Sulle tracce di de Foucault

In bicicletta sull’altopiano algerino dell’Assekrem. Alle sorgenti del messaggio di fratel Charles.
De Foucauld

Per chi, come me, vive e partecipa del mondo nella prospettiva di un senso non effimero, la visita all’eremo che fratel Charles de Foucauld costruì con le proprie mani, nel 1911, sul desertico altopiano algerino dell’Assekrem, assume il valore di un pellegrinaggio alle sorgenti dell’Essere, un abbeverarsi stupefatto alla linfa primigenia che ci fa figli dell’unico Dio di tutti gli uomini. Il desiderio di arrivare fin lassù mi rodeva dal 1978, quando salii per la prima volta all’eremo San Salvatore, sopra il lago di Como, dove conobbi fratel Raimondo, seguace dell’asceta francese. Fu lui, già piuttosto anziano e acciaccato, eppure di limpida energia spirituale, a parlarmi con accenti entusiasti del deserto dove aveva condiviso la stentata, ma libera esistenza degli amatissimi tuareg. Oltre trent’anni dopo, in compagnia di sei amici, ne ho ripercorso modestamente – ma non superficialmente – il cammino. Durante soli otto giorni, ma di straordinaria intensità.

 

E finalmente eccoci a Tamanrasset, a 1400 metri di altezza, nel cuore del Sahara algerino: oggi questo agglomerato polveroso, sporco, con tratti di eleganza arabeggiante, assediato dalla sabbia e circondato da montagne di roccia sfaldata dal vento, da piogge torrenziali e da repentine escursioni termiche, conta poco meno di centomila abitanti. Quando fratel Charles vi arrivò, nel 1905, vi abitavano circa venti famiglie, una cinquantina di persone dedite alla pastorizia nomade e ai commerci carovanieri che, da secoli, qui trovano un loro naturale punto d’incontro, mercé la presenza di varie sorgenti. Dal 1905 al primo dicembre 1916, la vita evangelica, provocatoria e "impossibile" del visconte de Foucauld trascorse, per la maggior parte, in queste lande fuori da ogni dove, fino a quando fu spezzata da uno sparo assassino.

 

A Tamanrasset, fratel Charles costruì il suo primo rifugio di paglia, terra, scarso legname e pietra, la cosiddetta fregate, un budello-corridoio con minuscola cappella e letto di sabbia per il rapsodico riposo notturno. Subito, iniziò a tradurre in francese i vocaboli della lingua tuareg – il tamachek –, dando il via a quella ciclopica opera di inestimabile valore culturale e antropologico che, ancora oggi, è vanto della popolazione sahariana. Ne uscirono un dizionario bilingue, i Vangeli e molti testi poetici tradizionali. Uomo vicino ad ogni uomo, nutrì assoluto rispetto della fede e della cultura altrui. Dio-uomo-mondo: una triade inscindibile che fratel Charles vide e scoprì pienamente realizzata nelle forme e nelle rocce, nel cielo e nella luce incandescente dell’altopiano di Atakor, ottanta chilometri a nord di Tamanrasset, dove alzò il suo eremo estremo.

 

Saliamo anche noi, in bicicletta, con fatica a tratti improba, eppure esaltante, fino ai 2700 metri del rifugio piazzato a cavalcioni di un valico stretto fra picchi da far invidia ai maggiori alpini e himalayani. Da lì, a piedi fino ai 2800 del rifugio di fratel Charles, un modesto parallelepipedo di terra impastata e sassi, posato sulla ventosa sommità dell’Assekrem, che già nell’etimo "fìne del mondo" nasconde il segreto di una visione senza confini. Lassù, insieme a pochi giovani francesi in cerca di autenticità, contempliamo le delicate pennellate di luce stese sulle pareti perpendicolari e nude delle montagne tutt’intorno, uno spettacolo senza confronto.

Eredi e continuatori del messaggio di universale fratellanza del loro Maestro, tre Piccoli fratelli – un polacco, un francese, uno spagnolo – attualmente pregano e onorano l’Eucaristia, votati a un’ospitalità incondizionata. Al nostro arrivo, è presente il solo fratel Dominique Buenaventura, occupato ad offrire agli scarpinatori un tè tuareg alla menta, assistito dalla sfinge furbissima del suo gattino nero. Una notte di attesa, preghiera, eccitazione, felicità e sgomento, fino alla nuova risalita aurorale, per catturare il miracolo del nuovo giorno.

 

Il grumo più toccante, che da solo redime la fatica dell’intero viaggio, è la celebrazione liturgica condotta da fratel Dominique, noi otto soli accovacciati sulla polvere della cappella, davanti a Gesù, stavolta davvero amico e fratello. In fratel Dominique rivedo il mite, fervente fratel Raimondo della mia giovinezza: è proprio lui che spezza il pane e versa il vino, e mi invita a leggere dal libro di Giona e dal Vangelo di Giovanni… Solo nel deserto accadono miracoli così, e il Sahara è il deserto assoluto.

 

 

Fratello universale

 

Charles, visconte di Foucauld de Portbriand, nasce il 15 settembre 1858 a Strasburgo. Nell’80, insieme al suo reggimento di ussari, viene spedito in Algeria, terra che diventerà la sua vera patria spirituale. Nel 1890 entra nella Trappa da cui esce sei anni dopo, abbozzando il primo regolamento della futura comunità dei Piccoli fratelli di Gesù. In Terra Santa, a Nazareth, gli si manifesta la vocazione a vivere come Gesù, in modo nascosto, umile, obbediente, laborioso, dichiarandosi "fratello universale". Sacerdote nel 1900, riparte per l’Algeria, dove, a Beni-Abbès, costruisce il primo eremo. Nel 1903 fonda l’ordine dei Fratelli del Sacro Cuore. L’anno seguente si stabilisce a Tamanrasset, e poi sale nell’Hoggar, dove costruisce la sua ultima casa terrena. Viene ucciso da un colpo di fucile alla testa nel forte di Tamanrasset, durante una rivolta antifrancese, il primo dicembre 1916. Il suo corpo riposa a El-Golea.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons