella ricerca per esempio di percorsi di sviluppo che tengano conto della sostenibilità globale e delle sue maggiori responsabilità. Essa inoltre è “costituzionalmente” aperta alla relazione con altri soggetti, sia sul piano multilaterale, come su quello regionale e/o locale.
FRATERNITÀ E OBBLIGHI DI CONDOTTA
Se ora consideriamo le questioni su cui centra la sua attenzione l’obiettivo 8 alla luce di una visione qualitativamente significativa e non meramente operativa di partnership, e alla luce della prospettiva dei diritti umani e in particolare del diritto allo sviluppo, possiamo svolgere alcune ulteriori riflessioni.
Ognuna delle tematiche che tocca può validamente essere collegata alla realizzazione dei diritti umani. Si consideri per
esempio nella questione del debito, l’incidenza che le riforme strutturali richieste per il pagamento o la cancellazione dei debiti possono avere sulla capacità degli Stati debitori di far fronte ai propri obblighi in questo campo (per esempio la riduzione della spesa destinata alla salute e all’istruzione in relazione al diritto alla salute e all’istruzione). Oppure l’incidenza che hanno le regole sui diritti di proprietà intellettuale in campo sanitario per la lotta all’Aids e quindi per la realizzazione del diritto alla salute.
Un’altra considerazione riguarda il rapporto tra fraternità e obblighi di condotta degli Stati per la realizzazione dei diritti
umani in particolare quelli economici, sociali e culturali. Secondo il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR) «l’obbligo principale è di fare dei passi per raggiungere progressivamente la piena realizzazione del diritto (…). Questo impone un obbligo di muoversi il più rapidamente possibile verso l’obiettivo» 7.
esempio nella questione del debito, l’incidenza che le riforme strutturali richieste per il pagamento o la cancellazione dei debiti possono avere sulla capacità degli Stati debitori di far fronte ai propri obblighi in questo campo (per esempio la riduzione della spesa destinata alla salute e all’istruzione in relazione al diritto alla salute e all’istruzione). Oppure l’incidenza che hanno le regole sui diritti di proprietà intellettuale in campo sanitario per la lotta all’Aids e quindi per la realizzazione del diritto alla salute.
Un’altra considerazione riguarda il rapporto tra fraternità e obblighi di condotta degli Stati per la realizzazione dei diritti
umani in particolare quelli economici, sociali e culturali. Secondo il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR) «l’obbligo principale è di fare dei passi per raggiungere progressivamente la piena realizzazione del diritto (…). Questo impone un obbligo di muoversi il più rapidamente possibile verso l’obiettivo» 7.
La fraternità può apportare – a mio avviso – degli elementi qualitativi nell’esame delle modalità con cui gli Stati assolvono gliobblighi di condotta, in occasione delle periodiche valutazioni fatte dal CESCR, che potranno per esempio esprimersi sotto forma di criteri valutativi:
– cooperazione a livello internazionale, nazionale e locale;
– coinvolgimento della popolazione e degli attori non statali nel senso del principio di sussidiarietà;
– solidarietà e priorità verso le fasce più deboli della popolazione;
– attivazione di meccanismi di reciprocità all’interno della popolazione.
Il CESCR conduce l’esame degli Stati sulla base del Patto che è una Convenzione internazionale giuridicamente vincolante. Essa non richiama espressamente la fraternità ma è strettamente legata alla Dichiarazione Universale, di cui costituisce una specificazione sul piano degli accordi fra gli Stati. Ritengo perciò proponibile il richiamo all’art. 1 della Dichiarazione e al principio di fraternità come un possibile criterio ispiratore della valutazione della condotta degli Stati.
In questo contesto – tenendo presente il richiamato rapporto fra l’art. 1 e l’art. 29 della Dichiarazione Universale – si potrebbe considerare inoltre la possibile estensione degli obblighi di condotta anche ad attori diversi dagli Stati, quali le Organizzazioni Intergovernative, le imprese e le stesse Ong. Una prima indicazione in questo senso sta avvenendo sul piano della definizione delle responsabilità delle imprese multinazionali rispetto alla protezione e promozione dei diritti umani.
– cooperazione a livello internazionale, nazionale e locale;
– coinvolgimento della popolazione e degli attori non statali nel senso del principio di sussidiarietà;
– solidarietà e priorità verso le fasce più deboli della popolazione;
– attivazione di meccanismi di reciprocità all’interno della popolazione.
Il CESCR conduce l’esame degli Stati sulla base del Patto che è una Convenzione internazionale giuridicamente vincolante. Essa non richiama espressamente la fraternità ma è strettamente legata alla Dichiarazione Universale, di cui costituisce una specificazione sul piano degli accordi fra gli Stati. Ritengo perciò proponibile il richiamo all’art. 1 della Dichiarazione e al principio di fraternità come un possibile criterio ispiratore della valutazione della condotta degli Stati.
In questo contesto – tenendo presente il richiamato rapporto fra l’art. 1 e l’art. 29 della Dichiarazione Universale – si potrebbe considerare inoltre la possibile estensione degli obblighi di condotta anche ad attori diversi dagli Stati, quali le Organizzazioni Intergovernative, le imprese e le stesse Ong. Una prima indicazione in questo senso sta avvenendo sul piano della definizione delle responsabilità delle imprese multinazionali rispetto alla protezione e promozione dei diritti umani.
Un’ulteriore possibilità applicativa si apre – a mio avviso – con il nuovo meccanismo denominato Universal Periodic Review, previsto nella istituzione del Consiglio dei Diritti Umani che dal giugno 2006 ha sostituito la Commissione. Tale meccanismo baserà le sue valutazioni sul complesso delle normative dei diritti umani elaborate dal 1948 ad oggi, di cui la Dichiarazione Universale è l’atto primario di riferimento. In questo contesto importante potrebbe essere l’adozione da parte del Consiglio in futuro di una o più Risoluzioni o Dichiarazioni che specifichino il ruolo della fraternità nel contesto dei diritti umani. Una piccola prospettiva si è di recente aperta giacché la Commissione nel 2004 aveva incaricato uno dei suoi esperti di stendere un documento su «Human rights and international solidarity» e i due rapporti finora
emanati richiamano il legame fra solidarietà internazionale e fraternità 8.
emanati richiamano il legame fra solidarietà internazionale e fraternità 8.
CONCLUSIONE
Le riflessioni finora condotte evidenziano la necessità di passare dal piano di orientamento politico a quello giuridico, ulteriormente motivata da una tendenza frutto del processo di globalizzazione in corso e della stretta interdipendenza fra le questioni dello sviluppo e quelle relative, per esempio, alle politiche commerciali e finanziarie internazionali. La globalizzazione porta con sé un aumento degli attori coinvolti sulla scena internazionale ed una diversificazione delle fonti normative, che non sono più solo di natura statale o intergovernativa: soprattutto nell’ambito economico e commerciale, cresce il ruolo attivo degli attori economici privati come produttori di diritto soprattutto di natura contrattuale. Alcune situazioni che si sono verificate negli ultimi anni rendono, a mio avviso, particolarmente necessaria la ricerca di soluzioni fondate sul dovere di cooperazione fra gli Stati e fra gli stessi attori privati. Si pensi all’incidenza sullo sviluppo socioeconomico di alcune aree geografiche delle manovre speculative sui cambi delle valute, con le correlate crisi finanziarie, o al contrasto fra il diritto alla proprietà intellettuale e il diritto alla salute nel caso della fornitura di farmaci a basso costo per la lotta alle malattie infettive, a cominciare dall’Aids. È vero che, anche per la pressione importante esercitata dalla società civile, si sono raggiunti dei risultati basati sulla cooperazione fra gli attori coinvolti, ma ci si deve legittimamente domandare se tale dovere di cooperazione non dovrebbe ulteriormente orientarsi a prevedere forme di tutela giurisdizionale più vincolanti, simili a quelle poste in essere a livello internazionale per la violazione dei diritti individuali.
Queste situazioni e prospettive hanno in effetti una significativa rilevanza per il tema dei diritti umani e per il diritto allo sviluppo, perché pongono degli interrogativi sulla effettiva possibilità della normativa dei diritti umani di costituire un vincolo efficace ad una produzione giuridica che avviene spesso al di fuori dell’ambito statale o intergovernativo, ma d’altro lato sottolineano l’importanza che i diritti umani, proprio perché connessi alla dignità della persona, mantengano quei caratteri di universalità e inviolabilità che valgono in relazione a qualunque soggetto pubblico o privato che ne minacci la realizzazione.
1 Populorum progressio 13 e 14; Sollicitudo rei socialis 32 e 33.
2 Art. 1, comma 3 dello Statuto delle Nazioni Unite.
3 Per un’analisi della Dichiarazione e della riflessione successiva sviluppatasi nell’ambito della Commissione dei diritti umani mi permetto di rimandare al mio Diritto allo sviluppo e dovere di cooperazione, in F. Compagnoni – A. Lo Presti (edd.), Etica e globalizzazione, Città Nuova, Roma 2006, pp. 181-208.
4 Sull’argomento, cf. P. Alston, Ships passing in the night: the current state of the human rights and development debate seen through the lens of the Millennium Development Goals, in «Human rights quarterly», 27 (3) Aug. 2005, pp. 755-829.
5 Caritas Internationalis e CIDSE, Più che un gioco di numeri, in «Il Regno-Documenti», 1 (2006), pp. 40-64.
6 Per un più ampio inquadramento mi permetto di rimandare al mio Fraternità e diritti umani, in A.M. Baggio (ed.), Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007, pp. 251-275.
7 CECSR, General Comment n. 12 The right to adeguate food, www.ohchr. org/english/bodies/cescr/index.htm. «The principal obligation is to take steps to achieve progressively the full realization of the right (…). This imposes an obligation to move as expeditiously as possible towards the goal».
2 Art. 1, comma 3 dello Statuto delle Nazioni Unite.
3 Per un’analisi della Dichiarazione e della riflessione successiva sviluppatasi nell’ambito della Commissione dei diritti umani mi permetto di rimandare al mio Diritto allo sviluppo e dovere di cooperazione, in F. Compagnoni – A. Lo Presti (edd.), Etica e globalizzazione, Città Nuova, Roma 2006, pp. 181-208.
4 Sull’argomento, cf. P. Alston, Ships passing in the night: the current state of the human rights and development debate seen through the lens of the Millennium Development Goals, in «Human rights quarterly», 27 (3) Aug. 2005, pp. 755-829.
5 Caritas Internationalis e CIDSE, Più che un gioco di numeri, in «Il Regno-Documenti», 1 (2006), pp. 40-64.
6 Per un più ampio inquadramento mi permetto di rimandare al mio Fraternità e diritti umani, in A.M. Baggio (ed.), Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007, pp. 251-275.
7 CECSR, General Comment n. 12 The right to adeguate food, www.ohchr. org/english/bodies/cescr/index.htm. «The principal obligation is to take steps to achieve progressively the full realization of the right (…). This imposes an obligation to move as expeditiously as possible towards the goal».
8 Cf. il sito www2.ohchr.org/english/issues/isolidarity/index.htm e anche il sito della Ong New Humanity
www.new-umanity.org che è intervenuta sul tema nell’ambito del Consiglio dei diritti umani.