Sulle tracce di Simone detto Pietro
Cafarnao, in riva al più grande specchio d'acqua dolce dello Stato d’Israele – il lago di Gennesaret o di Kinneret o di Tiberiade, chiamato anche mar di Galilea –, divenne la città d’elezione di Gesù: qui egli scelse la “roccia” su cui avrebbe edificato la sua Chiesa e altri apostoli, qui operò numerosi miracoli e pronunciò il famoso discorso sul Pane della vita.
Cafarnao era la città di Simone il pescatore, detto poi Pietro. Nella sua casa, dove spesso era ospite, il Signore guarì la suocera giacente a letto con la febbre e il paralitico calato attraverso il tetto scoperchiato. Fin dagli inizi dell’era cristiana quest’umile abitazione divenne luogo di culto e di pellegrinaggio, secondo le più antiche testimonianze di Egeria (IV sec.) e dell’Anonimo piacentino (VI sec.), il quale già la menziona trasformata in basilica.
Nel 1866, dopo secoli d’oblio (si era perso perfino il ricordo della localizzazione di Cafarnao), l’archeologo inglese W. Wilson iniziò a scavare la sinagoga sorta sopra quella in cui Gesù aveva guarito l’indemoniato. Più tardi la Custodia francescana di Terra Santa acquistò le rovine e completò gli scavi e il restauro dell’edificio. Frattanto, poco lontano, venivano rinvenuti i resti di una chiesa ottagonale con mosaici di epoca bizantina. I successivi scavi condotti dal 1968 al 1992 dagli archeologi francescani Virgilio Corbo e Stanislao Loffreda accertarono che essa copriva un complesso abitativo risalente al I sec. d. C., divenuto luogo di culto della comunità giudeo-cristiana: grazie anche ai graffiti rinvenuti, il suo nucleo originario, poverissimo, veniva identificato come la casa di Pietro.
Sopra i preziosi ruderi, per preservarli e agevolare il culto, nel 1990 è stato inaugurato un originale tempio memoriale le cui linee richiamano una conchiglia bivalve: ideato dall’architetto italiano Ildo Avetta, sorge a poca distanza dal lago e si inserisce armoniosamente nel contesto delle rovine e dell’ambiente naturale.
Se Cafarnao è la città più ricordata nei Vangeli dopo Gerusalemme, Pietro è l’apostolo di cui gli stessi Vangeli sono più prodighi di notizie, quello che conosciamo meglio nelle sue generosità e nelle sue debolezze, sulla cui figura esiste una letteratura imponente, che comprende anche romanzi. Tra le recenti novità, va segnalata Simone chiamato Pietro. Sui passi di un uomo alla sequela di Dio, pubblicata da Cantagalli: ne è autore l’attuale abate generale dell’ordine Cistercense, padre Mauro Giuseppe Lepori, uno svizzero di Canobbio. In un centinaio di pagine sono rivisitati gli episodi chiave della vita del pescatore con una tale penetrazione psicologica, partecipazione e profondità spirituale che, a fine lettura, Pietro ci è diventato familiare, direi intimo: ci possiamo riconoscere nelle pieghe della sua natura e al tempo stesso siamo invitati a riflettere sul fascino di una chiamata (quella di Dio) e sulla risposta, diversa per ciascuno, al suo amore personale. In definitiva: sulla santità, che comprende e supera i limiti umani, anzi proprio di essi si serve perché si realizzino i disegni di Dio.
Scrive l’autore a inizio libro: «A ogni tappa del mio cammino di uomo, di cristiano, di monaco, di abate, ho ritrovato san Pietro come un compagno che mi precedeva con la mia stessa umanità, la mia stessa umana povertà, piena di contraddizioni. Pietro è il santo evangelico che è più “noi” di tutti gli altri, più vicino alla nostra umanità, eppure così vicino a Cristo. Pietro, possiamo sempre seguirlo; sempre ci conduce a Gesù, ci unisce a Gesù, perché non ha mai permesso alla propria fragilità di separare il suo cuore da Cristo, persino mentre lo rinnegava».
Come assaggio del racconto, scelgo l’episodio in cui, dopo aver faticato tutta la notte a pescare senza prendere un pesce, Simone ha acconsentito all’invito del Maestro a prendere il largo e a gettare di nuovo le reti. Pieno di confusione per la pesca miracolosa, s’avvicina a Gesù seduto a poppa. «Un sentimento d’indegnità s’impadronì della sua coscienza: tutto quello che nella sua vita vi era stato di meschino, di falso, di collerico, di leggero, di avaro, di orgoglioso, di vile, ora diventava una massa dura e nauseante, da vomitare.
Si sorprese allora a urlare davanti a tutti: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!”, e sapeva che niente di più vero era mai uscito dalle sue labbra.
Eppure, nel momento stesso in cui pronunciava queste parole e si confondevano con il rumore dell’acqua, del vento e della barca, Simone capì che anche tali parole erano false, non erano già più vere davanti a quel volto, davanti allo sguardo di Gesù che continuava a fissarlo in silenzio. Erano vere, queste parole, dentro di lui, nel suo cuore, nella sua umanità, ma non erano più vere al cospetto di Gesù. Le sue labbra non avevano finito di dire “Allontanati da me, Signore!”, che il suo cuore già gridava con un senso di desolazione: «No! Resta con me, Signore! Prendimi con te!”.
La barca toccò il fondo ghiaioso quando Simone era ancora in ginocchio davanti al Signore. Gesù si alzò per scendere. Sorrise a Simone, alzò gli occhi e li fissò lontano verso l’orizzonte tutto dorato del mare calmo. “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Simone capì che Gesù aveva udito il grido del suo cuore».