Sull’arca di Noah

Esce il kolossal americano, ricco di sequenze spettacolari come quelle riservate al diluvio, ma anche pellicola di citazioni fantasy, mitiche e di visioni new age che poco hanno a che fare con storia e religione. In sala anche il film italiano "Nessuno mi pettina bene come il vento"
Russel Crowe interprete di Noah

Esce nelle sale il tanto atteso Noah, kolossal spettacolare diretto da Darren Aronofsky con uno straripante, deciso Russel Crowe. Il film che miscela fantasy – chiaro il riferimento al Signore degli anelli -, rivisitazione mitica hollywoodiana –  si veda Immortals -, visioni new age, discorsi ambientalistici, melodramma familiare col padre che non capisce i figli, echi postapocalittici negli angeli-robot-pietrificati è tutto una citazione. C’è l’umanità cattivissima di un neo-Caino, il vecchio Matusalemme (Anthony Hopkins, un mago che fa miracoli), la trovatella Emma Watson e l’immane diluvio in 3 D.

Infine c’è la storia di Noè, quello della Bibbia, una sorta di Abramo cui un Dio implacabile chiede di fatto sacrifici umani, un fondamentalista di buon cuore, alla fin fine. Spettacolare al grado massimo, piacerà alle masse nel suo ibrido di generi e nelle sua durata di oltre due ore senza tregua. Ovvio, la religione, quella seria, c’entra poco. Siamo in un megagalattico fantasy di pura marca americana, molto superficiale nell'apporto storico.

Nessuno mi pettina bene come il vento è il titolo lunghissimo e poetico (di Ada Merini) del film di Peter Del Monte, dove un'introversa, solitaria scrittrice (Laura Morante che un po’ rifà sé stessa) si trova a far da madre per un qualche tempo alla piccola, difficile e non molto simpatica ragazzina Gea, che frequenta un gruppetto di adolescenti rumorosi ed è di fatto abbandonata da padre e madre, separati. Difficile crescere, in questo modo. Il film ama le lunghe sequenze, molti discorsi, un ritmo lento, autoriale, che tuttavia rischia di diventare piuttosto legnoso e ripetitivo di situazioni già affrontate dal cinema. Per i fan del regista.

Piccola patria è invece un film diverso, che narra la vita annoiata di due ragazze di una paesino del Nord-est, buono all’esterno, un po’ marcio all’interno. Lavoro, lavoro, soldi e ben poco amore vero, in casa e fuori casa. Desolante ritratto di una regione che si è “perduta”, l’opera di Alessandro Rossetto indaga senza pietismo e facili denunce un malessere sociale e personale che stride e commuove. Da vedere.

Riposarsi? Fa bene. Ecco allora i fratelli Vanzina col loro giocoso Un matrimonio da favola, classica commedia degli equivoci nostrana che strizza l’occhio all’oggi, oppure Mister Morgan con il sempreverde Michael Caine nei panni di un vedovo che trova nuovi affetti e slanci di vita nell’incontro con Pauline, oppure il vivace The Budapest Grand Hotel nell’Europa del 1920, premio della giuria a Berlino, delizioso, ottimamente interpretato da un cast di grandi attori (Tilda Swinton, Edward Norton, Ralph Fiennes…) e un poco prevedibile. Regia di Wes Anderson.

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