Sunniti e sciiti, i due volti dell’Islam

Dopo la rottura di alcuni Paesi sunniti con il Qatar e dopo gli attentati del Daesh a Teheran, cerchiamo di capire le radici del conflitto che oppone le due “anime” dell’Islam
Pellegrinaggio alla Mecca

Una durissima presa di posizione contro il governo iraniano e il mondo sciita è stata assunta a Ryad da alcuni leader arabi sunniti con l’ingombrante avvallo del presidente statunitense Donald Trump alla sua prima visita di Stato. L’accusa è di sostegno al terrorismo. A due settimane dal vertice, Arabia Saudita, Egitto, Emirati, Bahrein e Yemen hanno varato pesanti sanzioni, sempre per l’accusa di sostegno al terrorismo, contro il Qatar, che non è un Paese sciita ma che intrattiene intensi rapporti economici con il vicino Iran. L’escalation è stato ulteriormente complicata dall’attacco kamikaze del Daesh a Teheran, con morti e feriti, al Parlamento iraniano e al Mausoleo dell’ayatollah Khomeyni, il fondatore della Repubblica islamica iraniana.

Dietro a queste accuse e a questi fatti, che sorprendono forse nei modi ma non nella sostanza, c’è una lunga e complessa storia religiosa e sociale, e ci sono vastissime implicazioni strategiche ed economiche. Senza la pretesa di entrare in intrecci molto complessi, è opportuno precisare che sunniti e sciiti sono comunque musulmani ed hanno in comune i pilastri della fede islamica, distinguendosi per alcune interpretazioni dottrinali e storiche dei principi condivisi. Ma la scissione non è recente, risale addirittura al 632 d.C., l’anno della morte del profeta dell’Islam, a Medina. La maggioranza appoggiò la successione nel ruolo di guida della comunità di Abu Bakr, amico e suocero di Mohammed. La minoranza appoggiò Alì, cugino del profeta. I sostenitori di Abu Bakr (oggi sunniti) si imposero sui seguaci di Alì (oggi sciiti) e la spaccatura divenne definitiva nel 680 d.C. quando i soldati del califfo sunnita uccisero a Kerbala (attuale Iraq) l’imam Hussein, discendente di Alì, con i suoi compagni. Oltre al Corano, che unisce tutti i musulmani, gli sciiti privilegiarono la guida degli imam e il culto del martirio, per i sunniti il riferimento divenne il ricorso alla tradizione (sunna). Naturalmente in 13 secoli le divergenze si sono sempre più accentuate. Le complesse vicende storiche e culturali delle due visioni all’interno dell’unica fede islamica (che con l’andar dei secoli sono diventate molte più di due) si sono poi coagulate intorno a due imperi di lunga durata: l’impero ottomano (di orientamento sunnita) nelle terre islamiche più occidentali (tra XV e XX sec.) e ad Oriente quello persiano dei savafidi (1501-1736), che avendo optato per lo sciismo favorì la concentrazione in Persia di molte minoranze sciite che vivevano disperse in tutta l’area mediorientale.

Dopo la I Guerra Mondiale, le politiche coloniali europee e la fine dell’impero ottomano hanno buttato all’aria questi equilibri secolari più o meno consolidati. Con la fondazione dello Stato di Israele (1948) e più tardi con la rivoluzione iraniana (1979) che eliminò l’impero persiano degli shah si è riaperto un vero e proprio conflitto fra sunniti e sciiti, che inevitabilmente coniuga agli antichi dissensi dottrinali gli interessi legati al petrolio, al gas e alla geopolitica. L’appoggio economico e militare iraniano agli sciiti presenti in Siria (Assad appartiene alla comunità alawita, di ambito sciita), in Libano (Hezbollah e Amal sono espressioni politiche all’interno di un più ampio mondo sciita libanese) e nello Yemen (dove gli zayditi sciiti sono alcuni milioni) sta alla base degli attuali conflitti in corso in tutta l’area mediorientale. Il tutto è complicato da interessi multinazionali e strategici delle grandi potenze che si intrecciano con il quotidiano di tragiche storie di ingiustizie e prevaricazioni che in nome della ragion di stato e di ideologie fondamentaliste offendono, umiliano e uccidono le persone, derubandole della loro identità personale e collettiva, della casa e della terra.

Basti pensare ai palestinesi e agli sciiti del Sud del Libano, ma anche e non da ieri agli armeni, ai cristiani caldei e assiri, ai curdi, agli yazidi. Ormai non è più possibile separare i buoni dai cattivi, i terroristi dalle vittime. Si potrebbe tentare un’altra strada per affermare la giustizia?

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